DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE, DEL LINGUAGGIO, DELL’INTERPRETAZIONE E DELLA TRADUZIONE Luciano Rocchi APPUNTI DI LINGUISTICA (Lessicologia - La classificazione delle lingue - Aggiunte e integrazioni alla ‘Storia della Linguistica’ di R. H. Robins) LESSICOLOGIA Lessico e vocabolario La lessicologia è lo studio scientifico del lessico, l’insieme delle parole per mezzo delle quali i membri di una comunità linguistica comunicano tra loro (lessico italiano, tedesco, inglese). Il voca- bolario (insieme di vocaboli) non è sinonimo di lessico, è invece un settore particolare, determinato del lessico. Tutte le parole usate ad esempio da un autore o da una scienza formano un vocabolario: il vocabolario del Manzoni (tutte le parole delle sue opere), il vocabolario della medicina (tutte le parole che riguardano la medicina). L’unità di base del lessico è il lessema. I lessemi non sono soltanto quelle che comunemente si de- finiscono ‘parole’, ma anche i sintagmi che costituiscono un’unità lessicale (p.es. per lo più, dopo cena). Alcuni linguisti (non tutti) usano il termine ‘lessema’ anche come sinonimo di morfema les- sicale (o radice). Lessicalizzazione e grammaticalizzazione Il lessico di ogni lingua è una parte che ha caratteristiche molto diverse da quelle proprie della grammatica, cioè si differenzia da fonetica, morfologia, sintassi. Mentre le strutture fonologiche, morfologiche e sintattiche sono insiemi stabili, non modificabili o aumentabili, il lessico invece è aumentabile e modificabile. Le strutture fonologiche, morfologiche e sintattiche sono sistemi chiusi, il lessico è un sistema aperto, suscettibile di variazioni e di arricchimenti. C’è un’opposizione tra fonemi e morfemi (di cui si può fare un inventario) da un lato e lessemi (di cui non si può fare un inventario) dall’altro, i primi costituiscono un repertorio chiuso, gli altri un repertorio aperto: ab- biamo parole che escono dal lessico perché antiquate, obsolete o perché il loro referente è caduto in disuso o per motivi di moda, e d’altro canto abbiamo neologismi, parole che entrano nel lessico e lo modificano. Questa opposizione però non è assoluta. Possono esserci morfemi che diventano lessemi: questo processo si chiama lessicalizzazione, o lessemi che diventano morfemi: in questo caso si parla di grammaticalizzazione. Parecchie preposizioni sono sorte da fenomeni di grammaticalizzazione: p. es. durante era orig. il participio presente di durare (durante l’estate = ‘(mentre) l’estate (è) duran- te’); tranne è l’imperativo cristallizzato di trarre + la particella pronominale ne: tutti tranne (= ‘traine, togline’) me; il franc. chez ‘da’ (je vais chez le médecin ‘vado dal medico’) deriva dal lat. casa, e in effetti in ant. franc. la parola significava ‘casa’, nel corso del tempo però tale significato è andato perduto (a favore di maison) e chez è sopravvissuto solo come morfema grammaticale: ‘(a) casa (di)’ → ‘presso, da’. Per quanto riguarda la lessicalizzazione, citiamo casi come l’it. il pro e il contro, il suo ex (cioè ex- marito o ex-fidanzato), dove le preposizioni pro, contro, ex sono nominalizzate e acquistano quindi lo status di lessemi. Anche una sequenza di morfemi (un sintagma) può subire un processo di lessi- calizzazione. A questo proposito, la formazione degli avverbi italiani in -mente fornisce un bel- l’esempio di entrambi i fenomeni sopra descritti. Quando il sintagma lat. lenta mente orig. ‘con mente lenta’ cominciò ad adoperarsi, con facile slittamente semantico, nel senso di ‘in modo lento’, mente non fu più percepito come ablativo di mens, ma come un semplice morfo di valore avverbia- le, attraverso un processo di grammaticalizzazione. Nel contempo i due elementi del sintagma latino si fusero insieme (anche graficamente), arricchendo il lessico italiano di un nuovo lessema: lenta- mente. Alla grammaticalizzazione si è accompagnata dunque la lessicalizzazione. 2 Varietà del lessico Il lessico non è una massa caotica, informe di parole, si può classificare e ordinare secondo criteri di diverso genere. Uno di questi consiste nel distinguere particolari settori del lessico in base all’uso che ne fanno i parlanti. Le principali varietà d’uso sono le seguenti: 1) Varietà funzionali-contestuali: sono i cosiddetti linguaggi settoriali (il linguaggio politico, pubblicitario, sportivo, tecnico-scientifico ecc.), quella porzione di lessico che riguarda ambiti par- ticolari e specialistici. La differenza fondamentale tra linguaggio settoriale e lingua comune è che il linguaggio settoriale possiede vocaboli ed espressioni estranee alla lingua comune, o anche gli stessi vocaboli della lingua comune, usati però con significato diverso e specifico (v. oltre). I linguaggi settoriali sono quella parte di lessico che è più sottoposta a rinnovamento (progresso scientifico, ecc.). Soprattutto il linguaggio tecnico-scientifico è ricco di neoformazioni che possono essere dei prestiti linguistici (dall’inglese), oppure composti che attingono dal latino e dal greco. I composti di base greca e latina sono creazioni moderne modificanti l’aspetto originario delle paro- le classiche, adattandole agli scopi della lingua d’oggi: l’anemometro (misuratore del vento) viene da ánemos (vento) e métron (misura). Ci sono anche composti formati da una parola greca più una parola latina: aeronave (greco + lati- no), spettroscopio (latino + greco). Esistono dei composti con un elemento della lingua moderna e uno delle lingue classiche: burocra- zia (francese + greco), filmoteca (inglese + greco). Nelle varietà funzionali-contestuali si usano neoformazioni con suffissi e prefissi usati solo in questi linguaggi, ad esempio nel linguaggio della medicina il suffisso –osi che indica affezione cronica (artrosi, dermatosi, cirrosi), oppure -ite che indica affezione acuta (artrite, nefrite, gastrite). Parole già esistenti nel lessico comune possono caricarsi di nuovi significati: p. es. il lessema italia- no campo viene usato con accezioni del tutto particolari in molti linguaggi settoriali, come quelli della fisica (campo magnetico), del cinema (campo lungo), della linguistica (campo semantico), ecc. Il verbo navigare, che fino al Novecento significava unicamente ‘andare per mare’, grazie a una e- stensione semantica ha potuto essere accolto sia nel linguaggio dell’astronautica (navigare attraver- so lo spazio) sia in quello informatico (navigare in Internet). 2) Varietà geografiche: una lingua parlata in un’area notevolmente estesa può presentare differen- ze tra un punto e l’altro della zona occupata dai suoi parlanti. L’italiano è un chiaro esempio di que- sto fenomeno: la lingua parlata nelle regioni italiane è diversa, non solo a livello di fonetica e mor- fologia, ma anche lessicalmente. Ci sono regionalismi lessicali che possono a loro volta suddivi- dersi in dialettalismi. Nell’Italia settentrionale si dice anguria il frutto che in Toscana è chiamato cocomero. Questi termini che indicano lo stesso referente sono detti geosinonimi. C’è una distinzione tra regionalismi che restano tali e regionalismi che entrano nella lingua stan- dard, anche se il confine tra gli uni e gli altri non è sempre facile da stabilire; in Italia, grazie soprat- tutto ai mezzi di comunicazione di massa, moltissimi regionalismi hanno trovato ampia diffusione e sono oggigiorno patrimonio della lingua comune. Qualche esempio di antichi regionalismi ormai ‘italianizzatisi’: lavandino (che s’afferma sul tosc. acquaio), metronotte, risotto, sberla (dal lom- bardo); abbaino, acciuga, mugugno (dal ligure); cicchetto, grissino (dal piemontese); ciao, giocat- tolo (fino all’Ottocento si usava balocco, oggi ristretto al toscano), vestaglia (dal veneto); abbac- chio, fattaccio, imbonitore, intrufolarsi (dal romano); cafone, mozzarella, pizza, scocciare (dal na- poletano). Ancora forte connotazione regionale hanno invece p. es. il ghisa di Milano e il pizzardo- ne di Roma (‘vigile urbano’), nonché la nutrita serie di geosinonimi per ‘ragazzo’: toso, bocia (Ve- neto), mulo (Trieste), pischello (Roma), guaglione, scugnizzo (Napoli), picciotto (Sicilia). 3 3) Varietà sociali: nel lessico, nell’uso lessicale, si riflettono spesso le condizioni sociali di un in- dividuo. La branca della linguistica che si occupa di questa problematica è la sociolinguistica. Le varietà sociali possono dipendere da diversi fattori, tra i quali citiamo: a) L’età: la parlata dei giovani è differente da quella degli anziani (gergo giovanile: paninaro, fricchettone, uso enfatico di aggettivi: bestiale, mostruoso). Questi termini sono generalmente soggetti a rapida usura. Chi si ricorda di matusa, che ebbe una stagione di grande (e altrettanto fugace) fortuna negli anni Sessanta? b) Il sesso: un’altra differenza sociale dal punto di vista del lessico riguarda i termini che vengono usati dagli uomini e non dalle donne (e viceversa); p. es. per quanto riguarda il vocabolario po- polare inerente alla sfera sessuale le donne risultano più restie al suo utilizzo (o perlomeno così era un tempo). In lingue extraeuropee (soprattutto asiatiche) questa differenza è esplicitata in maniera macroscopica: in giapponese esiste un linguaggio maschile e uno femminile, che si di- versificano per pronuncia, struttura morfosintattica e scelte lessicali. c) Il livello di istruzione: è ovvio che una persona (semi)analfabeta o che ha frequentato solo la scuola elementare avrà un vocabolario molto più limitato di chi ha proseguito gli studi e possie- de una buona cultura. La formazione delle parole Come s’è già accennato, il lessico è la parte di un sistema linguistico maggiormente esposta ai mu- tamenti, una realtà in continua evoluzione. I procedimenti attraverso i quali si arricchisce il lessico, introducendo nuovi lessemi, sono essenzialmente due: la formazione delle parole e il prestito (di quest’ultimo ci occuperemo più tardi). La formazione delle parole riguarda quel complesso di trasformazioni attraverso cui si passa da una parola base già esistente nel lessico ad una parola non esistente prima, nuova, che si definisce neo- formazione. Questi processi di formazione sono divisibili in due categorie: derivazione e compo- sizione. La derivazione, che naturalmente è possibile soltanto in lingue flessive o agglutinanti (cioè con struttura morfologica che la consenta), consiste nell’aggiunta di materiale morfologico ad una parola, ossia nell’aggiunta di affissi, che si suddividono in suffissi, prefissi e infissi, a seconda che seguano, precedano o siano inseriti nella parola base. Tralasciando gli infissi, che hanno un uso piuttosto limitato, parleremo brevemente dei processi di suffissazione e prefissazione. Suffissazione e prefissazione La suffissazione è caratterizzata dal fatto di poter contemplare il passaggio da una categoria di pa- role a un’altra, cioè un verbo può dar luogo a un nome o a un aggettivo, un nome a un verbo o a un aggettivo, un aggettivo a un verbo o a un nome, ecc. Le neoformazioni che derivano da un nome si chiamano denominali, da un aggettivo deaggettivali, da un verbo deverbali. Diamo qualche esem- pio italiano: romanzo → romanziere nominale DENOMINALI romanzo → romanzesco aggettivale romanzo → romanzare verbale bianco → bianchezza nominale DEAGGETTIVALI bianco → biancastro aggettivale bianco → biancheggiare verbale lavorare → lavorazione nominale DEVERBALI lavorare → lavorabile aggettivale lavorare → lavoricchiare verbale 4 Esistono anche deverbali a suffisso zero: p. es. comando da comandare, delibera da deliberare, sbaglio da sbagliare; sono nominali tratti da verbi, privi però di particolari suffissi. Vanno ancora rammentati i numerosissimi verbi parasintetici, in cui si riscontra l’utilizzo simulta- neo di un suffisso e un prefisso: abbottonare da bottone, imbottigliare da bottiglia, sbandierare da bandiera, ecc. Una particolare forma di suffisssazione è l’alterazione, attraverso la quale il significato della parola base non muta nella sostanza, ma soltanto per alcuni particolari aspetti. Gli alterati possono essere diminutivi, vezzeggiativi, accrescitivi, peggiorativi (omino, ometto, omarino, omaccione; casina, casetta, casuccia, casaccia). L’italiano è una lingua particolarmente ricca di alterati grazie al nume- ro piuttosto elevato di suffissi alterativi che esso possiede; in altre lingue invece l’alterazione si pre- senta molto più limitata, p. es. il nostro cagnolino in inglese e francese non può essere reso che con un sintagma del tipo ‘piccolo cane’: small dog, petit chien. Il tedesco ha unicamente due suffissi al- terativi diminutivi, -chen e –lein (Haus ‘casa’ ~ Häuschen ‘casetta’, Frau ‘signora’ ~ Fräulein ‘si- gnorina’). La prefissazione, a differenza della suffissazione, non comporta il mutamento di categoria, il no- me rimane nome, il verbo verbo, ecc. P. es. dare → ridare, fedele → infedele, avviso → preavviso. I prefissi sono di varia natura, per lo più nelle lingue europee erano originariamente preposizioni o avverbi (diamo alcuni esempi dell’italiano): anti-, ante- indicano anteriorità spaziale o temporale: anticamera, anteguerra contro-, contra- indicano opposizione: contraccolpo, controsenso sopra-, sovra- esprimono superiorità, in senso proprio e figurato: sopravveste, sovrumano inter- indica ‘in mezzo’: internazionale, interregno prefissi intensivi come iper, super: ipersensibile, supermercato prefissi negativi come in-, s-, dis-, non-: incapace, scontento, disonore, nonsenso. Composizione La composizione consiste nella formazione di nuovi lessemi, chiamati composti, attraverso l’unione di lessemi preesistenti (mentre gli affissi che entrano in gioco nella derivazione sono mor- femi grammaticali, non lessicali). Il fenomeno della composizione ha un’incidenza diversa da lin- gua a lingua. Tra le lingue europee, la privilegiano in modo speciale quelle germaniche e ugrofinni- che, dove i composti raggiungono un numero illimitato; p. es. se prendiamo le parole per ‘scuola’ e ‘compagno’ in tedesco (Schule, Kamerad), inglese (school, mate), ungherese (iskola, társ) e finlan- dese (koulu, toveri) dalla loro unione risulterà agevolmente un nuovo lessema dal significato ‘com- pagno di scuola’: Schulkamerad, schoolmate, iskolatárs, koulutoveri. Ciò non è possibile nelle lin- gue romanze o in quelle slave, nelle quali la composizione agisce in maniera più limitata. I composti si possono suddividere in due tipi fondamentali: composti con base verbale e composti con base nominale: 1) I composti con base verbale sono quelli che, se sciolti nei loro componenti, esprimono una frase con predicato verbale: accendisigari (indica ‘qualcosa accende i sigari’), aspirapolvere (‘qual- cosa aspira la polvere’). In italiano l’inventario di questi composti è piuttosto consistente: asciu- gamano, lavapiatti, scaldabagno, ecc. Nei linguaggi settoriali troviamo numerosi composti formati con elementi di origine greca, dove l’ordine degli elementi è inverso rispetto all’uso ita- liano, con la base verbale al secondo posto: antropofago, telegrafo, cardiopatia (-fago ‘mangia- re’, -grafo ‘scrivere’, -patia ‘soffrire’). 2) I composti con base nominale, formati cioè da due elementi nominali, si suddividono innanzitut- to tra subordinativi, che presuppongono tra i loro componenti un rapporto di subordinazione, e coordinativi, che invece ne presuppongono uno di coordinazione. Al primo tipo appartengono p. es. capostazione (‘capo della stazione’) e agopuntura (‘puntura con l’ago’). In italiano non sono molto frequenti, mentre sono comunissimi, come s’è detto sopra, nelle lingue germaniche. Per quanto concerne i composti coordinativi, nella nostra lingua sono formati soprattutto da nome + 5 aggettivo (o aggettivo + nome) e sostituiscono frasi con un predicato nominale: terraferma (‘la terra è ferma’), cassaforte (‘la cassa è forte’), camposanto, altopiano, malafede, bassorilievo, ecc. Un altro tipo di composto nominale, chiamato anche composto possessivo, presuppone un rife- rimento esterno diverso rispetto ai suoi costituenti: ingl. redskin, it. pellerossa = (X ha la) pelle rossa, ingl. flatfoot, it. piedipiatti = (X ha i) piedi piatti, lat. magnanimus = (X ha un) grande a- nimo.. Infine abbiamo composti nominali che sostituiscono due predicati nominali coordinati: cassa- panca (‘qualcosa che è insieme cassa e panca’), agrodolce (‘qualcosa che è insieme agro e dol- ce’), sordomuto. Composti di questo genere sono frequenti per indicare i colori che contraddi- stinguono le maglie delle squadre di calcio: bianconero, rossonero, nerazzurro. Un tipo particolare di composizione è quella rappresentata dai cosiddetti conglomerati. Si tratta di segmenti dell’enunciato irrigiditisi nell’uso fino a diventare unità lessicali autonome: it. nontiscor- dardimé, ingl. forget-me-not ‘nome pop. della miosotide’, franc. va-nu-pieds (‘va a piedi nudi’) ‘straccione, pezzente’. In italiano troviamo parecchi conglomerati formati da imperativi cristallizza- ti: saliscendi, toccasana, fuggifuggi, dormiveglia. Prestito linguistico Quando due sistemi linguistici diversi vengono a contatto e interagiscono si produce quella che vie- ne chiamata interferenza linguistica. Il fenomeno più appariscente dell’interferenza è il prestito (termine fuorviante, dato che non è la cessione di qualcosa che poi viene restituito): esso consiste nell’utilizzazione da parte di una lingua B di un tratto linguistico che esisteva precedentemente in una lingua A e che non era posseduto da B. Si tratta in buona sostanza di un processo di carattere mimetico, cioè di imitazione: il parlante ha di fronte un modello straniero e si sforza di acquisirlo, cercando di imitarlo e di riprodurlo, di ricrearlo all’interno del proprio sistema linguistico. Il prestito è un fenomeno antichissimo, che risale alla notte dei tempi; nessuna lingua, a meno che i suoi parlanti non vivano in completo isolamento, è immune dal prestito. Se prendiamo il lessico ita- liano, buona parte di esso è formato da prestiti, entrati nella nostra lingua in epoche diverse e per vie diverse. Lo strato più antico è rappresentato dai germanismi, assunti durante le invasioni barbariche da Goti, Longobardi e Franchi, p. es. sapone, guerra, elmo, schietto, spalla, guancia, schiena, scherzare, spaccare, graffiare. Dall’arabo, attraverso la Sicilia, ci sono arrivati, tra gli altri, arancia, limone, carciofo, spinaci, dogana, magazzino, tariffa. Con l’avvento della civiltà cortese abbiamo i francesismi: cavaliere, dama, gioiello, cuscino, gonfalone, ecc. Alla dominazione spagnola nel Cin- quecento e Seicento sono dovuti compleanno, complimento, puntiglio, sfarzo, ecc. La lingua parlata in un’area adiacente a quella di un’altra lingua e che entra con essa in rapporto di reciproca influen- za prende il nome di adstrato (p. es. i francesismi in italiano e gli italianismi in francese sono dovu- ti all’adstrato), mentre il complesso degli elementi linguistici giunti con una lingua importata dall’estero che per un certo tempo ha convissuto con la lingua indigena forma il superstrato (p. es. i germanismi sopra elencati fanno parte del superstrato germanico dell’italiano). Anche molte parole italiane di origine latina si possono in un certo senso considerare prestiti, in quanto non provenienti direttamente dal latino parlato, ma recuperate per via dotta dal latino classi- co. Non è raro che la stessa parola latina abbia dato in italiano due esiti, l’uno popolare e l’altro dot- to; tali doppioni si definiscono allotropi. P. es. vitium per via popolare si è evoluto in vezzo, mentre vizio è un latinismo dotto. Diciamo quindi che ‘vezzo’ è l’allotropo popolare di ‘vizio’ o, all’inverso, che ‘vizio’ è l’allotropo dotto di ‘vezzo’. Altri esempi: da circulus: cerchio (popolare) e circolo (dotto), da verecundia: vergogna (popolare) e verecondia (dotto). Può capitare che anche una parola straniera dia luogo ad allotropi; citiamo il caso di arsenale e darsena: entrambi derivano dall’arabo dār aṣ-ṣinā’a (lett. ‘casa di costruzione’), il primo però è giunto in Italia attraverso il ve- neziano, l’altro attraverso il genovese. 6 Tipi di prestito In base alle motivazioni che spingono i parlanti a mutuare parole straniere, i prestiti si dividono in due tipi: di necessità e di lusso. Il primo si ha quando la parola acquisita col prestito indica un refe- rente inesistente nella lingua di arrivo, p. es. patata (di origine amerindia, tramite lo spagnolo), pianta sconosciuta in Europa fino alla scoperta dell’America, caffè (dal turco), bevanda da noi del tutto ignota prima dei contatti col mondo ottomano, zero (dall’arabo), dato che nella numerazione romana non esisteva lo zero, canguro, animale australiano il cui nome viene da una lingua locale. Il prestito di lusso ha invece fine stilistici o di promozione sociale, con esso il parlante tende a pre- ferire forme considerate di maggior prestigio o più confacenti ai suoi bisogni espressivi. P. es: leader, babysitter, chic, killer sono in italiano prestiti di lusso perché potrebbero tranquillamente es- sere sostituiti da capo, bambinaia, elegante, sicario. A volte il loro uso è determinato da motivi di praticità (flirt è più economico di ‘breve relazione amorosa’), più spesso da pigrizia o snobismo. Integrazione e acclimatamento dei prestiti Il processo attraverso il quale una lingua acquisisce un prestito non è, per così dire, indolore. Infatti le strutture fonologiche e morfologiche sono diverse per ciascuna lingua e capita perciò molto spes- so che strutture proprie della lingua di partenza non siano compatibili con quelle della lingua d’arrivo. Pertanto è inevitabile che il prestito debba in qualche modo adeguarsi alle strutture della lingua che lo riceve. Questo adeguamento è chiamato integrazione e può essere di vari tipi: 1) fonetica: è l’integrazione più naturale, quella che si potrebbe definire indispensabile, in quanto da lingua a lingua varia non solo il repertorio fonematico, ma spesso anche la realizzazione di uno stesso fonema, a seconda della variante allofonica prescelta. Perciò un prestito, per quanto possa mantenere il suo aspetto straniero, sarà sempre integrato foneticamente, cioè adattato alle abitudini articolatorie della lingua d’arrivo. P. es. la pronuncia italiana corrente di film, compu- ter, routine, cioè /film/, /kompjuter/, /rutin/, è ben diversa da quella inglese /fɪlm/, /kəmpju:tər/ e francese /ʀutin/. 2) morfologica: è quel complesso di modificazioni a cui è sottoposto un prestito per renderlo com- patibile con la struttura morfologica della lingua d’arrivo. A volte un prestito può adattarsi senza difficoltà alla morfologia della lingua che lo riceve: p.es. in tedesco Reporter, Boxer, anglicismi, vengono allineati senza sforzo ai nomi d’agente autoctoni come Lehrer ‘insegnante’; il finl. sauna (che non ha genere) grazie alla sua terminazione in -a ha potuto inserirsi con tutta facilità nella categoria dei femminili italiani (la sauna, le saune). In italiano questo però è un caso raro, dato che la maggior parte delle lingue da cui abbiamo attinto (e continuiamo ad attingere) presti- ti hanno una struttura morfologica (terminazioni in consonante) diversa dalla nostra. Possiamo dire che quasi tutti i prestiti entrati in italiano prima dell’Ottocento hanno subìto un processo di integrazione morfologica: elmo (< got. hilms), cavaliere (< provenz. cavalier), carciofo (< ar. ḫuršūf), lanzichenecco (< ted. Landsknecht), bistecca (< ingl. beefsteak), ecc. Nel corso degli ul- timi due secoli invece assistiamo a una progressiva non-integrazione dei forestierismi, di cui è rispettata la morfologia originaria: bar, sport, film, ecc. Se fossero integrati si direbbe *filmo, *sporto… L’integrazione morfologica può riguardare anche aspetti diversi dalla desinenza. Nelle lingue germaniche i verbi forti, caratterizzati dall’alternanza apofonica, appartengono di norma al fon- do lessicale originario. Un’eccezione notevole è costituita dal ted. schreiben (pret. schrieb, part. pass. geschrieben) ‘scrivere’, che è un latinismo; ciò si deve al fatto che l’antico alto ted. scrī- ban, prestito dal lat. scrībere, è stato assimilato, grazie al suo vocalismo radicale, ai verbi del ti- po di trīban (mod. treiben, trieb, getrieben) ‘spingere’. In swahili kitabu ‘libro’ è un prestito dall’ar. kitāb; i parlanti questa lingua hanno però reinterpretato la sillaba iniziale dell’arabismo identificandola col prefisso ki- che contraddistingue una delle loro classi nominali (p. es. kitu 7 ‘cosa’, kisu ‘coltello’), col risultato che kitabu viene inserito perfettamente in un paradigma swahili: il suo plurale suona vitabu, esattamente come vitu e visu sono i plurali di kitu e kisu. 3) grafica: si ha quando, riproducendo foneticamente un modello straniero, si usano le norme gra- fematiche della lingua d’arrivo e non quelle della lingua di partenza, nel caso le prime divergano dalle seconde. P. es. i termini francesi bureau e liqueur sono diventati in tedesco Büro e Likör, ossia per la resa di /y/, /o/, /k/, /ø/ i grafemi tedeschi (ü, o, k, ö) hanno sostituito quelli francesi (u, eau, qu, eu). Parimenti i due lessemi che compongono il sintagma turco otobüs şoförü ‘con- ducente d’autobus’ sono tolti di peso dal francese (autobus e chauffeur), ma risultano pienamen- te integrati nel sistema grafico turco. L’it. sci è un prestito dal norv. ski, che si pronuncia /∫i/; quando la parola è stata introdotta in italiano, verso la fine dell’Ottocento, si usava la grafia ori- ginaria con la k, ma a partire dagli anni Venti è intervenuta l’integrazione grafica, si è comincia- to cioè a scrivere sci per riprodurre l’effettiva pronuncia norvegese. Talvolta uno stesso prestito si può riscontrare in forma sia integrata sia non integrata (senza specifi- cazioni, ci si riferisce sempre all’integrazione morfologica). Basteranno un paio d’esempi: nell’area italiana, il francesismo toilette - non integrato a livello letterario - si mostra invece variamente inte- grato nell’uso popolare (toeletta, toletta, teletta) e lo stesso si può dire di chic, che nel toscano par- lato diventa scicche (qui, oltre all’integrazione morfologica, si nota anche quella grafica, col di- gramma italiano sc a sostituire il francese ch). Può accadere che manchi la riproduzione fonetica del modello straniero e che i suoi elementi gra- fematici vengano pertanto assimilati, nella pronuncia, a quelli della lingua d’arrivo. Per tornare a un esempio succitato, ski in inglese suona /ski:/: la mancata integrazione grafica del prestito norvegese ha fatto sì che il nesso sk fosse letto dai parlanti anglofoni come nelle parole della loro lingua skin, skill, ecc. Tunnel viene da noi pronunciato ‘all’italiana’, mentre un’imitazione del modello inglese /tʌnl/ avrebbe dovuto dare qualcosa come *tanel o *tonel. Il termine dialettale veneto schei ‘soldi’ deriva dalla prima sillaba, letta secondo le nostre consuetudini grafiche, del ted. Scheidemünze /∫aidəmyntsə/ ‘moneta divisionale’, che appariva scritto sui centesimi all’epoca del Lombardo- Veneto. Non bisogna confondere l’integrazione con l’acclimatamento, che riguarda il grado di familiarità, la frequenza d’uso di un prestito. E’ piuttosto comune il caso di parole non integrate come sport, bar, stop, camion, che sono però perfettamente acclimatate, come dimostrano sia la generalizzazio- ne del loro impiego, sia i loro vari derivati (sportivo, barista, stoppare, camioncino). Paretimologia Nel processo di acquisizione di un prestito può intervenire, alterando più o meno profondamente la resa del modello straniero, la paretimologia (detta anche etimologia popolare o falsa etimologia). Si tratta di un complesso fenomeno attraverso il quale un tratto linguistico viene arbitrariamente modificato per renderlo trasparente, e quindi motivato, agli occhi del parlante. Alcune esemplifica- zioni permetteranno di chiarire il concetto. L’ingl. crayfish ‘gambero’ è un prestito dall’ant. franc. crevice; la terminazione -vice è stata modificata in –fish dai parlanti inglesi per accostamento pare- timologico a fish ‘pesce’ e in base all’analogia coi nomi di altri animali acquatici quali cuttlefish ‘seppia’ e jellyfish ‘medusa’. Se dal ted. Steinbock, invece dell’atteso *stambocco, abbiamo l’it. stambecco, ciò dipende dall’influsso paretimologico di becco ‘caprone’, a cui lo stambecco è facil- mente avvicinabile. La resa ital. stoccafisso dell’ol. stokvis (lett. ‘pesce-bastone’) è certamente do- vuta all’intromissione del nostro aggettivo fisso, con allusione alla rigidità di questo pesce. L’ingl. country dance ‘danza campestre’ è diventato in Francia contredanse (da cui l’it. contraddanza); i parlanti francesi hanno rimotivato la prima parte del sintagma inglese trasformandola nel per loro trasparente prefisso contre-. Infine citiamo il caso di lat. asparagus, che nell’ingl. dial. ha dato luo- go a sparrow, confusosi ben presto con una voce omofona significante ‘passero’ e ampliato di con- 8 seguenza con l’aggiunta di grass ‘erba’; l’asparago è stato quindi paretimologicamente reinterpreta- to come sparrowgrass ‘erba del passero’. Ci troviamo di fronte a un completo rimodellamento del prestito latino, che ha comportato una rimotivazione semantica. Calco linguistico Il calco consiste, come il prestito, nella ripresa di un modello straniero da parte di una lingua X; pe- rò mentre attraverso il prestito la lingua X si arricchisce di nuovi lessemi (che riproducono formal- mente il modello), attraverso il calco tale modello viene riprodotto utilizzando materiale lessicale già esistente nella lingua X. Abbiamo due tipi fondamentali di calco: calco strutturale (chiamato anche calco di traduzione) e calco semantico. Calco strutturale Il calco strutturale si produce quando un composto o un sintagma viene trasposto in un’altra lingua, traducendo più o meno letteralmente gli elementi da cui è formato. Esso è divisibile in vari tipi: 1) calco perfetto: riproduce il modello straniero rispettandone fedelmente l’ordine degli elementi, cioè la struttura sintattica: fuorilegge e ferrovia sono calchi italiani perfetti dell’ingl. outlaw (fuori + legge) e del ted. Eisenbahn (ferro + via). Naturalmente i calchi perfetti sono frequenti soprattutto tra lingue che hanno strutture sintattiche similari: ingl. summit conference ‘confe- renza al vertice’ → ted. Gipfelkonferenz, ingl. brainwashing ‘lavaggio del cervello’ → ted. Ge- hirnwäsche (inglese e tedesco condividono l’ordine regressivo). Allo stesso modo sintagmi ita- liani come libero pensatore, messa in scena, colpo di stato calcano perfettamente quelli francesi libre penseur, mise en scène, coup d’état. 2) calco imperfetto: la ripresa del modello straniero non è fedele o sintatticamente o lessicalmen- te. Il primo caso è comunissimo, quasi tutti i numerosi calchi italiani sull’inglese o sul tedesco sono imperfetti (le strutture sintagmatiche e compositive italiane sono di norma progressive, a differenza di quelle inglesi e tedesche): cfr. skyscraper → grattacielo (se il calco fosse perfetto avremmo *cielograttatore!), round-table → tavola rotonda, iron curtain → cortina di ferro, e v. sopra le rese italiane di summit conference e brainwashing. Sul tedesco: Arbeitgeber → dato- re di lavoro, Klassenkampf → lotta di classe. La mancata corrispondenza sul piano lessicale è bene illustrata da un paio di esempi tedeschi: Wolkenkratzer ‘grattacielo’ (lett. ‘grattanuvole’), dove allo sky del modello inglese si è sostituito Wolke ‘nuvola’; Halbinsel ‘penisola’ (lett. ‘mezza isola’) rende solo approssimativamente il lat. paeninsula, il cui primo elemento paene significa ‘quasi’ (e difatti il franc. presqu’île ne è il calco perfetto). 3) calco parziale: uno solo degli elementi del modello è tradotto, mentre l’altro viene riprodotto con fedeltà, insomma la parola che ne risulta è per metà calco e per metà prestito. Qualche e- sempio: ingl. tramway → it. tramvia (way = via; l’altra resa tranvai rientra invece in quei casi di pronuncia ‘grafica’ visti sopra, del tipo tunnel), franc. milieu → ant. it. miluogo ‘centro’ (lieu = luogo), ingl. pocketbook → sved. pocketbok ‘libro tascabile’ (book = bok ‘libro’). 4) semicalco: uno degli elementi del modello è tradotto, l’altro è invece del tutto ignorato e sosti- tuito con materiale morfologico o lessicale proprio della lingua d’arrivo. Soprattutto le lingue slave sono ricche di semicalchi: lo sloveno gostilna ‘trattoria’ dipende dal ted. Gasthaus, che però è ricalcato solo nella prima parte (gost = Gast ‘ospite’), mentre il morfo -ilna non ha nulla a che fare con la ‘casa’ (ted. Haus). Altri esempi tedeschi → sloveni: Eisenbahn → železnica ‘ferrovia’ (Eisen = železo ‘ferro’), Mittelpunkt → središče ‘centro’ (Mittel = sreda ‘mezzo’). E’ interessante il fatto che il ted. Zeitschrift ‘giornale, rivista’ sia stato reso in sloveno sia con un calco perfetto: časopis (čas = Zeit ‘tempo’, pis = Schrift ‘scritto’) sia con un semicalco: časnik (-nik è un suffisso nominale molto produttivo). 9 Non mancano casi di calchi per falsa motivazione, cioè calchi basati su un’analisi sbagliata degli elementi che compongono il modello straniero, sul loro fraintendimento. Un tipico esempio è quello fornito dal ceco králík ‘coniglio’, che è propriamente un diminutivo di král ‘re’; esso ricalca il me- dio alto ted. küniklîn, analizzato dai parlanti cechi come formato da künik (ted. mod. König) ‘re’ + il suff. dim. -lîn (ted. mod. -lein). In realtà la parola tedesca non ha niente a che fare con un ‘piccolo re’, ma è un prestito dal latino cuniculus, da cui deriva anche l’it. coniglio. Calco semantico Abbiamo questo tipo di calco allorché, date due parole appartenenti a lingue diverse ma legate tra loro da somiglianza formale e/o da un significato-base comune, una delle due acquisisce una nuova accezione che in precedenza era propria solo dell’altra. Anche qui il concetto sarà meglio chiarito dagli esempi: l’it. realizzare (un prestito settecentesco dal franc. réaliser) fino al Novecento ha avu- to solo il significato di ‘attuare, effettuare’; da qualche decennio a questa parte però esso viene usa- to anche nel senso di ‘comprendere, rendersi conto’. Si tratta di un calco semantico sull’ingl. to rea- lize (pur esso francesismo), che tra le sue accezioni ha per l’appunto quella di ‘to understand’. Gra- zie al prestigio e alla forza di penetrazione di cui da tempo gode la lingua inglese, to realize ha agito da modello di riferimento per realizzare, ‘proiettando’ sul suo omologo italiano un significato che gli era proprio. Ugualmente l’it. sofisticato significava un tempo solo ‘adulterato’ (vino sofisticato); l’accezione di ‘ricercato’ (stile sofisticato, donna sofisticata) è dovuta a un calco semantico sull’inglese sophisticated. Finora abbiamo citato casi di parole in cui entra in gioco la somiglianza formale, ma questa non è necessaria; perché scatti il meccanismo del calco semantico può essere sufficiente la condivisione di un significato di base. L’it. farfalla nel senso di ‘cravattino’ è ricalcato sul franc. papillon. Il ted. Ente e il franc. canard vogliono dire ‘anatra’ e figuratamente ‘notizia giornalistica falsa’; questa seconda accezione del tedesco è ovviamente sorta per un calco sematico sul francese. 10
Description: