UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE LINGUISTICHE E LETTERARIE CICLO XXVII TESI DI DOTTORATO DI RICERCA Friedrich Hölderlin nell’opera di Andrea Zanzotto: un dialogo poetico e poetologico RELATORI DOTTORANDA Chiar.mo Prof. Luigi Reitani Sara Bubola Chiar.ma Prof.ssa Sonja Kuri Anno accademico 2015/2016 Per Luca e per i nostri figli INDICE AVVERTENZA 1 PREMESSA 2 Capitolo primo HÖLDERLIN E ZANZOTTO: ANATOMIA DI UN INCONTRO POETICO 5 1.1 Aspetti biografici: un confronto 6 1.2 La formazione di Zanzotto, l’incontro effettivo con Hölderlin 14 1.3 Le fonti comuni 34 Capitolo secondo SULL’INTERTESTUALITÀ COME PROCEDIMENTO LETTERARIO 45 2.1 Citazione e allusione 52 2.2 Il modello Broich-Pfister 56 2.3 L’intertestualità in Zanzotto 59 Capitolo terzo IL DIALOGO CON HÖLDERLIN NELL’ITINERARIO POETICO ZANZOTTIANO 63 3.1 I Versi giovanili 63 3.2 Dietro il paesaggio 73 3.3 Hölderlinfobia: Elegia ed altri versi e Vocativo 91 3.4 Tensione al sublime e distanza ironica: IX Ecloghe 108 3.5 Hölderlin come ‘resistenza’: La Beltà 120 3.6 Oltre La Beltà 161 Capitolo quarto CONVERGENZE FORMALI 187 4.1 Sulla dimensione elegiaca della poesia hölderliniana e zanzottiana 189 4.2 Gli Inni 204 RINGRAZIAMENTI 209 BIBLIOGRAFIA 211 AVVERTENZA Per le poesie di Friedrich Hölderlin citate nel presente lavoro, salvo dove diversamente indicato, mi baso sui testi del «Meridiano» Tutte le liriche, e dunque sul testo critico proposto da Luigi Reitani e sulle sue traduzioni. A questo volume (Milano, Mondadori, 2001) farò riferimento con la sigla TL. Non essendo infatti possibile stabilire con certezza a quale traduzione si appoggiasse Zanzotto, si è scelta l’edizione più recente e più accurata dei testi hölderliniani per dare al lettore non germanofono la possibilità di orientarsi autonomamente. I riferimenti a edizioni diverse saranno specificati di volta in volta nelle note. Per i testi di Andrea Zanzotto utilizzo come edizione di riferimento il «Meridiano» delle Poesie e prose scelte, a cura di Stefano Dal Bianco e Gian Mario Villalta (Milano, Mondadori, 1999) abbreviato con la sigla PPS. Alle singole raccolte zanzottiane farò riferimento attraverso le seguenti sigle: VG per i Versi giovanili (1938-1942) DP per Dietro il paesaggio (1951) El per Elegia e altri versi (1954) V per Vocativo (1957) Ecl per IX Ecloghe (1962) LB per La Beltà (1968) SFS per Gli Sguardi i Fatti e Senhal (1969) Pq per Pasque (1973) F per Filò (1976) GB per Il Galateo in Bosco (1978) Fos per Fosfeni (1983) Id per Idioma (1986) M per Meteo (1996) S per Sovrimpressioni (2001) Co per Conglometrati (2009) 1 PREMESSA Una delle prime questioni che un giovane studioso si pone nell’accingersi alla stesura della propria tesi di dottorato, che si presenta come un avventuroso percorso di scoperta di quella che inizialmente gli appare come una ˗ seppur seducente ˗ terra incognita, è quella relativa agli obiettivi e al metodo di lavoro. Nelle pagine che seguono, prenderò in esame il rapporto tra due grandi poeti della Weltliteratur, Friedrich Hölderlin e Andrea Zanzotto, animata dalla convinzione che le letterature nazionali non potrebbero esistere senza l’influsso, lo stimolo e il nutrimento che si forniscono reciprocamente, non solo sotto la forma dell’influenza che un autore può esercitare su un altro, ma anche ˗ all’inverso ˗ nella forma della ricezione. Se è ormai assodato che l’analisi delle fonti e dei riferimenti intertestuali impliciti ed espliciti che hanno contributo a costituire l’aspetto contenutistico e la veste formale di un testo ci aiutano a comprenderlo meglio, è altrettanto importante, per illuminare più profondamente quel testo, guardare ai modi in cui è stato letto e interpretato, anche a grande distanza di tempo e di luoghi. Il mio obiettivo è dunque sia quello di leggere Zanzotto attraverso Hölderlin, sia quello di leggere Hölderlin attraverso Zanzotto, per suggerire ulteriori prospettive su quelle che appaiono questioni sempre aperte, ovvero suscettibili di essere rimesse in discussione. Per quanto riguarda il metodo delle mie ricerche, pur riconoscendo l’importanza di stabilire delle coordinate preliminari a livello pragmatico, mi sono imposta di resistere alla tentazione di ‘forzare la mano’ cercando analogie dove non ce ne sono per sostenere una tesi definita in partenza, e di farmi piuttosto guidare dai suggerimenti che Andrea Zanzotto ha disseminato nei suoi testi e nelle sue interviste. Egli era convinto dell’impossibilità di affrontare la complessità di un testo letterario attraverso il filtro di una teoria, per quanto valida, o di un preconcetto ideologico: Basta porsi di fronte a un quadro di Escher per scoprire in esso un’analogia con la complessità dei nessi che collegano le varie parti della nostra realtà: siamo proiettati in un continuo “dentro-fuori”, rischiamo di arrivare, per una strada apparentemente nota, in un posto diverso o di compiere una scoperta non preventivata, grazie a quella serendipity di cui parlava Walpole per indicare la capacità di trovare, in maniera del tutto casuale, qualcosa di inatteso o di estraneo a quanto si stava cercando, e che ha dominato spesso nella vita umana e nelle scoperte, come partire per trovare le Indie e scoprire quella che sarebbe poi stata chiamata, dal nome del suo scopritore, America. Per quanto riguarda la letteratura, e più 2 specificamente la poesia, l’irruzione dell’inatteso è fenomeno inevitabile, sicché l’errore che di solito si compie nell’interpretare i testi di poesia è di intenderli come consapevoli realizzazioni di un “programma”, di un preciso manifesto poetico, quasi come di un progetto di natura filosofico-scientifica. Ma la poesia “realizzata”, anche quella riconosciuta (a posteriori) come la più conscia delle leggi stilistiche soggiacenti ai propri meccanismi espressivi, è in realtà connessa a un enigmatico-angosciante processo di “genesi” dagli esiti imprevedibili, configurandosi come groviglio inestricabile di fantasmi che aderiscono al vissuto individuale.1 Pur prendendo in considerazione, nel corso del secondo capitolo, le varie teorie sull’intertestualità e sull’analisi testuale, nessuna di esse sarà applicata in maniera sistematica. Beninteso: mi rendo conto che la scelta iniziale di aderire a una precisa ‘scuola’ avrebbe agevolato il viaggio, fornendomi i punti cardinali, i riferimenti sicuri nella scalata e nell’esplorazione di questo monte, e impedendomi di perdermi. Risulterebbe altresì più convincente esporre in partenza una tesi, e addurre, nel corso dei vari capitoli, diverse prove a suo sostegno. Ma, per rimanere nell’ambito metaforico della montagna (tanto caro a Zanzotto), non sempre i sentieri più sicuri, quelli che conducono a una meta definita in partenza, sono anche i più panoramici. Ho scelto, dunque, fin dall’inizio, la via che ritengo più panoramica, nella convinzione che ciò che conferisce spessore e senso alle nostre esperienze (in questo caso, la lettura e lo studio della poesia) sia ciò che ci fa perdere l’equilibrio e l’orientamento, non ciò che ci permette di mantenerlo saldo. In una intervista di fondamentale importanza poetologica, Zanzotto riflette sull’approccio ai testi letterari paragonandoli proprio a delle montagne: Supponendo che ogni autore sia una montagna, ci sono vari sentieri per raggiungerne la vetta: c’è la via Tissi, la via Comici se si tratta di una parete dolomitica…Io direi che non si inventano mai metodi bastanti per entrare nel vero nucleo reale (che “non c’è”) di un autore o di un’opera, perché ogni testo fascia qualche cosa di indicibile, di misterioso, di inavvicinabile.2 Sarà dunque questo sincretismo metodologico a orientare il mio approccio ai testi. Un ultimo suggerimento da parte di Zanzotto spiega il motivo per cui, nella mia analisi, ho scelto di non escludere del tutto la prospettiva autobiografica, integrandola nell’interpretazione quando mi sembrava che avesse senso farlo: 1 ANDREA ZANZOTTO, Il paesaggio come eros della terra, in IDEM, Luoghi e paesaggi, a cura di Matteo Giancotti, Milano, Bompiani, 2013, pp. 31-32. 2 «Diverse linee d’ascesa al monte». Intervista ad Andrea Zanzotto, a cura di Donatella Favaretto, «Revue des Études Italiennes», XLIII, n. 1-2, Janvier-Juin 1997, pp. 51-65: p. 51. 3 D’altra parte non dobbiamo mai dimenticare, qui è il punto essenziale, che la “vita” e il corpo sono dei testi che portano una scrittura persino nei tratti del viso degli autori; sono scritture continue anche a livello fisico. Senza entrare nella fisiognomica, nei miti settecenteschi di Lavater e compagnia, c’è veramente una storia che è testo all’interno del corpo stesso della persona, e quindi la scrittura in un certo senso deve essere vista come compartecipe di questo quid in continua evoluzione. Anche per questi motivi io non ho mai visto la possibilità di una vera distinzione e separazione tra soma e psiche, anche per quanto riguarda i metodi da applicare nella critica (non solo letteraria).3 La mia tesi si apre proprio con un capitolo dedicato allo studio delle coordinate autobiografiche dell’incontro di Zanzotto con Hölderlin, dei motivi per cui da subito egli ha avvertito un’affinità e una sorta di identificazione col poeta svevo, e delle letture che hanno nutrito questo incontro; vi è una sezione sulle fonti comuni, che delimita ed esclude dalle indagini quei casi in cui le analogie con Hölderlin non sono spiegabili come influssi diretti, bensì risultano mediate dalle letture degli stessi classici latini. Dopo un capitolo teorico che mette a fuoco quello che sarà l’oggetto delle mie ricerche e i criteri seguiti, la parte centrale del lavoro si dedica all’analisi delle incidenze testuali hölderliniane nelle raccolte di Zanzotto, prese in esame in ordine cronologico, per dimostrare da un lato il fatto che questo riferimento ha davvero accompagnato Zanzotto per tutta la vita, e dall’altro il variare dei significati associati a Hölderlin, e di conseguenza le differenze nelle tecniche citazionali e allusive. Ne emerge una serie di tematiche e motivi comuni, che verranno messi a raffronto anche allo scopo di indagare le diverse risposte elaborate dai due poeti per dare una spiegazione a problematiche affini. Nella quarta parte prendo infine in considerazione alcune possibili convergenze formali tra la poesia di Hölderlin e quella di Zanzotto, che dimostrano come il poeta svevo costituisca per Zanzotto un modello di elevazione al sublime anche sotto il profilo stilistico. 3 Ivi, p. 53. 4 I. Hölderlin e Zanzotto: anatomia di un incontro poetico «Se vi è un esponente delle nostre lettere per il quale pare opportuno coniare il termine di “hölderlinismo”, su ricalco di voci che in una lunga e consolidata tradizione critica sono in uso per indicare la rilevante incidenza di modelli canonici e “legiferanti” come Petrarca e Leopardi, questo è Zanzotto»: così Giovanna Cordibella introduce il capitolo dedicato a Zanzotto nella sua monografia Hölderlin in Italia. La ricezione letteraria, in cui la studiosa ricostruisce meticolosamente gli influssi che la figura e l’opera di Friedrich Hölderlin ebbero sulla letteratura italiana tra l’Ottocento e il Novecento4. Lo stretto legame esistente tra i due poeti è del resto un assunto consolidato nell’ambito della Hölderlinforschung: come afferma Luigi Reitani, «l’autore italiano del Novecento che più di ogni altro sembra accogliere la lezione di Hölderlin è sicuramente Andrea Zanzotto»5. Prima ancora che la critica, è Zanzotto stesso a sottolineare ripetutamente il suo debito nei confronti del poeta tedesco, che si concretizza non solo in un repertorio di citazioni e tributi, ma anche in un sentimento di identificazione, attrazione e repulsione che percorre tutta la sua vita e che è riscontrabile, come si vedrà nel terzo capitolo, in ognuna delle sue raccolte poetiche. Un fondamentale punto di riferimento nella ricostruzione di questo rapporto è senz’altro il saggio Con Hölderlin, una leggenda6, che costituisce lo scritto introduttivo al Meridiano Mondadori di Tutte le liriche di Friedrich Hölderlin pubblicato nel 2001, in cui Zanzotto delinea le coordinate autobiografiche della sua identificazione con Hölderlin.7 In questa sede, egli racconta la sua scoperta del poeta svevo, ripercorrendo le varie tappe e le diverse declinazioni di un «riferimento lungo quasi una intera vita»8. Non si tratta naturalmente di una 4 GIOVANNA CORDIBELLA, Hölderlin in Italia. La ricezione letteraria, Bologna, Il Mulino, 2009. 5 LUIGI REITANI, Le traduzioni di Hölderlin e la poesia italiana del Novecento, «Il Veltro», 49, n. 4-6 (luglio-dicembre 2005), pp. 188-197: p. 194. 6 ANDREA ZANZOTTO, Con Hölderlin, una leggenda, (d’ora in avanti abbreviato CHL), in FRIEDRICH HÖLDERLIN, Tutte le liriche, edizione tradotta e commentata e revisione del testo critico tedesco a cura di Luigi Reitani, Milano, Mondadori, 2001, [TL], pp. XI-XXIV. 7 Lo scritto costituisce una rielaborazione dell’intervista Gespräch über Hölderlin. Interview mit Andrea Zanzotto von Giuseppe Bevilacqua, «Hölderlin-Jahrbuch», 32, 2000-2001, pp. 198-222. 8 CHL, p. XI. 5 ricostruzione storica dei fatti finalizzata a un’adesione perfetta alla realtà e alla verificabilità degli eventi, quanto piuttosto di una narrazione filtrata attraverso la lente dei ricordi, che ha lo scopo di far emergere i motivi e i temi che lo hanno legato al poeta svevo fin dalla giovinezza. Così egli rievoca il primo incontro con la poesia di Hölderlin, avvenuto nel 1938: Il mio primo incontro con Hölderlin è avvenuto nel momento in cui stavo entrando all’università, avevo diciassette anni e iniziavo le frequenze a Padova, continuando però a vivere nel mio paese. Nelle università c’era un attivo movimento culturale, cui molti partecipavano. Un amico mi fece avere una vecchia edizione di Hölderlin in caratteri gotici, assicurandomi che avrei riconosciuto senza alcun dubbio un grande poeta, e io cominciai, col poco tedesco che avevo, a decifrarlo.9 L’incontro di Zanzotto con Hölderlin ha le caratteristiche di una folgorazione: vi è qualcosa nel poeta di Tubinga che provoca in Zanzotto un immediato senso di identificazione e di attrazione, come se proprio questa ideale figura di guida e maestro avesse depositato, nel solitario giovane di Pieve di Soligo, il dono della Poesia. Non è un caso, del resto, che in molte liriche in cui Zanzotto evoca o cita Hölderlin ricorra il motivo del fulmine divino, dell’‘assideramento’, a descrivere l’ineluttabilità di un incontro destinato a lasciare una traccia perenne nella sua vita e nella sua opera10. Agli occhi di Zanzotto, la Poesia rimarrà sempre un dono salvifico ma al contempo doloroso, e il mestiere di poeta una vocazione e una missione a cui è necessario restare fedeli, contro le lusinghe dell’oblio e della dissoluzione. A motivare questo senso di identificazione sono una serie di costanti biografiche che verranno prese in esame in quanto accomunano le esistenze dei due poeti, contribuendo allo sviluppo di due sensibilità molto affini. 1.1 Aspetti biografici: un confronto Innanzi tutto, a lasciare una traccia indelebile nell’anima dei due poeti è la ripetuta esperienza del lutto che caratterizza la loro infanzia. All’età di due anni, nel 1772, Hölderlin perde il padre, che muore improvvisamente per un ictus cerebrale. Questo 9 CHL, XI-XII. 10 Si confronti § 3.2, pp. 80-86 e § 3.5, p. 132. 6
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