ELECTRUM * Vol. 24 (2017): 55–73 doi:10.4467/20800909EL.17.021.7503 www.ejournals.eu/electrum ThE KiNg’S SPEECh. lA rETOriCA dEi rE PErSiANi frA ESChilO, ErOdOTO E TuCididE Francesca Gazzano Università di Genova Abstract: This paper aims at collecting and investigating, from a rhetorical point of view, the speeches of the Achaemenid kings (from Cyrus to Xerxes) mentioned in Greek sources, with a special focus on Herodotus’ Histories. The many and heterogeneous discourses which this his- torian attributes to the different Persian kings (dialogues, private conversations, messages, letters and simple speech acts) are analysed and compared, and the research seems to point to some recurrent – and probably well-devised – patterns. The paper also takes into account the poetic speeches of Darius and Xerxes in Aeschylus’ Persians, and the scant evidence (a letter from Xerxes to Pausanias) transmitted by Thucydides. Key words: Herodotus, Great King, Persia, speeches, rhetoric, letters, Greek historiography. Il presente contributo costituisce una prima esplorazione, in prospettiva di un lavoro a più ampio spettro, delle caratteristiche retoriche e argomentative dei discorsi (compresi i messaggi, i colloqui, le epistole) che la tradizione letteraria greca attribuiva ai sovrani persiani; in questa sede si proporranno alcune considerazioni sulle testimonianze più antiche, in particolare Eschilo ed Erodoto.1 Ciò, naturalmente, soprattutto a causa della prevedibile – ma comunque debordante – quantità di attestazioni nelle Storie, certa- mente l’opera in questo senso più feconda, insieme forse alla Ciropedia senofontea. Quest’ultima, tuttavia, prefigura finalità e problemi specifici e assai diversi:2 per la sua stessa natura necessita dunque di un’indagine di taglio differente, che dovrà essere con- dotta in altra occasione. Quanto alle ragioni che hanno indotto a concentrare l’analisi su Erodoto, nonostante l’iniziale impulso a non tener conto di gran parte del materiale – sulla base dell’ovvio presupposto che si tratta nella maggioranza dei casi di creazioni dello storico, a fini drammatici, narrativi, eziologici e via dicendo – basti notare che 1 Sono grata a Federico Muccioli e ad Andrea Piras per l’invito e per la generosa ospitalità. Grazie, más allá de todo, a Walter Lapini. 2 Vd. e.g. Gera 1993; Sage 1994/1995; Tuplin 2012; Gera 2013; Tamiolaki 2016; cf. i saggi compresi nella sez. IV (Cyropaedia) in Gray 2010. 56 frANCESCA gAzzANO nel loro complesso i discorsi che lo storico di Alicarnasso assegna ai re persiani non sono mai stati studiati, finora, in quanto tali, pur a fronte di una bibliografia erodotea sterminata,3 né confrontati, se non per qualche sporadico caso, con la documentazione orientale o con altri paralleli letterari greci.4 Parimenti, anche al fine di contestualizzare più correttamente la versione/visione di tali discorsi in Erodoto, si è reso inevitabile prendere le mosse da quella che, almeno per ciò che è giunto fino a noi, costituisce la prima rappresentazione greca della retorica dei re achemenidi, vale a dire i Persiani di Eschilo, tragedia che con ogni probabilità esercitò una significativa influenza sullo stesso Erodoto,5 e in cui tanto Dario quanto Serse danno voce “concreta” (per quanto greca) a parole memorabili. Infine, si è provato a confrontare la valutazione dei molti discorsi dei re di Persia tràditi da Erodoto – sui quali grava non solo l’evidente carattere fittizio, ma anche la stessa cattiva reputazione dell’autore – con il solo esempio di discorso (nei fatti, una missiva) di un sovrano persiano nell’opera di Tucidide: con quale esito non è tuttavia qui il caso di anticipare. 1. I Greci e la parola del Gran Re Ἑκαταῖος Μιλήσιος ὧδε μυθεῖται· τάδε γράφω... “Ecateo di Mileto così dice: scrivo queste cose…”. Nel celebre frammento ecataico,6 incipit delle Storie o Genealogie, si tende ormai a riconoscere una modalità comunicativa quasi epistolare, e Aldo Corcel- la7 ha acutamente supposto che il principale modello ispiratore sia da individuare nella prassi della cancelleria achemenide di trasmettere le volontà dei vari sovrani attraverso lo strumento del messaggio, nella forma di lettera o proclama, redatto per iscritto ma de- stinato in primis alla lettura orale da parte di araldi e messaggeri.8 In tal caso, e l’ipotesi appare suggestiva, ne conseguirebbe non solo che i Greci contemporanei di Ecateo – e in specie i Greci della costa asiatica, sudditi del Gran Re – avessero una certa familiarità con le forme, e le formule, della comunicazione ufficiale del mondo achemenide, ma che anche un intellettuale del calibro di Ecateo ne ritenesse l’enunciato così efficace da decidere di riprenderlo, naturalmente adattandolo ai propri intenti, per aprire la sua opera “storica”; ciò avrebbe dato origine, a sua volta, a una sorta di paradigma proemiale cui si attenne Erodoto e, in certo senso, anche Tucidide.9 3 Non è possibile dare qui conto, neppure per sommi capi, della bibliografia erodotea (anche limitandosi alla più recente): nelle singole note si farà riferimento solo ai contributi più rilevanti per il tema indagato. 4 Nonostante l’attenzione crescente per i discorsi erodotei, fino a pochi anni fa ritenuti di scarso interesse (vd. quanto osservavo in Gazzano 2002, 19–24), nessuna delle opere più recenti tratta i discorsi “persiani” di Erodoto come categoria specifica di analisi: vd. infra. 5 E.g. Saïd 1981, 17–38; Pelling 1997, 1–19; Flower 1998, 365–379; Parker 2007, 2–29. 6 FGrH 1 F 1 (= F 1 Nenci = F 1 Fowler). Vd. ora il commento di Fowler 2013, 677–679. 7 Corcella 1996, 295–301. 8 Sebbene l’uso di messaggi scritti fosse senz’altro noto ai Greci, studi recenti hanno evidenziato che nella mentalità greca, almeno fino alla piena età classica, la lettera era considerata uno strumento giudicato infido e sospetto, spesso posto in connessione con inganni e tradimenti: Rosenmeyer 2001, 45–60; Ceccarelli 2013; Bowie 2013. Più in generale, sulla diffidenza dei Greci nei confronti della parola scritta vd. quanto os- serva Lapini 2013, 31–36 e nota 30. 9 Su ciò soprattutto Porciani 1997; Fowler 2013, 673–677. The King’s Speech. La retorica dei re persiani fra Eschilo, Erodoto e Tucidide 57 Di fatto, gli esempi di messaggi ufficiali in cui il sovrano persiano “parla” diretta- mente, in prima persona, attraverso la formula d’esordio “(così) dice il re” – addotti da Corcella per corroborare questa interpretazione del frammento di Ecateo – sono desunti tanto dalla documentazione, specialmente epigrafica, persiana (per esempio la celebre iscrizione monumentale di Dario a Behistun/Bisotun, in cui la formula apre pressoché tutti i paragrafi del testo10), e più in generale orientale (dalle testimonianze del II millen- nio a.C. a quelle dell’Antico Testamento11), quanto da quella in lingua greca (la contro- versa Lettera di Dario a Gadatas):12 data la loro notorietà non vi è in questa sede neces- sità di soffermarvisi.13 In linea generale, è possibile, anzi, è probabile che la voce del Gran Re, qualunque ne fosse il messaggio, arrivasse a tutti i suoi sudditi, e a tutti i suoi interlocutori, soprattutto in questa modalità comunicativa (anche nelle iscrizioni),14 e che i Greci – non solo quelli della Ionia – ne conoscessero e ne sapessero riconoscere lo stile, l’autorevolezza e la solennità. Peraltro, nella tradizione letteraria greca non mancano esempi di lettere e messaggi di re persiani strutturati proprio secondo questo modulo espressivo, con l’esordio alla terza persona singolare (“dice il re…”) e il resto del messag- gio direttamente in prima persona, ad ottenere l’effetto di una trasmissione diretta – anche se virtuale, mediata dalla voce del messaggero – dal re in persona al o ai destinatari. Tut- tavia, sebbene ben pochi dovessero essere nel complesso i Greci che ebbero la ventura di vedere il Gran Re, e ancora meno quelli che ne poterono ascoltare la viva voce, nella letteratura superstite ai vari sovrani persiani sono spesso e volentieri attribuiti non solo questo genere di messaggi, ma anche discorsi, diretti e indiretti, di ogni forma: colloqui, dialoghi, conversazioni private e interventi “ufficiali”, imprecazioni e maledizioni, non- ché una ricca gamma di espressioni vocali non verbali come riso, singhiozzi, lamenti. Partendo dal presupposto, in apparenza scontato, che è arduo che la quasi totalità dei discorsi riportati abbia sicuro fondamento o attendibilità storica – e dunque senza alcuna pretesa di trarne deduzioni in questo senso – si vorrebbe in quanto segue provare a rac- cogliere gli esempi erodotei e a confrontarli nelle loro caratteristiche “retoriche” e nel loro insieme, al fine di verificare se e quanto presentino elementi ricorrenti, o tratti pecu- liari; ciò, si intende, con l’unico obiettivo di offrire, nella più rosea delle ipotesi, qualche elemento per illuminare meglio la rappresentazione greca – meglio, erodotea – della regalità persiana, realtà che per i Greci di età classica, nonostante i rapporti di lunga data, rimase fondamentalmente estranea e sostanzialmente impenetrabile, e perciò spesso e volentieri fu da essi reinterpretata secondo i propri parametri e la propria mentalità.15 Del 10 Corcella 1996, 296. Sull’importanza di questa iscrizione anche dal punto di vista della diffusione del messaggio veicolato dal testo iscritto (DB, IV, 88–92, §70), vd. di recente Piras 2012; Rollinger 2016. Tra- duzione italiana in Asheri 1990, 365–381; per altre traduzioni vd. Lecoq 1997, n. 4, 187–217; Kuhrt 2007, 5A/1, 141–158, con ulteriore bibliografia. 11 Corcella 1996, 296–297: i paralleli biblici proposti sono 1 Reg 20,3 (Ben Adad); Esdra 5,17–6,2 (Ciro). Sulla formularità epistolare dell’espressione vd. Piras 2012: 431–437; sulla derivazione da precedenti neo-assiri: Kuhrt 2014, 121. 12 Sull’autenticità della lettera a Gadatas (I. Magnesia 15; ML 12), vd. i dubbi di Briant 2003; contra Tu- plin 2009. Per gli esempi in Erodoto, vd. già van den Hout 1949 (I–II); Porciani 1997, 22ss.; 34ss.; Ceccarelli 2013, 102–130. Sul caso (erodoteo) di Policrate, vd. Kazanskaya 2013, 47–68. 13 Vd. di recente Kuhrt 2014; Rollinger 2016. 14 Sul ruolo della rappresentazione iconografica del re nella documentazione achemenide, vd. Allen 2005. 15 Per una disamina recente si veda Vlassopoulos 2013. 58 frANCESCA gAzzANO resto, come mostra icasticamente la raffigurazione del Gran Re sul cosiddetto “Vaso di Dario”,16 un’immagine figurativa offre più indicazioni sulle intenzioni e sulla prospettiva del suo artefice che sul soggetto rappresentato: e ciò vale in linea generale per tutto ciò che i Greci ci hanno trasmesso sulla realtà del mondo persiano, benché il loro quadro sia in più di una circostanza il meglio conservato.17 2. Discorsi drammatici: Dario e Serse nei Persiani “Drama has its own rules, and they are not the same as those of a history book”. In questi termini, icasticamente, si è di recente espresso Alexander Garvie in merito alla carat- terizzazione storica dei Persiani di Eschilo,18 ed è ovviamente così. Tuttavia, un’analisi della retorica (greca) dei re persiani non può prescindere da questa tragedia, che – stando a quanto è sopravvissuto della stessa letteratura greca – contiene i più antichi discorsi veri e propri attribuiti a due diversi re persiani composti da un autore greco, ben prima di quelli che costellano le Storie erodotee: pur essendo creazioni poetiche e per ciò stesso non necessariamente attendibili, se ne tratterà in quanto è opinione consolidata che la rappresentazione di questo testo, messo in scena nel 472, a otto anni dagli eventi che descrive, avesse esercitato un influsso considerevole sia sull’immaginario collettivo ateniese (e più in generale greco), sia sulle successive narrazioni degli stessi avveni- menti, a partire appunto da Erodoto.19 Naturalmente, su questa celebre pièce la critica moderna ha discusso a lungo, e continua a discutere, con esiti diversi, in merito a molte questioni: dal livello di conoscenza del mondo persiano da parte del tragediografo, allo spirito del dramma, dalla raffigurazione contrastiva dei due sovrani all’intento stesso del poeta, dal messaggio poetico a quello politico del testo;20 qui, tuttavia, a prescindere da queste pur centrali questioni, ci si limiterà a segnalare qualche aspetto notevole, a livello lessicale e argomentativo, delle parole che Eschilo attribuisce ai due protagonisti. Nel secondo episodio della tragedia, l’εἴδωλον del defunto Dario, richiamato sulla terra, dialoga con il Coro dei consiglieri persiani (vv. 681–702), quindi con la regina, madre di Serse (vv. 703–783), infine ancora con il Coro (vv. 784–842): il fatto stesso che il dis- corso di Dario sia – con un effetto scenico notevole – proferito dalla sua ombra, da uno spettro, doveva esplicitarne immediatamente la natura del tutto fittizia; in questo senso si differenzia dalle parole che nell’esodo sono attribuite a Serse (vv. 909–1077), il quale presenta, sia pur nell’invenzione poetica, tratti che gli spettatori avrebbero forse potuto 16 Cratere apulo a volute del Pittore di Dario, ca. 330 a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale 81947 [H 3253]): per l’interpretazione, vd. Allen 2005, 54–56; Taplin 2007, 235–237; Bridges 2015, 134–135; Llewellyn-Jones 2017, 5–9. 17 Sull’importanza della tradizione greca per la ricostruzione della storia persiana, e sui limiti che ne derivano, vd. i saggi in Sancisi-Weerdenburg/Kuhrt 1987; Briant 2002, 5–9 e passim; più in generale, vd. Harrison 2011. 18 Garvie 2014, 113. 19 Oltre a Broadhead 1960, xv ss.; Belloni 1994, xxviii–xxix; vd. supra, nota 5. 20 Per un quadro generale dei problemi suscitati dai Persiani si vedano (oltre ai commenti di Broadhead 1960; Belloni 1994) Hall 1989; Georges 1994; Harrison 2000. Per una visione in chiave meno “oppositiva” della rappresentazione eschilea del mondo persiano, vd. soprattutto Garvie 2009. Sulla terminologia impie- gata nella rappresentazione eschilea dei sovrani, vd. Parara 2010, 94–98. The King’s Speech. La retorica dei re persiani fra Eschilo, Erodoto e Tucidide 59 percepire come più reali, o comunque più realistici.21 Ma torniamo a Dario: il dialogo avviene, per ragioni anzitutto connesse al genere tragico, fra un numero ristretto di per- sone, il re stesso, Atossa e il Coro dei fedeli Persiani; ciò, al di là delle evidenti necessità sceniche, trova comunque un parallelo preciso nella maggioranza dei discorsi del Gran Re riportati da Erodoto, che, come si vedrà, sono di regola indirizzati a un pubblico selezionato, anche quando si tratta di interventi ufficiali e non di conversazioni private. In secondo luogo, Eschilo presenta il suo Dario in tutta la maestà, nonostante la natura ormai spettrale, giacché il Coro, sebbene sollecitato, è preda di timore (il raro δίομαι22; δέος παλαιόν: v. 703) e non osa rivelargli la verità: anche questo particolare merita una segnalazione, in quanto la paura dell’interlocutore nei confronti della pos- sibile reazione del sovrano è uno degli elementi che ricorrono con frequenza nelle te- stimonianze “storiche” erodotee, sebbene qui sia presentata come frutto della reverenza, del dispiacere di dire parole δύσλεκτα φίλοισιν.23 A ogni modo, il seguito del colloquio avviene fra il re e la moglie Atossa, mentre il Coro riprende la funzione di interlocutore solo nell’ultima sezione dell’episodio. Limitandoci a una sintesi rapida, va sottolineato che, se i Persiani sono stati non di rado letti come tragedia dell’ ὕβρις24 – nello specifico, dell’ ὕβρις di Serse – questo termine ricorre in realtà, in tutto il dramma, solamente (ma per due volte) nel discorso di Dario (vv. 808, 821),25 segno forse della centralità attribuita alla ῥῆσις del defunto re oppure, in alternativa, dell’eventualità che l’ ὕβρις non sia da intendere come cifra interpretativa esclusiva del dramma.26 Inoltre, ancora dal punto di vista della terminologia, non pare insignificante che il discorso di Dario sia intessuto di vocaboli ed espressioni che rimandano, in positivo e in negativo, alla sfera del raziocinio e del dominio di sé (φρενῶν, v. 703; μὴ φρονεῖν καλῶς, v. 725; νόσος φρενῶν, v. 750; φρένες, v. 767; εὔφρων, v. 772; νέα φρονεῖ, v. 78227; φρονημάτων, v. 808; φρονεῖν, v. 820; ὑπερφρονήσας, v. 825; φρονημάτων, v. 828; σωφρονεῖν, v. 82928; εὐφρόνως, v. 837):29 uno degli snodi centrali della riflessione posta sulle labbra di Dario appare 21 Sulla rappresentazione di Serse, vd. Saïd 1981, 36–38; Sancisi-Weerdenburg 2002; Bridges 2015, 11–44. 22 Aesch. Pers. 700–701: per questa forma, vd. Broadhead 1960, 177; Belloni 1994, 199–200; Garvie 2009, 281. 23 Aesch. Pers. 702; Broadhead 1960, 177; Garvie 2009, 281, che segnala la duplice possibilità di lettura del costrutto (“words hard for your friends to speak” or “hard for us to speak to our friends”). Per un’interpretazione assai diversa, ma ben poco convincente, dell’immagine che il Coro avrebbe veicolato, vd. Georges 1994, 86 ss. 24 Per uno status quaestionis, vd. di recente Cipolla 2011, ma già Garvie 1999. 25 Vd. il commento ad locc. di Garvie 2009, 311, 314–318. 26 In generale, vd. Cairns 1996, in partic. 21 ss.; Garvie 2009: xxii–xxix; 314–318; Cipolla 2011, con ulteriore bibliografia. Quanto all’identificazione dell’ ὕβρις di Serse con l’incendio e il saccheggio dei templi e dei santuari (e soprattutto dell’Acropoli di Atene), vd. Belloni 1994, 216–218. 27 Il verso contiene due peculiarità, che hanno condotto a varie proposte di emendamento, fra le quali – ai fini di quanto qui interessa (vd. in merito Saïd 1981, 38) – νέ’ ἀφρονεῖ (Martin), accolta da Page 1972, ma respinta dai più. Cf. e.g. Lapini 1989, 88–89; Belloni 1994, 214; Garvie 2009, 305. 28 In realtà il tràdito σωφρονεῖν κεχρημένοι è insostenibile, ed è stato emendato in vari modi, nessuno dei quali ha tuttavia riscosso unanime consenso: vd. Broadhead 1960: 206–207; Belloni 1994: 221–222; Rademaker 2005: 101 nt. 1; Garvie 2009: 317–318. 29 L’insistenza eschilea su tale sfera semantica è sottolineata da Georges (1994, 104–106), il quale ne deduceva l’intento, da parte del tragediografo, di mettere in scena i “processi mentali” dei Persiani. Altre, più 60 frANCESCA gAzzANO dunque l’importanza attribuita alla solidità razionale del re, facoltà di cui Serse appare privo (o privato), perché colpito da un male della mente, da una νόσος φρενῶν, che lo ha condotto fatalmente al disastro finale30. A livello tematico, infine, il re, il quale sembra ignorare il presente31, ma sa disvelare il futuro32, dopo aver preteso e ottenuto dalla regina una “chiara parola” (σαφές... λέξον: vv. 705–706) sull’accaduto, individua con lucida sicurezza la responsabilità di Serse e la causa della sconfitta, vale a dire l’aggiogamento dell’Ellesponto in quanto atto sacrilego (vv. 720–725, ribadito ai vv. 745–748),33 ma anche in quanto superamento del limite, l’Asia, imposto dal dio al dominio persiano.34 Il punto centrale della ῥῆσις di Dario appare dunque quello del rapporto fra la spinta espansiva (o l’imperialismo, se si vuole) della potenza persiana e l’avallo della divinità:35 questo rapporto sarà ripreso e sviluppato, ma in chiave diversa, come ha colto Suzanne Saïd,36 nei discorsi contenuti nelle Storie di Erodoto. Un’ultima considerazione merita l’esposizione, da parte di Dario, della successione dei predecessori, in ordine crono- logico dal “fondatore” Medo a se stesso (vv. 765–781), perché talora si interpreta il passo, indipendentemente dalla sua affidabilità storica, come prova dell’argomentazione di Dario secondo cui il successo arrise ai re persiani conquistatori finché si mantennero entro i confini del continente asiatico;37 ciò, però, non si accorda con la menzione di al- meno due sovrani “negativi” come Cambise, di cui si tace qualunque impresa o qualità, pur avendo egli annesso l’Egitto, e Mardo, lo Smerdi erodoteo, giudicato una vergogna per la patria. Piuttosto, la rievocazione di tutti i predecessori appare conforme all’uso dei re persiani – e di Dario a maggior ragione – di inserirsi in una linea di continuità dinastica,38 come risulta peraltro dalla documentazione originale.39 Nell’ultima sezione dell’episodio, in cui dialoga con il coro, Dario invita i Persiani a non effettuare spedizio- ni contro la terra degli Elleni (vv. 790–791), preconizzando la sorte nefasta dell’armata convincenti finalità sono state evidenziate sia da Sullivan 1997, 30, 35, 152–154, sia da Rademaker 2005, 101–102, sia da Garvie 2009, 314 ss. Sulla caratterizzazione “politica” del Coro, vd. utilmente Parara 2010, 196–197. 30 Cf. Belloni 1994, 207; Bridges 2015, 28. 31 Vd. vv. 703–735 (Dario ignora l’esito della battaglia di Salamina). 32 Vd. vv. 790–826 (Dario offre informazioni sull’esito infausto della campagna, sulla rotta dell’esercito e sulla battaglia di Platea). 33 Sull’aggiogamento dell’Ellesponto, vd. Belloni 1994, 202, 206. Si noti che in Eschilo non v’è traccia di quella flagellazione delle acque che secondo Erodoto (VII 35) Serse avrebbe imposto come “punizione” all’Ellesponto: l’aggiogamento con il ponte di barche appare in sé atto contro natura, e su questo – non già sulla flagellazione – insistono infatti le fonti successive (p. es. Lys. II 29; Isoc. IV 89; Anth. Pal. IX 304) che peraltro lo associano all’altrettanto sacrilego scavo del canale alla base della penisola dell’Athos, descritto da Hdt. VII 22; questo atto di ὕβρις non è ricordato invece nei Persiani: su ciò Vannicelli 2013, 24–36; sulla fortuna del topos, vd. Frassoni 2006, 105–152. Sull’interpretazione del rituale della fustigazione delle acque in prospettiva avestica, vd. Piras 2011, 111–138. 34 Non è neppure il caso di rimarcare oltre l’idealizzazione del personaggio di Dario operata da Eschilo, che omette qualsiasi allusione alla politica espansionistica di questo re verso l’Occidente: vd. Saïd 1981, 31–38; cf. anche Belloni 1994, 202; Garvie 2009, xxii–xxxii. 35 Su questo sia consentito rinviare a Gazzano 2014, 119–162, con rassegna delle posizioni della critica e della bibliografia precedente. 36 Saïd 1981, 28–38. 37 Cf. Griffith 1998, 53–55; Bridges 2015, 26–29. 38 Vd. Belloni 1994, xxiv–xxvi; Garvie 2009, 274–275; 300–301. 39 Vd. e.g. Waters 1996; 2014b; Jacobs 2011; Rollinger 2016. The King’s Speech. La retorica dei re persiani fra Eschilo, Erodoto e Tucidide 61 di terra a Platea (vv. 816–820); anche in questa circostanza, l’accento cade sugli atti di empietà compiuti dai Persiani in Grecia,40 e si conclude con un invito agli anziani a con- sigliare a Serse la moderazione,41 e ad Atossa a calmare il figlio e a riportarlo, anche attraverso una vestizione adeguata, alla sua condizione regale.42 Quanto all’intervento diretto di Serse, protagonista finalmente dell’esodo, non è propriamente un discorso, bensì un canto,43 o meglio un lungo e doloroso lamento, un κομμός in cui abbondano i gemiti, le iterazioni,44 e le precise allusioni a una rovina to- tale, simboleggiata visivamente dalle vesti strappate e dalla faretra vuota.45 Vale la pena notare che, nonostante il presunto carattere “orientale” e la “coloritura barbarica” che taluni interpreti hanno voluto ravvisare in questa trenodia,46 si tratta tutto sommato di un unicum, nel complesso dei discorsi “persiani” riferiti dalle fonti greche: l’immagine di un Gran Re in miseria e in preda a un’umiliazione così appariscente e così completa non sembra infatti aver avuto seguito, non solo negli storici, ma più in generale nella tradizione letteraria successiva. Infatti, anche nei Persiani di Timoteo47 – almeno a giu- dicare da quanto ne rimane – Serse a Salamina pronuncia sì un lamento colmo di dolore, sulla scorta dell’analogo κομμός eschileo,48 ma decisamente più stringato, perché nei versi finali recupera intatta la sua natura regale, e autoritaria, impartendo ai sottoposti ordini per organizzare la ritirata, al fine di impedire ai Greci di trarre vantaggi materia- li dalla vittoria (vv. 189–195). Difficile dire a quale ritratto del sovrano si ispirasse il poeta milesio: non sembra tuttavia trattarsi di quello delineato da Erodoto, il cui Serse non si abbandona al dolore di fronte al disastro di Salamina, ma non impartisce nep- pure comandi di distruzione delle proprie ricchezze (VIII 97–98, 1). Inoltre, lo storico offre varie versioni sulla travagliata e miserevole ritirata del Gran Re (VIII 115–120), eppure anche in quella più rocambolesca il sovrano risulta tutt’altro che in preda allo strazio. Secondo questa tradizione, che Erodoto ricusa apertamente (VIII, 119), Serse – imbarcatosi su una nave e incappato in un fortunale – avrebbe costretto con un di- scorso autoritario i più nobili fra i Persiani al suo seguito a gettarsi in mare per garantire la sua salvezza; giunto a riva, avrebbe prima premiato e poi fatto decapitare il pilota (VIII, 118). Di converso, è verosimile che il tono solenne e l’impianto argomentativo autorevole e composto della ῥῆσις di Dario avessero esercitato un notevole fascino, anche a livello retorico, sugli autori successivi, a giudicare dalla tipologia dei discorsi riportati dagli storici, in primis appunto da Erodoto, la cui ricca messe di dati sarà ora presa in esame. 40 Vv. 809–812: ma sull’entità delle distruzioni persiane in Grecia, vd. Gazzano 2014, 146–162. 41 Sui problemi posti dal v. 829 vd. supra nota 28. 42 Vv. 832–838; cf. Garvie 2009, 319; sul valore simbolico delle vesti di Serse nel contesto del tema del “ritorno dell’eroe”, vd. Garvie 2014, 118–125; più in generale, vd. Bridges 2015, 30–32. 43 Bridges 2015, 32, che sottolinea l’influsso dell’esodo sui Persiani di Timoteo. 44 Vv. 980, 985, 990, 991, 1000, 1010, 1019, 1038, 1039, 1046, 1055, 1057, 1061, 1064. 45 Sull’interpretazione dell’intera tragedia come una variante del sottogenere drammatico del “nostos- play” (secondo la definizione di Taplin 1977, 123–127); vd. Garvie 2014, 111–140. 46 In particolare Georges 1994, 76–114, spec. 102–109; Belloni 1994, 224 ss. 47 Vv. 178–185: vd. Bridges 2015, 37–42. Vd. anche il commento di Sevieri 2011, 125–126. 48 Sugli echi eschilei si sofferma Hordern 2002, 218–224; sulle differenze, vd. Bridges 2015, 41–42. 62 frANCESCA gAzzANO 3. Per voce sola: i discorsi del Gran Re in Erodoto Dal punto di vista dell’analisi statistica, il contributo recente a più vasto raggio sul complesso dei discorsi erodotei è con ogni probabilità costituito dalla dissertazione Speech and Authority in Herodotus’ Histories, di Mathieu de Bakker,49 il quale ap- plica al termine “speech/discorso” un’accezione molto ampia, intendendo qualsiasi atto verbale, inserito nella narrazione, introdotto da un verbo dicendi e seguito da una specificazione dell’atto stesso (in forma diretta o indiretta).50 Applicando tale defi- nizione, de Bakker elabora una serie di statistiche e perviene alla constatazione che le Storie di Erodoto conterrebbero oltre 2000 discorsi, precisamente 2004, mentre gli “atti verbali” enunciati dai protagonisti occuperebbero più di un quarto del testo nel suo complesso (29%).51 Secondo le tabelle riassuntive proposte da Bakker, di questi 2004 discorsi circa 220 appartengono ai re persiani, nessuno escluso;52 a tutti infatti Erodoto presta la parola, a partire da Ciro fino ad Artaserse I, al quale – pur evocato al di fuori del contesto cronologico dell’opera – è comunque assegnata una risposta “verbale” agli ambasciatori argivi (VII 151).53 Ovviamente, a fronte di una tale mole di informazioni, e nella consapevolezza che si tratta in gran parte di creazioni erodotee, non ci si può che limitare a una campionatura e a qualche esempio, significativo, delle modalità espressive che lo storico attribuisce ai vari sovrani. E ciò si farà sulla base delle acquisizioni degli studi specifici, fra i quali, oltre al già citato de Bakker, gli ormai “classici” contributi di Heni, Hohti e Lang,54 i numerosi lavori di Carlo Scar- dino e di Christopher Pelling,55 nonché il recente libro di Vasiliki Zali, The Shape of Herodotean Rhetoric, che si concentra soprattutto sui libri V–IX.56 Di contro, una prospettiva del tutto eccentrica – rispetto ai presupposti stessi di questa esposizione – anima l’altrettanto recente volume di Vernon Provencal The Sophist Kings. Persians as Other in Herodotus, a dire del quale: “Herodotus’ portrait of the Persians is, to a much greater extent than scholars [...] have been willing to allow, an ideological construct based almost entirely on alterity to the culture Herodotus ideologically identifies as ‘Greek’”.57 Tuttavia, se si approvasse tale principio, qualunque indagine sulla pos- sibilità di individuare elementi caratterizzanti della retorica dei re persiani in Erodoto apparirebbe del tutto insensata, in quanto priva ab origine di fondamento storico: di conseguenza, tale chiave di lettura non sarà qui presa in considerazione, necessitando di essere debitamente e puntualmente discussa in apposita sede. Comunque sia, ac- cogliendo invece in linea di principio la ripartizione operata da Mathieu de Bakker fra discorso diretto, discorso indiretto e registrazione di atto verbale – dove quest’ultima 49 de Bakker 2007. Disponibile online (https://pure.uva.nl/ws/files/3999343/52575_bakker_mathieu_ de.pdf), la dissertazione dottorale non sembra aver dato luogo a un volume vero e proprio. 50 de Bakker 2007, 5–12. 51 de Bakker 2007, 6. 52 Il conteggio è stato effettuato sulla base dei dati catalogati da de Bakker 2007, 186–237 (Appendix I). 53 de Bakker 2007, 224 (App. I, nr. 78b; discorso indiretto). 54 Heni 1976; Hohti 1976; Lang 1984. 55 Scardino 2007; 2010, 17–44; 2012, 67–96; Pelling 2000; 2002, 123–158; 2006a, 141–177; 2006b, 103–121; 2012, 281–315. 56 Zali 2015. 57 Provencal 2015, 9. The King’s Speech. La retorica dei re persiani fra Eschilo, Erodoto e Tucidide 63 categoria, definita Record of Speech Act (RSA), comprende gli enunciati introdotti da un verbo performativo, cioè coincidente, in determinati contesti, con l’atto stesso58 – si osserva che una percentuale molto elevata degli “atti verbali” assegnati da Erodoto ai re persiani appartiene proprio a quest’ultima categoria. 3.1. Record of Speech Acts (RSA) Di norma, infatti, nelle Storie il Gran Re si esprime anzitutto in tale modalità, attraverso ordini, disposizioni, ingiunzioni, richieste, divieti, talora minacce, che lo storico reg- istra di preferenza con questa tipologia di Record of Speech Act: il verbo più comune sotto questo profilo è senz’altro κελεύω, che definisce gli “atti verbali” di tutti i re persiani, da Ciro,59 a Cambise,60 anche ai Magi usurpatori,61 a Dario e a Serse,62 ma ben testimoniati sono anche ἐντέλλομαι,63 προαγορεύω,64 προεῖπον,65 ἐπιτάσσω,66 e ancora – per limitarsi a qualche esempio – ἀπαγορεύω (III 128,4), ἀπεῖπον (IX 7α), ἀπειλέω (VII 15,2), παραγγέλλω (IV 89). Com’è ovvio, l’uso di tali verbi non è nelle Storie di esclusivo appannaggio dei re persiani – tutt’altro.67 Eppure, la ripeti- tività, lungo tutto l’arco dell’opera erodotea, con cui è loro assegnata questa specifica prassi espressiva potrebbe costituire un indicatore non irrilevante anche sotto il profilo “retorico”, in quanto volto a rimarcare la prevalenza di messaggi a senso unico, ai quali non è richiesta una risposta verbale articolata. Del resto, la consustanzialità fra questo modulo imperativo e unilaterale di “atto verbale” e la regalità appare pienamente esplicitata, nelle Storie, dall’aneddoto paradigmatico – e forse non casualmente “per- siano” – di Ciro che, ancora fanciullo e ignaro della propria origine, è scelto come re dai suoi coetanei: egli realizza la propria funzione regale semplicemente disponendo (διατάσσω, προστάσσω) compiti e funzioni ai suoi “sudditi” e, di fronte alla disubbi- dienza, ordinando (κελεύω) la cattura e la punizione del colpevole (I 114); chiamato da Astiage a render conto del proprio comportamento, si giustifica affermando che, mentre gli altri eseguivano ciò che era stato comandato (τὰ ἐπιτασσόμενα), il fanciullo punito non ne teneva conto (I 115). 58 Per tale definizione, vd. de Bakker 2007, 34. 59 I 80, 2; 86, 4 e 6; 88, 2; 114, 3; 127, 2; 189, 3; IX 122, 3. Questo verbo sembra connotare un “atto verbale” proprio del Gran Re anche nei discorsi (diretti/indiretti) di suoi interlocutori – come Creso (I 155, 4) o i consiglieri persiani (I 206, 3) – che lo invitavano a un intervento d’autorità. 60 III 14, 11; 16, 1 bis e 2; 19, 2; 21, 1; 28, 1; 35, 3. Cf. anche III 1,1 (discorso indiretto in cui si invita il re Cambise a dare ordini); 36, 2 (discorso diretto di Creso a Cambise, in cui si ricordano gli ordini dati da Ciro). 61 III 74–75. 62 Dario: e.g. III 130, 2; 138, 3; IV 92; 97, 1–2; 141; VI 46, 1. Serse: e.g. VIII 89, 2. 63 P. es. I 90, 1; 208; III 16, 2, 4 e 6; 20, 1; 29, 2; 128, 5; VI 94, 2. 64 E.g. Ciro, I 125 bis; Serse, VII 53,2. 65 I 84, 1; 126, 1–2; II 1, 1; VI 95, 1; VII 116. 66 I 80, 2; 115; III 159, 2; VII 121. 67 P. es. Powell 1938, 194, s.v., registra ben 212 attestazioni del verbo κελεύω. 64 frANCESCA gAzzANO 3.2. Messaggi e lettere Un’altra modalità molto frequente con cui i sovrani persiani fanno sentire la loro voce nelle Storie è quella del messaggio, veicolato oralmente attraverso intermediari o affi- dato alla scrittura (anche di iscrizioni, per esempio nel caso di Dario68): anche in ques- to caso, si tratta di una tipologia niente affatto esclusiva dei re di Persia, ma gli esempi riportati in extenso dallo storico appaiono comunque degni di qualche osservazione. Per varie ragioni, non solo di comodo, non si distinguerà qui fra i messaggi trasmessi attraverso araldi/messaggeri e le lettere vere e proprie,69 in quanto ciò che importa è che non si sia in presenza di un dialogo, o di un discorso, diretto o indiretto, pro- nunciato di fronte a uno o più interlocutori. I passi in cui è riportato un messaggio del sovrano persiano veicolato da un intermediario sono vari, abbastanza numerosi e non presentano tratti formali esclusivi o peculiari, che li differenzino in questa prospettiva da quelli attribuiti ad altri personaggi, greci e non, delle Storie; tuttavia, come ha notato Paola Ceccarelli,70 nei tre casi erodotei in cui il messaggio è introdotto esplicitamente dalla formula “X a Y così dice” (ὧδε λέγει / τάδε λέγει) il mittente è sempre un Per- siano, in un caso il satrapo Orete,71 in due casi il Gran Re.72 In relazione al contenuto e al tenore di tali messaggi, si possono enucleare ambiti di utilizzo preferenziali: essi, né v’è da stupirsi, appaiono riconducibili o alla gestione a distanza dei rapporti fra il re e i suoi sottoposti,73 o alle relazioni “mediate” fra il re vincitore e gli antagonisti sconfitti,74 o – com’è da attendersi – alla sfera diplomatica vera e propria. A questa dimensione pertengono per esempio l’interessata proposta di amicizia di Cambise agli Etiopi (III 21),75 l’ultimatum di Dario a Idantirso re degli Sciti (IV 126), la richiesta, da parte di Dario e poi di Serse, di acqua e terra ai Greci (VI 48; VII 32; 133), il messaggio di Serse agli Argivi (VII 150),76 la sua ambigua risposta all’araldo spartano che chiede- va compensazione per la morte di Leonida (VIII 114), infine le profferte dello stesso Serse agli Ateniesi, attraverso la duplice mediazione di Mardonio e di Alessandro I di Macedonia (VIII 140). Quest’ultimo caso, assai famoso e altrettanto citato per la complessa struttura “a matrioska” del messaggio,77 merita attenzione, in quanto – come 68 IV 87, 1–2 (Bosforo); IV 91 (Tearo): su queste iscrizioni, vd. ora Rollinger 2013, 95–116; sulla loro collocazione, vd. Rollinger 2016, 120–121. 69 Come nota Ceccarelli 2013, 103–104, queste due tipologie di messaggio non presentano particolari differenze. Vd. anche Ceccarelli 2005, 16–30. 70 Ceccarelli 2013, 126–130. 71 Lettera a Policrate: III 122, 3; per un’analisi di questo passo, vd. soprattutto Kazanskaya 2013, 47–68. 72 Dario a Istieo: V 24; Serse agli Argivi: VII 150,2 (cf. in merito l’opinione di Erodoto: VII 152, 1): su questo messaggio Bowie 2012, 269–286. 73 E’ il caso fra gli altri degli ordini scritti di Dario a Megabazo: V 14, 1 (...Δαρεῖος γράφει γράμματα Μεγαβάζῳ, [...] ἐντελλόμενος ἐξαναστῆσαι ἐξ ἠθέων Παίονας καὶ παρ᾽ ἑωυτὸν ἀγαγεῖν καὶ αὐτοὺς καὶ τὰ τέκνα [...]); dell’invito di Dario a Istieo: V 24, 1–2; dei comandi di Serse alla flotta persiana: VIII 24, 2. Anche un altro episodio (le finte lettere di Dario composte da Bageo per spodestare il satrapo Orete: III 128, 2–5) appare emblematico del tono dei messaggi del re e della deferenza che suscitavano. 74 Si vedano gli atti di clemenza di Cambise nei confronti di Psammenito (III 14, 8–9), e di Dario nei confronti della moglie di Intafrene (III 119, 3 e 5). 75 Cf. Gazzano 2002, 55–57. 76 Su ciò vd. da ultimo Waters 2014a. 77 Vd. e.g. Tripodi 1986, 621–635; de Bakker 2007, 105–106; da ultima Zali 2015, 218–220.
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