Lecturae tropatorum 3, 2010 http://www.lt.unina.it/ – ISSN 1974-4374 10 novembre 2010 http://www.lt.unina.it/Gambino-2010.pdf Francesca Gambino Guglielmo di Poitiers Ab la douzor del temps novel (BdT 183.1) Ab la douzor del temps novel è universalmente riconosciuta come una delle più belle liriche della letteratura occitana. Sono versi di ada- mantina trasparenza, che si dipanano senza apparente difficoltà. Spuntano sui rami le prime foglie, l’aria è gravida del cinguettio di varie specie di uccelli. La natura si rinnova e rinasce dopo il letargo invernale: il tempo è nuovo, il canto è nuovo, flora e fauna sono in ar- monia con il cosmo. All’ampio affresco dell’esordio stagionale, si ag- giunge l’ultima pennellata: in questo tripudio di suoni e colori anche l’uomo può abbandonarsi a ciò che più desidera. L’obiettivo si restringe ulteriormente e mette a fuoco un altro par- ticolare. L’om impersonale della prima cobla diventa un io in trepida- zione nella seconda. L’innamorato non riceve messaggi dall’amata, non è tranquillo, ma nello stesso tempo non osa farsi avanti, perché non sa come un gesto da parte sua verrebbe accolto. Nell’incertezza preferi- sce aspettare. Come dall’universo degli uomini si era passati all’io lirico indivi- duale del poeta, così nella cobla successiva la natura si identifica ora con la singola vicenda del ramo di biancospino, intirizzito dalla guaz- za nel freddo della notte, eppure destinato l’endeman (v. 17), l’indo- mani, a scaldarsi al sole del mattino e a superare i disagi della notte. La seconda e la terza cobla sviluppano in modo chiastico gli spunti of- ferti dalla prima (natura + uomo, uomo, natura), per svelare nel distico di chiusa il ruolo del biancospino, correlativo oggettivo dell’amore dell’io lirico. Dopo essere stati coinvolti nelle vicende esistenziali del- la branca gelata, quando assistiamo all’espandersi dei raggi caldi fino alla punta più sottile del ramo, non possiamo che condividere la scelta 2 Lecturae tropatorum 3, 2010 lessicale del diminutivo ramel (v. 18), che lascia trasparire una sorta di affettuosa complicità. Endeman (v. 17). È questo il lemma che consente il passaggio alla quarta cobla e l’ulteriore sviluppo del pensiero. Anche il poeta e l’a- mata hanno avuto le loro difficoltà e hanno conosciuto il freddo della notte. Poi è arrivato puntuale il mati (v. 19), i due amanti hanno fatto la pace, e il poeta si augura che possa accadere di nuovo, che di nuovo gli sia concesso di godere dell’intimità della sua donna. Se lo augura, anzi ne è sicuro. Come dopo l’inverno arriva ineluttabile ogni anno la primavera, come, cambiando le proporzioni con una sorta di mise en abîme delle immagini naturalistiche, alla notte succede sempre il gior- no, così l’esito finale non potrà che essere quello della ritrovata armo- nia. E il parallelismo tra l’attesa dell’io («tro que eu sapcha ben de fi» 11) e l’attesa del ramo di biancospino («tro l’endeman, qe·l sol s’es- pan» 17, entrambi i versi a introduzione della sirma della rispettiva strofa) puntella la sicurezza dell’innamorato, forse appena scalfita dal- l’invocazione che suggella la quarta cobla: «Anqar mi lais Dieus viure tan / q’aia mas manz sotz son mantel!». Il poeta non si preoccupa quindi di chi, con discorsi privi di fon- damento, vuole separarlo dalla donna amata, perché sa di essere pa- drone della situazione. E l’incisività con cui si staglia il nos dell’ulti- mo verso, che rinvia all’universo della coppia contrapposto all’indefi- nito tal di chi millanta successi in amore, rivela la sua fiducia nella fi- nale ricomposizione dell’ordine universale delle cose. A questo punto la lettura potrebbe proseguire per più sentieri. Ci si potrebbe ad esempio inoltrare nell’analisi dell’accurato dettato for- male, tanto più sorprendente quando ci si ricorda che siamo solo agli albori della lirica europea. E ancora ci si potrebbe soffermare sulle ri- me equivoche a distanza (en lor lati 3 : d’estraing lati 25, de fi 11 : de guerra fi 20), le rime interne non strutturali (l’endeman ... s’espan 17, van ... gaban 29) e gli enjambements (li auzel / chanton 2-3, q’on s’aizi / de zo 5-6), che contribuiscono alla fluidità musicale dei versi, le allitterazioni (chanton, chascus 3, mas, manz, mantel, soz, son 24), le figure etimologiche (chanton ... chan 3-4, donet un don 21, accusa- tivo dell’oggetto interno), le riprese chiastiche (il temps è novel 1 nel sintagma incipitale che indica la primavera, ma novel è anche il chan del verso 4, simbolo di rinnovamento esteriore e interiore). Oppure potremmo indugiare a osservare in controluce la filigrana delle meta- Gambino 183.1 3 fore, soprattutto quelle che riconducono alle istituzioni giuridiche feu- dali, talvolta potenziate da un’evidente carica erotica, e che ritrovere- mo declinate nella lirica successiva in una serie infinita di varianti (messatgers e sagel 8, l’anel 22, il mantel 24, il coutel 30). La pista che ho deciso di privilegiare è tuttavia un’altra e segue l’andamento rapsodico e asistematico delle note scaturite in margine a una recente rilettura del testo. * Il termine vers è sempre sembrato di difficile traduzione e gli edi- tori che si sono cimentati con l’interpretazione di Ab la douzor si sono sbizzarriti nelle relative parafrasi. Posto che vers non può assumere in questo contesto il significato tecnico di ‘opera in versi, testo poetico’ – è stato affermato un po’ da tutti – dovrà invece significare «les stro- phes d’un chant nouveau» (Jeanroy), «Versart» (Appel), «i modi» (Pa- sero), «la poesía del nuevo canto» (Riquer), «the measure» (Bond), «the manners» (Jensen), «la loi» (Payen).1 La diffrazione ermeneutica è giunta fino al punto di ipotizzare un intervento sulla lezione dei te- stimoni nella recente proposta di Gema Vallín, che corregge vers in vert e traduce «segon lo vert del novel chan» con «en armonía con el reverdecer del nuevo canto». Simile espressione non è però attestata in nessuna letteratura medievale e la congettura si rivela troppo moder- namente sinestetica per essere convincente.2 1 Cfr. Alfred Jeanroy, Les chansons de Guillaume IX, duc d’Aquitaine (1071- 1127), Paris 1927; Carl Appel, Provenzalische Chrestomathie mit Abriss der Formenlehre und Glossar, Leipzig 1930; Nicolò Pasero, Guglielmo IX, Poesie, Modena 1973; Martín de Riquer, Los trovadores. Historia literaria y textos, 3 voll., Barcelona 1975, con in nota la parafrasi «verso, melodía, ritmo»; anche Ze- no Verlato, che traduce «ritmo», aggiunge in nota: «Con vers qui sembra da in- tendere l’imbastitura ritmica sui cui si intesse la melodia del canto» (Dan O. Ce- praga e Zeno Verlato, Poesie d’amore dei trovatori, Roma 2007, p. 21): cfr. inol- tre Costanzo Di Girolamo, I trovatori, Torino 1989, p. 39, «la melodia», e in nota «o più letteralmente ‘modalità, modo’»; Gerald A. Bond, The Poetry of William VII, Count of Poitiers, IX Duke of Aquitaine, New York - London 1982; Frede Jensen, Provençal Philology and the Poetry of Guillaume of Poitiers, Odense 1983; Jean-Charles Payen, Le Prince d’Aquitaine. Essai sur Guillaume IX, son oeuvre et son érotique, Paris 1980. 2 Si tratterebbe secondo Gema Vallín, «Lo vers del novel chan?», Romania, 4 Lecturae tropatorum 3, 2010 Per sciogliere la difficoltà aiuta però rendersi conto che l’espres- sione potrebbe essere polisemica e che a vers vanno attribuite almeno due accezioni. La prima spiegazione di vers potrebbe essere quella veicolata dal contesto naturalistico: in primavera gli uccelli cinguetta- no tra le fronde degli alberi, emettono cioè un ‘verso’. Il significato letterale di vers potrebbe essere quindi quello di ‘suono caratteristico emesso dagli organi vocali di un determinato animale (in particolare un uccello)’. La soluzione che propongo è meno lapalissiana di quello che potrebbe sembrare a chi ha una competenza lessicale dell’italiano: questa accezione non risulta infatti attestata nei dizionari occitani e nessun editore l’ha mai proposta per il passo in questione.3 Ma qual è il significato etimologico del latino versus? Come spiega Pascale Bourgain nell’articolo ad esso dedicato, la prosa è ciò che procede «dritto» (prorsus) e ha un’evidente continuità, è appunto ciò che non è verso: «Prosa est producta oratio et a lege metri soluta», spiega Isidoro di Siviglia nelle sue Etimologie.4 Versus è invece la zol- la di terra rovesciata dall’aratro (il versorio dell’Indovinello veronese), il solco dritto e parallelo che risulta da questo lavoro, la fila di piante o il filare di viti, la linea di scrittura. Il verso è ciò che gira (vertor), ri- torna su di sé, richiama una ripresa: è ciò che si mette su un rigo. Il verso si definisce dunque per la sua ripetitività, per la rottura che lo ritma e lo obbliga a ricominciare: è una ‘fila’ che si percepisce meglio nella molteplicità.5 Versus può quindi significare anche una porzione 119, 2001, pp. 506-517 di un caso di continiana diffrazione in assenza (tutti i te- stimoni offrono una lezione diversa e la loro divergenza permette di risalire a un originale che non è presente in nessuno di essi), ma le spiegazioni fornite non so- no del tutto convincenti. 3 LR, V, p. 512 documenta per vers i significati di «espèce de poésie» e «verset»; SW, VIII, pp. 685-86, 1) «‘Verszeile’ eines Gedichts», dove si cita il nostro passo e la traduzione di Jeanroy «les strophes», 2) « ‘Verse’ des Psalters »; PD, p. 381 s.v. vers «vers, genre de poésie lyrique; verset; vers, assemblage de mesurés»; Paul Zumthor nella voce versus da lui curata per il FEW, XIII, p. 315b registra solo il significato generico di «cri», «cris désordonnés», e si concentra sulle accezioni letterarie del termine. 4 Cfr. l’edizione di Angelo Valastro Canale, Isidoro di Siviglia, Etimologie o Origini, vol. I, Libri I-XI, vol. II, libri XII-XX, Torino 2004, I, 38, 1. 5 Cfr. Pascale Bourgain, «Qu’est ce qu’un vers au Moyen Âge?», Biblio- thèque de l’École des Chartes, 147, 1989, pp. 231-282, alle pp. 232-233 Gambino 183.1 5 di testo, un versetto in senso liturgico o un’unità poetica in senso lette- rario, e da qui poi ‘misura’, ‘ritmo’, ‘melodia’ e così via. Il significato etimologico si presta a essere usato per tutta una serie di usi traslati che possono comprendere anche il canto degli uccelli, caratterizzato dalla ripetizione di alcuni suoni. L’utilizzo in questo senso di versus compare in latino già nella letteratura antica ed è successi- vamente ben attestato. Il primo esempio registrato dall’Oxford Latin Dictionary è quello che compare nella Casina di Plauto («merula per versus quod cantat tu colas» Cas. 523), seguito da un’altra occorrenza tratta dalla Naturalis historia di Plinio il Vecchio («facitodum, cantus omnibus (palumbibus) similis atque idem trino conficitur versu», Hist. nat. 10, 106), dove si può notare come il termine sia al singolare.6 Il Forcellini cita un altro esempio tratto da Plinio e riferito all’usignolo: «Lusciniis diebus ac noctibus continuis XV garrulus sine intermissu cantus densante se frondium germine, non in novissimis digna miratu ave ... certant inter se, palamque animosa contentio est. victa morte fi- nit saepe vitam spiritu prius deficiente quam cantu. meditantur aliae iuveniores versusque quos imitentur accipiunt», Hist. nat. 10, 43.7 Solo alcune lingue romanze moderne, tuttavia, hanno continuato ad attribuire al termine l’accezione di ‘suono caratteristico di un uc- cello’ e poi, quando il legame con il significato etimologico nel tempo si è allentato, più in generale di ‘suono caratteristico di un animale’: l’italiano e il romeno. In italiano questo significato di verso è indicato in ogni diziona- rio.8 In italiano antico il termine risulta attestato persino in un sintag- ma «cantare secondo il verso» simile a quello di Guglielmo di Poi- tiers: «li quali animali li andavano d’atorno alegrandose e quasi balan- do e cantando, ciascheduno secondo lo suo verso» (Restoro d’Arezzo, La composizione del mondo 167); in questo esempio, databile al 1282, l’aggettivo possessivo svolge una funzione simile a quella del comple- 6 Cfr. OLD, II, p. 2041 s.v. versus. 7 Cfr. Forcellini, s.v. versus, n. 4: «Interdum pro cantu ... de lusciniis». Oltre a versus, in latino indicano il verso degli uccelli vox / voces, concentus, garritus (nei Carmina Burana, dove gli uccellini sono una presenza costante negli esordi stagio- nali) e altri due termini collegati alla poesia, cantus e carmina, per cui cfr. TLL, vol. III.2, s.v. carmen, -inis, III de avium vocibus et inanimis, con vari esempi. 8 Cfr. in particolare il GDLI, XXI, p. 801c s.v. verso, dove tale accezione è la seconda. 6 Lecturae tropatorum 3, 2010 mento di specificazione che compare nel contesto occitano. Nella ban- ca dati dell’OVI le occorrenze rintracciabili sono molte, sia al singola- re («Così fa l’ausignuolo: / serve del verso solo, / ma già d’altro mi- stero / sai che non vale guero», Brunetto Latini, Favolello 53-56); «ed elli odie più di dugento voce d’ucelli che tutti cantavano ciascuno a sua guisa, l’uno alto e l’autro basso, et faciano in tal maniera un trop dolce verso», Palamedés pisano 49; «nella mia camera, nella quale lo sviato uccello cantoe il tristo verso», Ceffi, Epistole eroiche 12, ecc), che al plurale («Confortami d’amare / l’aulimento dei fiori / e ’l canto de li auselli; / quando lo giorno appare / sento li dolci amori / e li versi novelli, / che fan sì dolci e belli e divisati», Rinaldo d’Aquino, PSs 7.10, 10-16; «Quando la primavera / apar l’aulente fiore, / guardo in- ver la rivera / la matina agli albore: / audo gli rausignuoli / dentro da- gli albuscelli, / e·ffan versi novelli / dentro dai lor cagiuoli, / perché d’amore àn spera», An., PSs 25.8, 1-9; «Tuti li albori s’iera cargadi / de osieleti che cantava tanto dolzementre e / tanto soavi versi faseva», San Brendano 24-26; «Quando l’aira rischiara e rinserena, / il mondo torna in grande diletanza / e l’agua surge chiara de la vena / e l’erba vien fiorita per sembianza / e gli augilletti riprendon lor lena / e fanno dolzi versi i· loro usanza, / ciascun amante grande gioia ne mena / per lo soave tempo che s’avanza», Bondie Dietaiuti, PSs 41.6, 1-8; «Ma el g’è le olcellete cantand a grand baldor: / Li versi stradulcissimi menan cotal dolzor / Ke ’l cor de quii ke odheno stragoe per grand amor», Bonvesin, De scriptura aurea 98-100; «li uxilli per grande amore co- menzano de cantà / versi amoruxi e dulzi, de grande nobelità», Dispu- tatio roxe et viole 303-305; «e gli auscei per amori / dolzi versi facea- no agli albori», Folcacchiero, PSs 34.1, 9-10; ecc.; cfr. inoltre «e gli auscelletti per amore / isbèrnaro sì dolzemente / i lor versetti infra gli albóre», An., PSs 49.17, 5-7). Notevole mi sembra infine per il con- testo, pur in un’accezione in parte diversa (si tratta del canto di Orfeo), «Poi che col verso del soave canto / Avea le selve con corso veloce / Tirate a sé» (Alberto della Piagentina, Boezio, L. 3, 12, vv. 10-12, opera datata al 1322-1323). In romeno viers, derivato dal latino VERSUS per via orale e sotto- posto quindi alla normale evoluzione fonetica, indica soprattutto il verso degli uccelli e di altri animali, ma può significare anche ‘canto’ o ‘voce’ umani. L’allotropo vers, senza dittongo, che ha esclusivamente Gambino 183.1 7 il significato di ‘unità prosodica, verso poetico’, è invece un neologi- smo derivato dal francese.9 Nelle altre lingue il legame delle voci degli animali con la poesia si perde e al suo posto si trovano termini più ‘prosaici’. Il francese moderno si riferisce al verso degli animali con cri (da *CRITUM, de- verbale da *CRITARE per il lat. QUĬRĪTARE, oppure chant, solo per gli uccelli),10 l’occitano moderno con crid,11 il portoghese con grito, il ca- talano con crit, il galego con l’indeterminato son (oppure, solo per gli animali più rumorosi, con berros o ancora grito),12 lo spagnolo con grito, voz o canto (solo per gli uccelli).13 Nelle lingue germaniche la situazione è analoga. Il tedesco distin- gue tra la voce caratteristica di animali, der Schrei ‘grido’ (oppure Laut ‘suono’, Ruf ‘grido’), e quella degli uccelli, der Gesang ‘canto’ (oppu- re Schlag ‘colpo, suono’, Laut). Oltre a song ‘canto’, l’inglese per gli uccelli ha cry (o call, o sounds: «in the wood you can hear the cries of birds and other animals»), il danese ha lyde, che significa etimologi- camente ‘suono’ o ‘rumore’, come l’olandese geluid ‘suono’ (spesso al plurale: dierengeluiden ‘i suoni degli animali’); ‘canto’ in olandese è riservato agli uccelli canori (gezang o zang), ‘grido’ per gli uccelli più grandi e rumorosi (gekrijs oppure geschreeuw), e così via. Apparentemente quindi solo l’italiano e il romeno sono accomunati da quella percezione umanizzante e poetica dei suoni della natura già presente in latino, anche se non ancora lessicalizzata. Eppure questo significato è documentato anche in altre lingue romanze medievali. La citazione di Rinando d’Aquino, con l’oseletto che fa dulzi versi («Un oseletto che canta d’amore / sento la note far sì dulzi versi, / che me fa mover un’acqua dal core / e ven a gl’ogli ni pò retenersi», PSs 7.12, 1- 4), registrata dal Grande dizionario della lingua italiana sotto la voce verso come primo esempio della specializzazione faunistica di cui stia- mo parlando,14 non è dissimile dalle occorrenze rintracciabili con le concordanze in autori medioevali di altre lingue. Anche nel vocabolario 9 Ringrazio Dan O. Cepraga per questa indicazione. Cfr. DLR, XIII, p. 506a-b. 10 Cfr. TLFi s.v. cri 2, b. 11 Cfr. Honnorat, I, p. 610c s.v. crid. 12 Cfr. «Sabía imitar tódolos sons dos paxaros» ‘sapeva imitare tutti i versi degli uccelli’ in DIG, p. 594a II.3, s.v. verso. 13 Cfr. DCELC, IV, p. 764a. 14 Cfr. GDLI, XXI, p. 801c. 8 Lecturae tropatorum 3, 2010 ornitologico trobadorico gli uccelli movon, fan, canton, notan ... critz, sos, brais ‘grida’ (termini neutri), ma anche movon, fan, canton, notan ... motz, sonetz, lais, voutas, refrims, chantz, cantars (termini che rin- viano alla musica, al canto, alla poesia) e, appunto, vers.15 E se un esempio come quello di Bartolomeo Zorzi («Si tot m’estauc en cade- na, / er quan neis l’auzels demena / joi el plais / fazen vers, voutas e lais / pel temps qu’esclaira e serena, / pois leujat m’a de greu pena / us motz gais», BdT 74.17, 1-7), dove i vers degli uccelli in primavera so- no accostati a vocaboli attinenti alla terminologia poetica e musicale quali voutas e lais, rivela come il rapporto tra vers ‘composizione poe- tica’ e vers ‘verso di animale’ potesse ancora essere presente alla co- scienza linguistica di un poeta tardo come il trovatore veneziano, se non altro per questioni di tradizione, in Daude de Pradas («El temps que·l rossignols s’esgau / e fai sos vers sotz lo vert fuoill / per sa pa- reilla, qan l’acuoill, / no·m laiss’amors estar soau, / anz vol qu’ieu chant, o vuoill’o no», BdT 124.9a, 1-5) vers significa semplicemente ‘suono caratteristico di un uccello’, come in italiano, e, quando il DOM arriverà a questo lemma, dovrebbe registrare, credo, anche questa accezione. In antico francese, altra lingua per la quale i dizionari non danno rilievo a questo significato,16 si rinvengono però gli stessi sintagmi: gli uccelli font (o di essi si possono oïr) per lo più ‘dolci’ chans, ma anche chançons, lais,17 accort, sons, tons, trais, voix, criz e, infine, vers: «Que des oisiaus que nous oons / entendoit les chans et les vers / qu’il nous chantent par mos divers», canta Froissart, Le Joli buisson de Jonece 999-1001, esempio tardo (1373), ma proprio per questo maggiormente rappresentativo, visto che sappiamo che il francese specializzerà per il significato di ‘verso di uccello o di animale’ solo il sostantivo cri.18 15 Cfr. Richard Baum, «Les troubadours et les lais», Zeitschrift für roma- nische Philologie, 85, 1969, pp. 1-44, alle pp. 40-42. 16 Cfr. Godefroy, VIII, p. 203a-b; TL, XI, coll. 308-311. REW 9248 segnala solo l’italiano «Gesang der Vögel». 17 Nel sostantivo lai si assiste a un passaggio semantico simile: dall’irlandese laid «erzählendes Gedicht, meist mit keltischen Stoffen» (cfr. Gamillscheg, I, p. 555a s.v. lai, e cfr. REW 4854 *laid (bret.) «Lied», «Gesang») deriva il genere poetico del lai, termine che può poi assumere anche il significato di ‘canto triste e malinconico’ e ancora ‘canto degli uccelli’. 18 Per il termine cri è registrata l’accezione specifica sia in Godefroy, IX, p. 248b, sia in TL, II, coll. 1048-1050 s.v. cri «Gesang». Gambino 183.1 9 Il cinguettio di Ab la douzor potrebbe essere quindi innanzitutto un ‘verso d’amore’, il richiamo con il quale i maschi in primavera cor- teggiano le compagne, come è esplicitato ad esempio nei versi di un poemetto italiano, l’Intelligenza. La consonanza di questi versi con il nostro incipit, tra l’altro, consente di apprezzare tutta la rilevanza del topos: «Al novel tempo e gaio del pascore, / che fa le verdi foglie e ’ fior’ venire, / quando li augelli fan versi d’amore / e l’aria fresca co- mincia a schiarire, / le pratora son piene di verdore / e li verzier’ co- minciano ad aulire», 1, 1-6.19 È, come si intuisce, questo primo signifi- cato di ‘canto d’amore’ che fa scattare l’analogia con il poeta che, come gli uccelli, canta i versi della sua poesia per conquistare l’amata, ed è anche per questo che nella fauna degli esordi primaverili gli uccelli sono una presenza costante.20 Nel nostro passo, tuttavia, a questo significato se ne sovrappone chiaramente un altro, che fino ad ora non è stato messo a fuoco con sufficiente nitidezza: è un po’ come se le numerose parafrasi proposte per tradurre vers ci abbiano girato intorno senza mai colpire davvero il bersaglio.21 L’indizio che ci mette sulla buona strada è il sintagma en lor lati. Gli uccelli cantano infatti ciascuno nel ‘loro latino’, ‘nella loro lingua’. La lingua per antonomasia, il latino, assume quindi qui, proba- 19 Il poemetto è databile tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Simile sintagma ricorre anche nei Parlamenti in volgare di Guido Faba, databili al 1243: «llo die p(re)claro d(e)la Pasca noi veremo i(n)coronati cu(m) gilli (e) rose e flore e faremmo l'auxelli supra le ramelle ca(n)tare versi d(e) fino amore», 247; e in un sonetto anonimo di inizio Trecento: «Quando gli ausignuoli e gli altri agelli / càntaro a li verzier versi d'amore, / e son li prati e gli giardin novelli / e l’aira dolze e chiar à il suo colore, / le donne e ’ cavalieri e li donzelli / ghirlande in testa portan d’ogni fiore», An., PSs 49.31, 1-6. 20 In tutti gli esempi provenzali che ho riportato vers ‘canto degli uccelli’ è al plurale. Credo che la circostanza sia accidentale e si spieghi perché in essi ci si riferisce sempre al cinguettio indistinto di più specie di uccelli. Quando però vi è la presenza di un complemento di specificazione che individua bene il tipo di vers, come nel nostro contesto, allora il sostantivo compare al singolare. Esempi al singolare per questa accezione non mancano del resto, come ho già ricordato nelle note precedenti, sia in latino che in italiano antico. 21 Ho invece scartato, perché non ho trovato riscontri in questo senso, un’al- tra possibile traduzione di questo passo alla quale avevo inizialmente pensato: gli uccelli cantano ‘secondo il verso, la direzione del nuovo canto’. Versus e vers possono infatti avere anche il significato di ‘direzione di un movimento, l’orientamento di una posizione’. 10 Lecturae tropatorum 3, 2010 bilmente per la prima volta, almeno in simili contesti, il significato traslato di ‘modo di esprimersi, linguaggio, favella’.22 Ma cosa ha fatto scattare in Guglielmo di Poitiers la sinapsi, la connessione tra ‘canto degli uccelli’ e ‘latino’? A mio avviso proprio il termine vers, qui me- taforicamente riportato anche nell’accezione tecnica di versus, che sullo scorcio dell’undicesimo indicava i canti strofici latini, religiosi o profa- ni, che non facevano parte dell’ufficio.23 Nelle traduzioni che ho già menzionato era evidentemente presup- posto questo punto di partenza, ma ciò che era fuorviante era appunto la ricerca di un significato non tecnico, mentre qui si tratta probabil- mente di un ipertecnicismo: gli uccelli cantano nel loro latino ‘se- condo il versus del nuovo canto’. Solo in seconda istanza, per evitare una traduzione troppo opaca o tautologica, potremmo proporre la pa- rafrasi ‘secondo la melodia del nuovo canto’. Tutte le altre accezioni, del tipo ‘elemento metrico, misura, unità ritmica’, ‘strofa’, ‘maniera, modo’ e così via, appartengono certo alla stessa costellazione seman- tica, ma non centrano il segno.24 22 Questo significato non è registrato nei dizionari latini (cfr. OLD, I, p. 1006c s.v. latinum; Forcellini, III, p. 39 e Du Cange, V, p. 36c s.v. latinus) e non mi è stato possibile rinvenirlo in nessuna delle concordanze della letteratura lati- na. Si tratta quindi molto probabilmente di un’accezione introdotta nelle lingue romanze. Consultando le concordanze e i dizionari, non ho trovato un’attestazio- ne anteriore a Guglielmo IX: cfr. TL, V, coll. 230 «besondere, eigentümliche Sprache: die Sprache fremder Völker» (il primo es. risale al secolo XIII); «die Sprache der Vögel» (con un esempio tratto dal Roman de Thèbes), ecc.; cfr. inol- tre il commento al verso e il panorama di esempi tracciato per le diverse letteratu- re medievali. 23 Cfr. Hans Spanke, «Rythmen- und Sequenzenstudien», Studi medievali, 4, 1931, pp. 286-320, a p. 286. Lo studio di Jacques Chailley sull’uso del termine versus dimostra come esso fosse a San Marziale di Limoges «le point de jonction entre la lyrique latine profane mise en musique sur des modèles liturgiques, et les tropes» (Jacques Chailley, L’école musicale de Saint-Martial de Limoges jusqu’à la fin du XIe siècle, Paris 1960, p. 270). 24 Si era avvicinato alla soluzione che propongo Dimitri Scheludko, «Reli- giöse Elemente im weltlichen Liebenslied der Trobadors», Zeitschrift für franzö- sische Sprache und Literatur, 59, 1935, pp. 402-421, a p. 411, che ha tradotto questo passo «nach dem ‘Versus’ [des Kirchengesanges] aus dem ‘Neuen Ge- sang’», con un riferimento dunque al canto liturgico eseguito nelle chiese. In una linea interpretativa simile si pone la proposta di Pietro G. Beltrami, «Ancora su Guglielmo IX e i trovatori antichi», Messana, n.s., 4, 1990, pp. 5-45, alle pp. 35-
Description: