Chiara Zanforlini GIOCATTOLI E GIOCHI NELL’ANTICO EGITTO “Da molto tempo sono sempre più saldamente convinto che la civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco” J. Huizinga, Homo ludens Un aspetto solitamente poco indagato della società egizia è quello dell’infanzia e dei giocattoli. Come per molti altri aspetti della vita egizia, sono le tombe che ci hanno restituito la maggior parte dei giocattoli, ma spesso, soprattutto per le bambole, gli archeologi si sono domandati se si trattasse di oggetti rituali o di giocattoli veri e propri, anche perché, soprattutto per gli scavi meno recenti, non vi è la certezza che si trattasse di tombe infantili. Un primo problema da affrontare è quello della rappresentazione dei bambini: di solito compaiono insieme a e in funzione a degli adulti, e sono raffigurati a tutti gli effetti come adulti in miniatura. La loro giovane età si evince dalla tipica pettinatura, una treccia sul lato del capo altrimenti rasato, e, a volte, dal gesto di mettersi un dito in bocca; esistevano naturalmente anche altre acconciature, attestate da dipinti, sculture e rilievi, ma la treccia è sicuramente l’acconciatura più comune e longeva. Se compaiono con i genitori, i bambini sono spesso raffigurati in dimensioni molto inferiori al naturale e le differenze di età fra più fratelli e/o sorelle non è generalmente resa esplicita, anche se, di solito, la lunghezza della traccia può indicare l’età (i bambini più piccoli hanno trecce più corte). Le rappresentazioni di bambini sono frequenti nell’Antico Regno, divengono più rare nel Medio Regno e ricompaiono con la XVIII dinastia nel Nuovo Regno. Il vero cambiamento avviene proprio con l’arte di Amarna: per la prima volta i bambini sono rappresentati in modo molto più realistico. Le figlie di Akhenaton e Nefertiti giocano fra loro o con i genitori e le principesse sono più alte o più basse a seconda della loro età. La coppia reale è raffigurata nell’intimità familiare e si rendono espliciti i gesti di affetto fra genitori e figli, che tendono, poi, a scomparire nuovamente dalla XIX dinastia in poi1. Nell’Antico Regno solitamente i bambini pre-puberi sono raffigurati nudi, ma nel Medio Regno sono quasi sempre vestiti, mentre nel Nuovo Regno 1 ROSALIND-JENSSEN 1990, pp. 60-63. 1 si possono trovare rappresentazioni di bambini sia nudi sia vestiti: si tratta, probabilmente, di scelte dovute a convenzioni artistiche più che a rappresentazioni completamente fedeli alla realtà quotidiana; le bambine e adolescenti, in occasioni festive, possono portare abiti simili a quelli delle loro madri, o dei gioielli2. Molte attività ludiche di bambini e ragazzi di ambo i sessi si svolgevano all’aperto: passeggiate, gite in barca, nuoto, caccia, pesca, raccolta di fiori; non per nulla, una delle espressioni più usate per indicare il divertimento è proprio «percorrere gli stagni», zab zeshou. Spesso i compagni di gioco dei bambini della Valle del Nilo erano degli animali domestici: nella tomba di Nefer e Kahay a Saqqara, risalente alla V dinastia, una ragazza tiene in mano una pavoncella, mentre in quella di Ukhhotep a Meir, la figlia del proprietario della tomba stringe un fiore di loto e un piccione. Un uccello tipicamente associato ai bambini maschi è l’upupa, mentre i piccioni possono accompagnare bambini di entrambi i sessi (un ragazzo nella mastaba di Ti a Saqqara, risalente alla V dinastia, due ragazze nella tomba tebana TT 359 di Anherkhew il giovane, databile alla XII dinastia). Nella tomba TT 1 di Sennedjem (XIX dinastia), una ragazzina tiene fra le braccia un’oca, anche se, in questo caso, si è pensato più ad offerte che ad animali domestici. Nella tomba di Meryre II, risalente al periodo amarniano, le figlie di questo nobile sono raffigurate mentre giocano con delle gazzelle; si tratta di animali usualmente non domestici, anche se sappiamo che antilopi e stambecchi erano tenuti in cattività nei recinti del palazzo nord di Amarna3. Amandine Marshall ha tuttavia sottolineato come l’upupa avesse un significato più complesso di un semplice animale domestico, dato che si tratta di un motivo che ci è noto solo da ventisette mastabe di Antico Regno, situate principalmente nella parte nord del paese e databili ad un arco temporale di circa 350 anni, dagli inizi della IV alla metà della V dinastia (fig. 1). 2 ROSALIND-JENSSEN 1990, pp. 26-27. 3 ROSALIND- JANSSEN 1990, pp. 43-44. 2 Fig. 1 Bambino con upupa, Antico Regno. Anche i contesti sono piuttosto limitati: scene di caccia e pesca, rappresentazioni della famiglia del padrone della tomba, ispezioni compiute dal defunto, scene di offerta. Solitamente i bambini raffigurati con l’upupa la tengono per le ali con una mano, mentre nell’altra hanno uno o più altri uccelli, un fiore, un’arma o il bastone della figura maschile adulta che li segue o precede, o semplicemente il braccio pende lungo il fianco. Inoltre, rispetto alle altre rappresentazioni di bambini, il nome e la filiazione compaiono con più frequenza: l’upupa sembra perciò associata soprattutto al figlio maggiore maschio; inoltre i bambini e le bambine raffigurati con l’upupa portano dei gioielli, poco frequenti nelle rappresentazioni infantili di Antico Regno e ulteriore indizio di uno status privilegiato. Tutti questi elementi hanno portato quindi la studiosa ad ipotizzare che si tratti di un modo per indicare non solo la primogenitura (toccare il bastone del padre indica la trasmissione dell’autorità e del potere e si tratta di un altro elemento iconografico che scompare alla fine dell’Antico Regno), ma anche la pietà filiale, di cui l’upupa era un simbolo in Egitto, cui sono connessi i riti in onore del genitore defunto (non per nulla due bambine con l’upupa sono raffigurate nella mastaba di una defunta di sesso femminile, oltretutto di sangue reale, la regina Meresankh III a Giza)4. La necropoli di Medio Regno di Kahun ha restituito numerosi giocattoli: sono state ritrovate ad esempio alcune palle, fatte di legno, stoffa o cuoio, imbottite con erba, giunchi, stracci, crine o pula d’orzo, a volte dipinte di blu o rosso; un esemplare, ora al Manchester Museum, si era lacerata ed è stata accuratamente ricucita. Alcune palle erano semplicemente fatte con argilla, 4 MARSHALL 2015, pp. 59-63. 3 faience (anche se molto fragili e quindi probabilmente erano solo elementi di corredo funebre), papiro e foglie di palma; il diametro è generalmente compreso fra 3 e 9 cm (fig. 2). Fig. 2. Palle in faience e biglie. Non sono attestati giochi con la palla simili al nostro calcio o pallavolo, ma di solito si usavano più palle di piccole dimensioni che erano spesso lanciate in aria e poi riafferrate, come fanno i moderni giocolieri; in un caso compare forse il nome di questo gioco, jmd, ma è l’unico caso in cui ci è nota tale parola. In un’altra rappresentazione, due gruppi di ragazze si fronteggiano: quelle al centro lanciano la palla e la riafferrano, mentre le compagne battono le mani. Forse il gioco consisteva nell’alternarsi nel prendere la palla seguendo il ritmo, ma non disponiamo di ulteriori elementi chiarificatori, e anche in questo caso l’ipotetico nome del gioco, rwjt, non è attestato altrove5. Un ostrakon satirico da Deir el Medina, risalente al Nuovo Regno, quando le rappresentazioni di giochi sono più rare, mostra un topo che indossa un gonnellino e lancia in aria due palle, forse prese dal cofanetto rappresentato davanti a lui. Un altro passatempo amato dalle ragazze consisteva nel lanciarsi la palla stando a cavalcioni di una compagna che avanzava a quattro zampe, un gioco simile all’ephedrismos dei Greci; una delle rappresentazioni più celebri proviene dalla tomba di Khety a Beni Hassan e risale alla XII dinastia6. Un altro giocattolo molto comune era la trottola: ne sono state ritrovate di varie dimensioni, da 2,5 cm a 7 cm, solitamente di forma conica e realizzate 5 DECKER 1992, pp. 111-113. 6 DECKER 1992, pp. 113-114. 4 usualmente in legno, ma ne esistono anche alcuni esemplari in faience. Nella tomba 3035 del visir Hemaka, risalente alla I dinastia, a Saqqara, e in diverse tombe di Kahun, sono stati trovati dischi di terracotta forati associati a dei bastoncini appuntiti lunghi circa 15-16 cm: probabilmente si trattava di un gioco che consisteva nel lanciare in aria i dischi e nel tentare di colpirli, in modo da farli cadere il più lontano possibile. I dischi di Hemaka, più di quaranta, come altri giocattoli rinvenuti in tombe, erano spesso delle vere opere d’arte: conservati in un cofanetto di legno intarsiato in avorio, erano realizzati in scisto o calcare, con intarsi in avorio, ebano, alabastro, pietre colorate e steatite. Alcune decorazioni, fatte ruotare, diventano vere e proprie immagini “cinematografiche” in movimento: ad esempio dei levrieri che inseguono delle gazzelle o due uccelli in volo (fig. 3). Potrebbe trattarsi di un gioco simile alla lippa, e a quello praticato ancora nel Novecento nel Lancashire chiamato “piggy” (o tip-cat, nel resto del Regno Unito), ma ne esiste una versione simile, anche se probabilmente più complessa, nell’Egitto moderno7. Fig. 3. I dischi della mastaba di Hemaka. La tomba 100 della necropoli predinastica di Naqada, scavata da Flinders Petrie, apparteneva ad un bambino e vi furono trovati nove birilli di calcite e breccia, quattro biglie di porfido e una “porta” formata da quattro listelli di pietra; un set simile fu rinvenuto dall’egittologo inglese anche in un’altra tomba della medesima località, ed era formato da sedici biglie (dieci di calcare, quattro di porfido, due di breccia), una sbarra di pietra, ma nessun birillo8. Sempre Petrie, nei suoi scavi a Ballas, rinvenne diverse biglie in cornalina, 7 PIERINI 1992, p. 86, ROSALIND- JANSSEN 1990, pp. 44-45. 8 ROSALIND-JANSSEN 1990, pp. 45-46. 5 porfido, agata, calcare, quarzo, forse utilizzate come pedine per il gioco del serpente o semplicemente da sole9. Giocattoli molto diffusi erano semplici figurine di argilla che rappresentavano ippopotami, coccodrilli, pecore, bovini, maiali, scimmie e molti altri animali. Un esemplare oggi a New York, rinvenuto da Lord Carnarvon a Deir-el- Bahari e risalente al Secondo Periodo Intermedio, rappresenta un asino con nove sacchi sulla groppa, trattenuti da tralci di vite; in altri casi sono raffigurati cavalli e cavalieri o piccoli carretti10. Naturalmente anche le bambole erano un giocattolo molto popolare: ne sono state trovate molte di stracci, legno, avorio, osso, spesso con corredi formati da parrucche e abiti di ricambio. In alcuni casi avevano arti mobili, e sul dorso poteva comparire un foro riempito di pece per inserirvi un bastoncino (fig. 4). Fig. 4. Bambole. Nella tomba di Sat-renenutet ad Hawara (XII dinastia), fu trovata una bambola con arti mobili e una parrucca (oggi purtroppo persa), oggi al Petrie Museum di Cambridge; Petrie scoprì, inoltre, in una casa di Kahun diverse parrucche di lino per bambole, formate da trecce di circa 15 cm tenute insieme da fango11. Sul significato della bambola di Sat-renenutet ha espresso una diversa interpretazione Angela Tooley. La studiosa, rianalizzando la documentazione di scavo redatta per la tomba 58 di Hawara da Petrie, e pur ammettendo che la presenza della presunta bambola indusse l’archeologo a 9 PIERINI 1992, p. 85. 10 ROSALIND-JANSSEN 1990, p. 46. 11 ROSALIND-JANSSEN 1990, p. 46. 6 definire la proprietaria della tomba una ragazza, sottolinea come le dimensioni del sarcofago fossero in realtà quelle tipiche degli adulti (49 cm), mentre i bambini, nel Medio Regno, erano sepolti in casse lignee molto più piccole. Inoltre, le adolescenti che avevano raggiunto la pubertà erano ritenute in Egitto già adulte, considerata la durata della vita media, e probabilmente, anche se doveva avere meno di vent’anni, Sat-renenutet era già considerata tale. Inoltre, Tooley ritiene la mobilità degli arti molto limitata e probabilmente non intenzionale, mentre sottolinea che la nudità della figura, nonostante l’area pubica non sia accentuata, sia già un indizio sufficiente a favore di un valore simbolico legato alla fertilità. La studiosa ha, poi, notato come molte di queste figure femminili, in faience, osso, avorio, legno e pietra, simili all’esemplare di Hawara, siano state ritrovate in tombe chiaramente di adulti, e all’interno di contesti cultuali, dove la deposizione di giocatoli non avrebbe avuto significato. Nella tomba 5 del Ramesseo, ad esempio, risalente alla V dinastia, compaiono testi magico-religiosi dedicati alla fertilità, insieme a una figura femminile in avorio con maschera leonina, associata di solito a Bes, custode della famiglia e dispensatore di fertilità; si tratterebbe quindi forse della tomba di un sacerdote-medico, come sembrano suggerire anche due “bacchette magiche” in avorio, usate nei rituali di protezione per donne incinte e neonati. Figure di questo tipo, dunque, si possono trovare certamente trovare in tombe infantili, ma sono comuni anche nelle sepolture di uomini e donne adulti, e avrebbero avuto soprattutto la funzione magica e apotropaica di scongiurare la sterilità e di assicurare ai possessori una discendenza, su questa terra o nell’aldilà12. Oggetti più chiaramente legati alla fertilità sono le cosiddette bambole con braccia e testa grossolanamente abbozzate, a volte con capigliature di perline, e corpo appiattito come una spatola, senza gambe, ma con il triangolo pubico ben evidente, il che le collega più direttamente alla fertilità e al parto13. Barguet ha sottolineato, inoltre, la somiglianza fra questi oggetti e il contrappeso delle collane menat, ugualmente legate alla fertilità perché connesse con il culto di Hathor e con la nascita di Horus, in cui questa dea 12 TOOLEY 1991, pp. 101-106. 13 I primi esemplari di tali bambole emersero durante la campagna di scavo di Winlock a Deir el-Bahari nel 1930-1931, all’interno di tombe risalenti all’XI dinastia (2080-1090 a.C.). Vedi H.E. WINLOCK, Excavation at Deir el- Bahri, 1911- 1931, New York 1942. 7 giocò un ruolo importante14. Inoltre, nel Nuovo Regno, anche Mut, sposa di Amon e madre per eccellenza, è chiamata la “signora del menat”, così come il tempio di Hathor a Dendera era noto anche come il “castello del menat”. Secondo l’egittologo, la parte arrotondata terminale di queste bambole ricorda quelle del menat, dove compaiono fiori di loto (che è culla di Horus e probabilmente una stilizzazione del triangolo pubico) e scene di allattamento. A volte il corpo centrale di questo oggetto è sostituito con lo scarabeo, il cui nome in geroglifico, kheper, significa anche trasformarsi ed è simbolo di rinascita15. Diversi musei ospitano, inoltre, animali (coccodrilli, gatti, topi, cavalli) con parti mobili o su ruote, che potevano essere tirati con una cordicella. A Leida è conservata una rozza figurina di legno che può essere azionata tramite una cordicella, che rappresenta una figura umana che macina i cereali, mentre un oggetto molto più raffinato (e forse quindi non un giocattolo) è stato ritrovato in una tomba di Lisht, risalente al Medio Regno e appartenuta ad una ragazzina di nome Hapy. Si tratta di quattro figurine di pigmei (una è oggi al Cairo, le altre a New York) in avorio, di circa 6 cm, poste su di una base, che possono essere mosse tramite delle levette fissate a cordicelle, che permettono così di far “danzare” le figure e perfino di farle ruotare di 360° (fig. 5)16. Tooley ritiene che, anche in questo caso, si trattasse di un oggetto legato alla fertilità, più che un giocattolo, non solo considerando la fragilità del materiale: ancora una volta, nonostante Hapy fosse probabilmente appena adolescente, era già ritenuta in grado di avere una famiglia, come sembra sottolineare anche la cintura di cipree che cingeva i fianchi della mummia di Hapy, tipicamente associata in Egitto alle donne in età fertile17. Fig. 5. Pigmei danzanti. 14 La collana menat è formata da un contrappeso cui sono fissati una più file di elementi sferici. 15 BARGUET 1953, pp. 103-108. 16 ROSALIND-JENSSEN 1990, pp. 48-49. 17 Le cipree sono molluschi marini con conchiglia ovale e liscia formata da una sola valva, spesso considerati simbolo di fertilità (TOOLEY 1991, pp. 106-107). 8 Alcune tombe di Antico e Medio Regno raffigurano gruppi di ragazzi e ragazze intenti a praticare attività ludiche e sportive all’aperto; di solito maschi e femmine non sono rappresentati insieme, e in molti casi nell’Antico Regno l’età infantile dei personaggi rappresentati si evince dalle acconciature, specialmente la treccia sul cranio rasato, mentre per il Medio Regno potrebbe trattarsi ugualmente di bambini e adolescenti. Buona parte delle testimonianze di questi giochi proviene dai rilievi delle mastabe di Ptahhotep (V dinastia) e Mereruka (VI dinastia) a Saqqara, dalla tomba di Idu a Giza, sempre di VI dinastia, e da quella di Medio Regno (XII dinastia) di Khety e Baqt III a Beni Hassan. Spesso le ragazze sono raffigurate mentre compiono danze acrobatiche, probabilmente in occasioni festive e religiose, come si evince da numerose scene rappresentate sulle pareti dei templi (ad esempio, per il Nuovo Regno, a Karnak, sulle pareti della Cappella Rossa di Hatshepsut, o a Luxor), mentre la tomba di Baqt e Khety mostra gruppi di ragazze che si sostengono a vicenda per fare capriole. Anche i ragazzi sono raffigurati mentre compiono giravolte o fanno la ruota, ad esempio sulle parteti della tomba di Amenemhat a Beni Hassan. Si praticavano anche giochi di equilibrio: camminare sulle mani, rimanere in equilibrio sul capo con le braccia incrociate sul petto, o il gioco “della stella”, chiamato nell’antico Egitto “erigere il pergolato di viti”. Di solito in questo gioco ci sono due ragazzi al centro con le braccia distese, che afferrano le mani degli altri partecipanti, che si inclinano all’indietro e vengono fatti girare il più velocemente possibile. Una delle rare raffigurazioni di ragazzi e ragazze che giocano insieme mostra due ragazzi che fanno girare quattro ragazze (tomba di Baqt III); nella mastaba di Ptathhotep l’iscrizione che accompagna la scena recita “gira, quattro volte” (fig. 6)18. Fig. 6. Gioco della stella dalla mastaba di Ptahhotep. 18 ROSALIND-JENSSEN 1990, pp. 55-57. 9 Un altro gioco molto popolare assomigliava a quello che nell’Egitto moderno è noto con il nome di khazza lawizza, probabile distorsione dell’espressione araba katta al wizza che significa “saltare l’oca”: solitamente, due ragazzi si siedono a terra, con le gambe protese in avanti o divaricate e i piedi che si toccano e con le braccia ugualmente aperte e con le dita delle mani intrecciate, in modo da formare un ostacolo che un terzo partecipante deve saltare (fig. 7). Nella mastaba di Ptahhotep compare probabilmente il nome egizio del gioco, “il capretto nel campo”19. Fig. 7. Khazza lawizza nell’Egitto di metà Novecento e nella mastaba di Ptahhotep. Anche la lotta era un gioco molto diffuso fra ragazzi e bambini, come mostrano le scene delle tombe di Amenemhat, Baqt III e Khety, così come braccio di ferro. Una statuetta in calcare proveniente dalla tomba di Ny-kaw- inpu a Giza (V-VI dinastia) e oggi a Chicago, mostra un bambino e una bambina che saltano la cavallina, mentre in altri casi ci sono bambini che portano i compagni sul dorso. Anche il tiro alla fune era molto popolare, e compare ad esempio sulle pareti della mastaba di Mereruka, anche se, in questo caso, non c’è una corda e i partecipanti al gioco, tre per ogni squadra, si tengono per mano, mentre i primi della fila afferrano l’uno il polso dell’altro; interessante la didascalia in geroglifico che li accompagna: “il tuo braccio è molto più forte del suo, non cedergli” e “la mia squadra è più forte della vostra. Stringili forte, amico mio”20. Nella tomba di Baqt III compaiono inoltre tre figure di ragazzi che sollevano degli oggetti piriformi, forse una specie di “sollevamento pesi”, fatto con dei mazzuoli, mentre nella mastaba di Khety 19 DECKER 1992, pp. 67-68. 20 ROSALIND-JENSSEN 1990, pp. 58-60. 10
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