TEMPI BEATI Arrigo Frusta (1875-1965) Dagli anni della bohème di fine Ottocento e dalla stagione d’oro della Hollywood sul Po ai “Brandé” Catalogo e mostra a cura di Silvio Alovisio, Claudia Gianetto e Albina Malerba 14 ottobre 2015 - 20 novembre 2015 Biblioteca della Regione Piemonte via Confienza, 14 - Torino In copertina Arrigo Frusta nel ruolo di Napoleone in Il granatiere Roland (Campagna di Russia 1812) (S. A. Ambrosio, Luigi Maggi, 1911). Collezioni Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis Collana “Mostre della Biblioteca della In quarta di copertina Regione Piemonte”, n. 38/2015 Cartolina con autoritratto di Frusta che si trasferisce da via San Pio V 5 a Corso Re Umberto 54 a Torino, dall’album di ritagli di Frusta Il libro della vanità. Presidente Collezioni Museo Nazionale del Cinema, Torino Mauro Laus Cura del catalogo e della mostra Vice Presidenti Silvio Alovisio - Università di Torino Claudia Gianetto - Museo Nazionale del Cinema Nino Boeti Responsabile Cineteca Daniela Ruffino Albina Malerba - Centro Studi Piemontesi - Ca dë Studi Piemontèis Consiglieri Segretari Le riproduzioni e i materiali in esposizione provengono da Alessandro Benvenuto Collezioni Museo Nazionale del Cinema Gabriele Molinari Collezioni Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis Angela Motta MUSEO NAZIONALE DEL CINEMA DI TORINO Paolo Damilano, Presidente Direzione Comunicazione istituzionale Alberto Barbera, Direttore dell’Assemblea regionale Donata Pesenti Campagnoni, Vicedirettore e Conservatore capo Direttore: Domenico Tomatis Si ringraziano per la collaborazione Carla Ceresa, Mauro Genovese (Archivio Storico); Settore Comunicazione e Partecipazione Antonella Angelini, Marco Grifo (Bibliomediateca Mario Dirigente: Daniela Bartoli Gromo); Roberta Basano, Elena Boux (Fototeca); Nicoletta Pacini, Tamara Sillo (Manifesti) e il personale della Cinete- Federica Albertini ca. Un ringraziamento particolare a Gianna Chiapello per la Marisa Rodofile collaborazione alle ricerche Settore informazione, Relazioni Esterne e cerimoniale CENTRO STUDI PIEMONTESI CA DË STUDI PIEMONTÈIS Federica Calosso Giuseppe Pichetto, Presidente Gustavo Mola di Nomaglio, Vicepresidente Fotografie Albina Malerba, Direttore Paolo Siccardi per Centro Studi Piemontesi Si ringraziano per la collaborazione Rosanna Roccia, Giovanni Tesio (Comitato Scientifico del Stampa Centro Studi Piemontesi), Elena Bossi, Giulia Pennaroli, Stampa Sud Lara Ferrando Battistà (Fondi e Biblioteca Storica del Centro Studi Piemontesi) © Consiglio regionale del Piemonte, Torino, 2015 Allestimento mostra Maria Riccobene, Museo Nazionale del Cinema ISBN 978-88-96074-93-0 La cosiddetta “settima arte” nacque e si sviluppò a Torino agli inizi del ‘900. Arrigo Frusta, al secolo Augusto Sebastiano Ferraris, fu uno dei primi artefici della tecnica cinematografica, regalando il mo- vimento alle immagini statiche delle fotografie in bianco e nero. Come direttore artistico della mitica Ambrosio Film, casa di produzioni cinematografiche torinese degli anni ’10-’20, si rivelò anche apprez- zato sceneggiatore, regista e persino attore dei primi film muti che tanto divertivano il pubblico nelle sale con accompagnamento musicale dal vivo. Nato all’ombra della Mole nel 1875, il versatile personaggio esercitò la professione di avvocato, poi giornalista alla “Gazzetta del Popolo” e in altre testate, poeta dialettale ed esponente del prestigioso Circolo degli Artisti, cosa che accrebbe la sua fama e l’apprezzamento nei suoi confronti. La Biblioteca della Regione Piemonte dedica ad Arrigo Frusta e alla sua arte una mostra e un ciclo di conferenze a 50 anni dalla morte, attingendo ai fondi documentali e cinematografici del Centro Studi Piemontesi e del Museo Nazionale del Cinema. Mauro Laus Presidente del Consiglio regionale del Piemonte TEMPI BEATI Nato a Torino il 26 novembre 1875, appartenente a una famiglia della bor- Arrigo Frusta ghesia cittadina, Arrigo Frusta (pseudonimo di Augusto Sebastiano Ferraris) compie gli studi ginnasiali e liceali nel celebre Convitto Cicognini di Prato e (1875-1965) poi, per obbedire alla volontà del padre notaio, s’iscrive alla Facoltà torinese Dagli anni della bohème di di Giurisprudenza. Altri però sono gli interessi del giovane, che in quegli fine Ottocento e dalla stagione anni stringe rapporti d’amicizia fraterna con lo scrittore Francesco Pastonchi d’oro della Hollywood sul Po (1874-1953) e compie i suoi primi tentativi di poesia in piemontese. ai “Brandé” Dopo la laurea, Frusta sceglie quindi di non intraprendere la carriera nota- rile o forense per avvicinarsi invece al giornalismo: nel 1894, a soli diciannove anni, pubblica su “La Gazzetta del Popolo” il suo primo articolo, Il premio della bontà. Inizia quindi a collaborare con “Il Popolo della Domenica” ma soprattutto anima con una fitta pubblicazione di prose e poesie le pagine del celebre giornale satirico piemontese “‘L Birichin”, nato dalle ceneri de “L’Aso” per opera di Camillo Sacerdote (1863-1939) e Carlo Origlia (1869-1897). Ormai noto nell’ambiente letterario, in occasione dell’Esposizione Nazio- nale di Torino del 1898 compone una serie di venticinque sonetti, raccolti nel libricino L’esposission dël 1898. Sonet birichin. Una delle poesie pubblicate (Chila) gli procura un’imputazione di offesa alla morale. Nello stesso anno Frusta esordisce come autore teatrale, scrivendo – sem- pre in piemontese – Masselin, rappresentato con successo nel 1899 al Teatro Rossini. Un secondo tentativo teatrale, questa volta in italiano, è l’atto unico Il diritto di uccidere, messo in scena al Teatro Alfieri nel 1901 dalla compagnia Leigheb-Tovaglieri e accolto piuttosto freddamente sia dal pubblico sia dalla critica. Nello stesso anno Frusta pubblica la sua raccolta di poesie più nota, Faravosche (in piemontese, i corpuscoli bruciacchiati di frasche o di carta sol- levati dal vento). Nel 1902 pubblica un’altra raccolta di sonetti dedicati all’Esposizione d’Arte Decorativa Moderna che si tiene a Torino; immaginando di visitare l’esposizione (da lui ironicamente definita “‘l pais dël Bel, dël Neuv, dël Ver e dël Precis”) il poeta bersaglia con toni satirici lo stile eclettico che ha ispirato il design della manifestazione. Tre anni dopo firma, con lo pseudonimo di Daniele Gabrinunzio, un’irri- verente parodia de La figlia di Jorio, intitolata La figlia del figlio della figlia di Jorio: la pièce è rappresentata con successo al Circolo degli Artisti, una delle 4 maggiori istituzioni culturali torinesi, di cui Frusta è prima animatore e successivamente anche storico “ufficiale”. I manoscritti di due commedie, Libellule (1902) e L’anima più forte (1904), testimoniano una certa costanza nell’attività teatrale di Frusta giovane. Sempre in quegli anni conosce e frequenta anche Edmondo De Amicis (1846-1908). Con il figlio di questi, Ugo, Frusta compie impegnative scalate sulle Alpi, scoprendo tra l’altro, l’11 agosto del 1906, la quinta via per salire al Cervino. Sarà lui stesso a rievocare con nostalgica tenerezza la vita da bohémien condotta in questi anni a cavallo tra i due secoli nel volumetto Tempi beati (1949, Ed. Palatine) che ricostruisce la Torino dei caffè frequentati dai giornalisti, dei circoli studenteschi, degli artisti squattrinati e un po’ velleitari, delle riunioni della redazione de “’L Birichin”, in cui il poeta si confronta, oltre che con Luigi Pietracqua (1832-1901), anche con altre personalità significative della tarda scapigliatura piemontese, tra cui Ma- rio Leoni (1847-1931) e Alfonso Ferrero (1873-1933). S’indovina facilmente, in Tempi beati, l’attacca- mento profondo di Frusta a quel mondo, ma al tempo stesso la consapevolezza che i valori, le abitudini, la spensieratezza di quella bohème torinese (un sintomo inquieto della crisi e dei cambiamenti di fine Ottocento) fossero giunti già allora a esaurimento. Il 1908 è un anno di svolta: licenziato da “La Gazzetta del Popolo”, Frusta è assunto come soggettista cinematografico dal produttore Arturo Ambrosio (1870-1960) con un contratto triennale, uno stipen- dio mensile di 300 lire e l’obbligo di scrivere almeno tre soggetti al mese, “completi di sceneggiatura”. Il primo grande successo ottenuto da Frusta è Spergiura! (1909), ispirato a La grande bretèche dell’a- mato Honoré de Balzac, e prima produzione della celebre “Serie d’oro”, etichetta con cui da allora l’Ambrosio presenta i suoi film di maggiore impegno artistico. Il film ottiene ampio consenso di pub- blico e rende tra l’altro popolare la protagonista, Mary Cléo Tarlarini. Negli anni successivi Frusta scrive numerose sceneggiature originali ma anche riduzioni da sva- riate opere letterarie e teatrali: tra gli autori portati sullo schermo, è lui stesso a ricordare “D’An- nunzio, Schiller, Daudet, Flaubert, Shakespeare, Barrili, Manzoni, Rovetta, Ruffini, Bersezio, Belasco, Bulwer-Lytton, Sem Benelli”, ai quali si possono aggiungere i nomi di Virgilio (Didone abbandonata, 1910), di John Bunyan (Il pellegrino, 1912) e di Octave Feuillet (L’ultimo dei Frontignac, 1911). Considerando le giovanili inclinazioni anti-dannunziane dello sceneggiatore, si può intuire con qua- le soddisfazione Frusta adatti per il cinema sei opere di D’Annunzio, ottenendo persino il formale exequatur del poeta-Vate apposto sui singoli copioni. Tra le sceneggiature di Frusta è possibile individuare alcune aree d’interesse prevalenti: i film in co- stume, prima di tutto, per i quali lo sceneggiatore sceglie le ambientazioni più diverse (dall’antichità a un Medioevo piuttosto “sincretico”, dal Rinascimento all’Ottocento) senza nascondere la predilezione per l’epopea napoleonica e il Risorgimento. Frequentato da Frusta è pure il genere legato alla cronaca 5 nera, al grand guignol e alle storie poliziesche - Alibi atroce, 1910, Chi l’ha uccisa?, 1910, La vendetta del morto, 1911, Una partita a scacchi, 1912, i due episodi di Griffard, 1912, il censurato La tratta dei fanciulli, 1913 - un filone per cui la Casa aveva coniato l’etichetta “Serie nera”, con occasionali incur- sioni negli ambienti della malavita (Dalla colpa all’amore, 1911). Sono ricorrenti, inoltre, i titoli legati al dramma borghese sentimentale, con al centro l’adulterio (Il diritto d’uccidere, 1909; Vendetta fatale, 1910), o una gelosia patologica (Il convegno supremo, 1911); il dramma patriottico-edificante (Segreto di Stato, 1909, Amor di regina, 1913) e il dramma patetico spesso avente per protagonisti dei bambini (Il piccolo vandeano, 1909; Il natale di Pierino, 1910, La bambola di Luisetta, 1911). Frusta scrive anche alcuni soggetti a sfondo fiabesco come La fanciulla di neve, 1911 e il surreale Raggio di sole, 1912. Quasi un genere a sé stante è poi il lion movie, di cui Frusta è pioniere, almeno in Italia: tra le sceneggiature di storie con leoni ricordiamo Il guanto (1910), Lo schiavo di Cartagine (1910), La vergine di Babilonia (1910), Nelly la domatrice (1912), La nave dei leoni (1912) e la seconda versione Ambrosio de Gli ulti- mi giorni di Pompei (1913). Restano invece esigue le sue incursioni negli ambienti operai, anche se nel 1912 scrive la sceneggiatura de Il fischio della sirena, uno dei primi film sulla lotta di classe in fabbrica. Meno note sono le molte sceneggiature per film comici: già nel 1909 Frusta scrive soggetti come Una scommessa originale, Il signore metodico, Il vedovo allegro, per passare dal 1910 alle comiche di serie (Il capodanno di Robinet, Fricot va in collegio e i brevi film con Gigetta) e successivamente alle commedie di mediometraggio con la coppia formata da Eleuterio Rodolfi e Gigetta Morano (per esempio Santa- rellina, 1912, dal celebre vaudeville di Meilhac e Millaud). Con Ambrosio Frusta sperimenta anche un’isolata ma significativa esperienza di regia: egli è tra i primi, in Italia, a realizzare, con l’operatore Giovanni B. Vitrotti (1882-1966) documentari in alta montagna. Nel 1910 i due portano la macchina da presa a 4000 metri d’altezza, sulla Catena del Monte Bianco, girano 1500 metri di pellicola, da cui l’Ambrosio ricava poi tre film “dal vero”: Da Courmayeur al Dente del Gigante, Escursioni nella catena del Monte Bianco, Sulle dentate scintillanti vette. Negli anni trascorsi alla Ambrosio, l’instancabile attività di sceneggiatore e di direttore dell’Ufficio Soggetti è tur- bata da due accuse di plagio, che Frusta respinge con la sua consueta e ironica energia. Nel 1915 Frusta s’impegna con la casa di produzione romana Caesar Film a scrivere due film per Francesca Bertini, la diva più celebre del cinema muto italiano: il patriottico Oberdan (Il capestro degli Asburgo) e il metacinematografico La perla del cinema, entrambi distribuiti l’anno successivo. Sempre nel 1915 - dopo sette anni - lascia la Ambrosio e passa alla nuova casa di produzione torinese dell’amico Rodolfi (1866-1933). Chiamato alle armi, Frusta presta servizio per tre anni come Ufficiale di sussistenza presso il Comando Deposito Aviatori. Dopo il congedo militare (10 gennaio 1919), lavora nuovamente per la Rodolfi Film, dove sceneggia, tra l’altro, soggetti originali di genere avven- turoso come La contessa Miseria, La perla di Cleopatra (1922), alcuni titoli della serie di Ajax (l’atletico 6 personaggio interpretato da Carlo Aldini) o fortunati adattamenti come I re in esilio (noto anche come Federica d’Illiria) da Alphonse Daudet, e La maestrina, dalla commedia di Dario Niccodemi. Nel 1920 è invitato a trasferirsi a Roma, ma dopo un breve soggiorno nella capitale, dove scrive un paio di soggetti, rientra a Torino, consapevole che il legame con la sua città è troppo forte e radicato. Nell’aprile 1921 ritorna un’ultima volta alla Ambrosio, dove sceneggia Il palazzo dei sogni e assiste al declino irreversibile della grande Casa di produzione e di tutto il cinema torinese. Nel 1923 Frusta sceglie di ritirarsi dal mondo del cinema e si dedica agli studi letterari e filologici. Il rapporto diretto o indiretto con il cinema, in realtà non si esaurisce, ma è solo occasionale, e senza esiti produttivi concreti. Gli anni Trenta rappresentano per Frusta un periodo di profonda amarezza e malinconia, segnato da un rallentamento del consueto attivismo intellettuale e da un ridotto impegno professionale. Dalla fine della guerra, dopo l’allontanamento definitivo dal cinema “scritto”, Frusta è nuovamente attivo su diversi fronti e riprende la sua intensa attività di scrittore, sia in italiano sia in piemontese. Tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta s’impegna nella pubblicazione de Ij sent ane dël Cìrcol dj’ Artista (1951) e del dittico autobiografico costituito da Tempi beati e dai Ricordi di uno della pellicola (la cui stesura inizia nel 1952) pubblicati a puntate su “Bianco e Nero”, a cui va aggiunta l’intensa attività di articolista per il giornale “Ij Brandé” (anche con lo pseudonimo Pare), di- retto dall’amico Pinin Pacòt (Giuseppe Pacotto, 1899-1964), con brillanti prose come Fassin-e ‘d sabia che Gianrenzo P. Clivio ha poi raccolto postume in volume (1970) e altre come Prediche ai givo (un po’ come dire, einaudianamente, “inutili”). Dai primi anni Quaranta Maria Adriana Prolo (1908-1991), ideatrice e a lungo direttrice del Museo Nazionale del Cinema di Torino, inizia a formare la sua collezione partendo da materiali legati all’epoca d’oro del cinema torinese. Durante la Seconda Guerra Mondiale la Prolo continua la sua attività, privi- legiando le pratiche spettacolari che hanno preceduto, contribuendovi, la nascita del cinema. Nel 1953 si costituisce ufficialmente il Museo; tra i Soci fondatori due figure chiave del cinema muto: Giovanni Pastrone (1883-1959), regista fondatore e direttore della Itala Film, e Arrigo Frusta. Differenti sono le testimonianze di un rapporto intenso, fatto di grande stima professionale se non propriamente di simpatia, tra la fondatrice del Museo e lo scrittore, che le affida una consistente parte del suo archivio privato. Arrigo Frusta muore a Torino, novantenne, il 12 luglio 1965. Silvio Alovisio, Claudia Gianetto, Albina Malerba 7 Frusta nelle Il fondo Frusta del Museo Nazionale del Cinema, costituito a partire da una consistente donazione dell’ex sceneggiatore (1960) e poi da un suo lascito Collezioni del testamentario (1967), comprende materiali eterogenei: opuscoli, libri, riviste, Museo Nazionale cartoline, fotografie, stereoscopie, materiali pubblicitari, accessori e apparec- del Cinema chi tecnici, fotogrammi di pellicole, bozzetti, soggetti e sceneggiature, appun- ti manoscritti, documenti di lavoro, corrispondenza, album di ritagli, oltre alla statua in gesso raffigurante l’attore Febo Mari nelle fattezze di un fauno, realizzata dallo scultore Giovanni Riva per il film Il fauno, prodotto dall’Am- brosio nel 1915, e attualmente esposto al pubblico nell’Aula del Tempio della Mole Antonelliana. La parte più rara del fondo è costituita dalle numerose sceneggiature, cir- ca centocinquanta, scritte da Frusta per l’Ambrosio (tra il 1909 e il 1921) e la Rodolfi Film (tra il 1915 e il 1922): non esistono in Italia altri fondi di sceneggiature del cinema muto italiano così ricchi. Un gruppo consistente di sceneggiature - “Cartagine” (Delenda Carthago!), “Giroflà” (La Du Barry), “La gerla di papà Martin”, “Santarellina” e altre ancora - presenta caratteri- stiche comuni: sono manoscritti in formato quaderno (cm 15,5x21), talvolta con sottolineature o cancellature a matita rossa e blu. Un altro gruppo meno consistente si presenta invece su fogli più grandi (cm 20x28) recanti l’inte- stazione “Società Anonima Ambrosio”. Le sceneggiature di questo secondo formato posteriori al 1913 (il primo caso attestato è Amor di regina) sono in maggioranza dattiloscritte e con un numero di pagine più elevato; indice di un’ulteriore professionalizzazione della scrittura. Al di là di anomalie e differenze, ogni sceneggiatura presenta sempre una scansione in scene o sequenze numerate progressivamente, seguite dal luogo e dalla descrizione dell’azione. In molti casi, sono presenti accanto ai nomi dei personaggi anche quelli dei possibili attori. Non è raro che il testo scrit- to con parti dialogate sia arricchito da disegni che illustrano la scenografia, descrivono il movimento degli attori o i dettagli di inserti, suggeriscono la posizione della macchina da presa. Indicazioni tecnico - stilistiche come “fon- dù”, “medaglione”, “dettaglio”, “particolare”, “cache”, “panoramicare”, “so- vrimpressione” e “P.P.” ritornano più volte nei documenti. Le sceneggiature più dettagliate come quelle relative ai film Griffard (1913), Delenda Carthago! 8
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