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De motu musculorum. Testo greco a fronte PDF

124 Pages·2009·6.576 MB·Greek
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DL· ·Ρ λ M' v OK-Aì GALENVS EDIZIONE CRITICA, TRADUZIONE, COMMENTO PIETRO ROSA BIBLIOTECA DI «GALENOS» · 1. PISA · ROMA FABRIZIO SERRA EDITORE MMIX PREMESSA Con redizione critica curata da Pietro Rosa del de motu musculorum di Galeno si inaugura la biblioteca di «Galenos», una collana destinata ad accogliere edi­ zioni critiche, studi di maggiore ampiezza, raccolte di frammenti, atti di convegni, nell" ambito di ricerca nel quale si muove la rivista ormai giunta al suo terzo nu­ mero. I membri del comitato scientifico e quelli della redazione hanno voluto confer­ mare il loro sostegno, e per questo vogliamo ringraziarli, e vogliamo ringraziare anche Veditore, Fabrizio Serra, per la fiducia accordata nell·accogliere questa nostra iniziativa. Il secondo volume della biblioteca ospiterà gli atti del II seminario sulla tradi­ zione indiretta dei testi medici (Siena, 19-20 settembre 2008), il terzo la raccolta dei frammenti del commento di Galeno al de humoribus ippocratico. Altri volumi quasi ultimati aspettano il loro turno. Auguriamo alla nuova collana Γaccoglienza accordata alla rivista. Pisa, settembre 2009 Ivan Garofalo, Alessandro Lami, Amneris Roselli INTRODUZIONE Idue libri del de motu musculorum1 fanno parte dei trattati anatomici di Galeno. Egli li ricorda sia nel de libris suis,2 3 che nel più breve scritto de ordine librorum suorum/ dopo altri suoi testi, volti a illustrare le facoltà naturali e quelle psichiche. Essi sono dunque inseriti nelfordine ideale che Galeno stesso suggerisce di seguire nella lettura delle sue opere principali, dopo una serie di scritti non pervenutici e prima del de placitis Hippocratis et Platonis. i. Data di composizione Sulla data di composizione non esiste alcuna testimonianza diretta; essa viene ge­ neralmente fissata al tempo del secondo soggiorno romano di Galeno, a partire dal 169 d.C.,4 in quanto il trattato non è menzionato, nel de libris suis, tra i libri scritti a Roma κατά τήν πρώτην επιδημίαν. Il terminus ante quem è invece definito dalle citazioni nel de difficultate respirationis (7.821.2 K), nel de symptomatum diffe­ rentiis (7.56.4 K) e nei commenti ai trattati ippocratici defracturis (18B.328, 3 K), de articulis (18A.319, 2 sg. K) e de medici officina (18B.860.1 K), tutti composti dopo la prima metà della methodus medendi, ancora sotto Marco Aurelio.5 Sulla base della ci­ tazione di altri trattati galenici che si trovano nel de motu, la sua datazione può es­ sere poi ulteriormente precisata, e fissata a prima del 175. I trattati citati sono: de musculorum dissectione, de usu partium, anatomicae administrationes (I 6 = p. 13,12 sg. di questa edizione), de causis respirationis (II 5 = p. 34,16 e II 9 = p. 41,18), de voce e de utilitate respirationis (II 9 = p. 47, 5). 2. Struttura e contenuto Il trattato si divide in due libri.6 Il primo si apre con la considerazione della molte­ plicità e della quantità dei muscoli, tanto numerosi che è difficile anche solo ap­ prenderne il numero. Galeno sottolinea come fesperienza della dissezione dimostri che i muscoli sono organi di movimento volontario e che le modalità del loro mo­ vimento non sono facilmente individuabili. Sono discusse con particolare atten­ zione le differenze tra tendine, legamento e nervo: il primo ha una natura mista, tra legamento e nervo, il secondo serve per collegare i muscoli alle ossa, il terzo for­ nisce al muscolo sensazione e movimento, che trae dal cervello. Questo è come una 1 In greco περί μυών κινήσεωο nei codici LP2, in Oribasio e nelfedizione Aldina, περί κινήοεωο μυών in S e R, περί μυών κινήοεων in PMP1M1. La forma corretta parrebbe la prima perché così Ga­ leno cita l’opera in altri suoi scritti (cfr. infra). 2 P. 154,19-20 Boudon, secondo il codice Vlatadon 14 e la traduzione araba. 3 P. 93,7 Boudon = Scripta minora II 84 Muller. La traduzione araba precisa che si tratta di due libri. 4 Cfr. Ilberg 1892, pp. 498-500; Bardong 1942, p. 633. 5 Altre citazioni dell'opera sono in A.A. IV 7 e 11 (Garofalo 1991, 431 e 453), XIV 2 (Garofalo 1991, 1043), UPII16 = 1111, 14 Helmreich; III16 = 1192, 7 Helmreich; X 9 = II 83, pp. 18 sgg. Helmreich; XI 10 = II142, 24 sgg. Helmreich, etc., deplac. I 9 = I 94, 18 De Lacy; e in ars medica p. 390, 2 Boudon- Millot (1. 409, 5 K). 6 La divisione in due rotoli è dovuta all·ampiezza della materia, non a diversità di oggetto. XII DE MOTV MVSCVLORVM fonte a cui attingono - come fiumi - i nervi, per irrigare il territorio muscolare; gra­ zie ad altri fiumi (arterie e vene, provenienti rispettivamente da cuore e fegato) tale territorio diviene simile ad una pianta, mentre il nervo, fornendogli sensazione e movimento, lo rende simile ad un essere animato. Il muscolo è dunque organo di sensazione e movimento, ma è il movimento che gli è peculiare (§ i). Galeno si sofferma quindi sulla definizione di "tendine". Il tendine è un misto di legamento e nervo, più duro del primo, più molle del secondo, che supera anche in spessore, fino a sei-dieci volte. Suo compito è legare il muscolo alle ossa, men­ tre il nervo deriva dal cervello e si inserisce in una terminazione d"osso (§ 2). Segue una classificazione dei muscoli come organi di movimento volontario, se­ condo queste categorie: a) i muscoli che muovono ossa terminano generalmente in tendini; b) altri muscoli, contraendosi, muovono solo se stessi (ano, vescica), o trascinano la pelle con sé (labbra, fronte, volto): da questi non proviene alcun ten­ dine; c) altri ancora muovono alcune parti diverse dalle ossa (occhi, lingua, testicoli, pene, orifizio dello stomaco, laringe e faringe): alcuni di questi presentano tendini, altri no. Molto spazio è dato alla discussione sul cuore: secondo Galeno non è un muscolo e fa parte a sé. Ogni muscolo ha poi una propria modalità di movimento, descritta con gli esempi di lingua, occhi, muscoli temporali, muscolo grande del braccio (il bicipite) e muscolo grande dell·avambraccio (flessore profondo delle dita), ano, diaframma, muscoli del torace e dell·addome (§ 3). Si passa quindi all" esame dei movimenti muscolari. Per Galeno i muscoli non hanno sei movimenti distinti, come sostengono alcuni, ma un unico movimento at­ tivo, quello di contrazione; festensione è solo uri azione passiva, dovuta al movi­ mento attivo del muscolo opposto, come avviene nei muscoli di braccia e gambe, nonché in quelli temporali. Lo si deduce praticando la dissezione: quando si taglia, o si incide, un solo muscolo, o tendine, vengono meno due movimenti; quando viene meno uno dei due movimenti successivi, viene meno anche 1"altro (§ 4). Si prosegue esaminando i risultati delle esperienze di dissezione: a) i muscoli in­ terni di una parte ne provocano la flessione, quelli esterni, invece, festensione; b) i muscoli opposti sono responsabili dei movimenti opposti; c) ogni parte del mu­ scolo ha come azione innata la contrazione su se stessa (§ 5). Tumori e affezioni sviluppati nella parte interna di un muscolo provocano la fles­ sione del membro, senza che si possa poi realizzare uri estensione attiva; se hanno luogo nella parte esterna, il membro si estende ma non si flette più: la malattia provoca, in questi casi, la stessa azione normalmente esercitata dalla volontà. I mu­ scoli hanno uri unica modalità di movimento, ma producono molte azioni diverse, dovute alle differenti articolazioni. Vengono proposti vari esempi di figure delle membra prodotte dai muscoli di braccio e avambraccio in azione (§ 6). Riguardo ai movimenti Galeno puntualizza come non tutti i moti del corpo av­ vengano per azione dei muscoli, e così pure non ogni stato di immobilità è dovuto alla loro quiete; accanto a contrazioni ed estensioni i muscoli hanno altri due tipi di movimento: un terzo è lo stesso che hanno anche le ossa; non è proprio del mu­ scolo come organismo vivente, ma come inanimato; un quarto è il cosiddetto mo­ vimento "tonico", presente quando i muscoli sono in azione ma il membro, di cui sono parte, non si muove nel suo insieme, né essi singolarmente (§ 7). INTRODUZIONE XIII Si forniscono diversi esempi di movimento tonico: a) un corpo inanimato tirato in direzioni opposte da forze pari; b) un uccello che si libra nell·aria: questi corpi non sono immobili, ma si muovono doppiamente. Segue una discussione sul mo­ vimento muscolare: fino a che punto è dovuto alla contrattilità del muscolo e fino a che punto, invece, alla volontà? Ancora la dissezione dimostra che il corpo del muscolo non potrebbe mai giungere ad una flessione accurata e completa senza Γaiuto della facoltà psichica (§ 8). Lo studio delle figure estreme (completa contrazione e completa estensione) in­ dica che la contrazione è peculiare del muscolo più che l’estensione. Se esse gli fos­ sero ugualmente proprie, il muscolo assumerebbe la figura intermedia, mentre si avvicina di più alla completa flessione. Galeno suggerisce di studiare il movimento dei muscoli e le loro posizioni, prendendo due ossa di qualche animale, unite per mezzo di un" articolazione, a cui applicare delle funi (composte da nerbi), per si­ mulare i muscoli. Se ne deduce quanto segue: a) i muscoli nascono dalle ossa su­ periori, dove si trovano le cotili, e si inseriscono in quelle inferiori; b) i muscoli sono proporzionati alle ossa da muovere; c) senza impulso volontario nessuno dei mu­ scoli può giungere alle posizioni estreme; d) queste ultime si hanno quando prevale uno dei due movimenti di estensione o flessione (§ 9). Ancora riguardo alle posizioni estreme o intermedie dei muscoli Galeno regi­ stra sensazioni e comportamenti che si riscontrano in loro presenza: a) Γestrema estensione provoca dolore; b) la posizione intermedia è la meno dolorosa; c) ten­ diamo a mutare le posizioni dolorose; d) conserviamo per moltissimo tempo la posizione intermedia; e) tendiamo a mutare, di tanto in tanto, anche questa; f) ogni posizione è gravosa per chi è debole (§ 10). Il secondo libro si apre con la descrizione delle posizioni intermedie: ne esistono di due tipi: quella che presenta i due muscoli inattivi e quella che li vede agire con­ temporaneamente (azione "tonica"). Quesfultima è dolorosa quanto le posizioni estreme, mentre non è dolorosa la prima, purché sia "semplice", cioè intermedia tra tutte le posizioni estreme del membro e non intermedia di una sola delle due op­ posizioni. Seguono Tesempio del braccio, che presenta quattro posizioni estreme (pronazione, supinazione, estensione e flessione massime) e la descrizione di posi­ zioni e figure (§ 1). Per studiare i quattro movimenti del braccio occorre appurare a) da quali mu­ scoli vengano compiuti; b) di quale natura essi siano; c) quale articolazione muo­ vano. Dopo la descrizione dell"avambraccio e dell"ulna, viene illustrata nei particolari la straordinaria accuratezza con cui la natura ha apprestato 1"articola­ zione delfulna con 1"omero, responsabile di estensione e flessione (§ 2). Galeno si sofferma sull"articolazione delfulna con 1"omero e sulla posizione dei muscoli presenti in essa: due nella parte anteriore, due in quella posteriore del brac­ cio, detta "olecrano" ο κύβιτον; tutti e quattro si portano direttamente alfulna e danno luogo a estensione e flessione. Altri quattro si inseriscono nel radio e sono responsabili di pronazione e supinazione. Una nuova dimostrazione riguarda le quattro posizioni intermedie "non semplici", in cui un tipo di muscolo agisce sem­ pre, ogni altro è in stato di quiete e viene esteso. Il discorso verte quindi sulla po­ XIV DE MOTV MVSCVLORVM sizione angolare e pronatoria e, in particolare, sul comportamento in essa dei mu­ scoli dell·avambraccio: viene ribadita, citando Ippocrate, la superiorità della posi­ zione intermedia semplice su tutte le altre, in quanto unica totalmente priva di dolore (§ 3). Lo stato di quiete perfetta è proprio solo di chi ha tutte le parti completamente rilasciate e in posizione intermedia. Ciò si verifica in chi è ubriaco, molto affati­ cato o indebolito. Chi dorme senza essere in tale condizione non ha i muscoli in perfetta quiete: essi non possono certo trovarsi, durante il sonno, nelle posizioni estreme, che richiedono un’azione forte ed intensa, ma sono in una posizione in­ termedia tra le estreme e la mediana, conservando una certa azione (tonica). Sono addotti alcuni esempi di azione tonica durante il sonno: camminare, stringere pic­ coli oggetti tra le mani, tenere gambe e braccia estese o flesse, quindi si descrive fazione tonica nei muscoli escretori e nella mascella inferiore. L’anima dei dor­ mienti non è in quiete perfetta, ma sente con difficoltà (§ 4). Sono oggetto di ulteriore approfondimento le azioni che avvengono durante il sonno: non è credibile che esse siano tutte opera della natura. Anche molte azioni che compiamo da svegli non sono accompagnate dalla dianoia, ad es. il battito delle ciglia. Per distinguere tra azioni volontarie e non volontarie, occorre basarsi su cri­ teri sicuri; essi sono: a) la possibilità di arrestare azioni in corso e di avviarne ex novo; b) la possibilità di accelerare o rallentare e di rendere più o meno frequenti le azioni stesse. In virtù di questi criteri sono da considerare volontarie la respira­ zione e il moto delle gambe, non volontari i movimenti di arteria e cuore. Resta da appurare per quale motivo la mente non partecipi direttamente a molte azioni vo­ lontarie (§ 5). Galeno intende dimostrare che la respirazione è azione volontaria dovuta al­ l’anima. Per farlo parte dall’assunto che di molte azioni non ci ricordiamo in quanto la parte immaginativa dell’anima, in certe condizioni (ubriachezza, collera, pen­ sieri fissi, follia), non ha fissato nella mente il loro compimento. Anche i deliranti (Galeno cita un caso molto evidente) compiono diverse azioni, di cui poi non ri­ cordano nulla, ma esse, come le nostre azioni realizzate nel sonno, sono volonta­ rie; lo stesso avviene per la respirazione: è volontaria (lo dimostra uno schiavo barbaro che volle morire trattenendo il fiato), ma solo di rado le rivolgiamo at­ tenzione. Le azioni volontarie sono quindi divise in due gruppi: a) alcune del tutto libere, che compiamo quando vogliamo, come andare da qualcuno, parlare, pren­ dere qualcosa; b) altre che sono subordinate agli stati del corpo e avvengono in un tempo ben determinato, come urinare e andare di corpo. Simile a queste ultime, sebbene più incalzante e più frequente, è la respirazione (§ 6). Si tratta ancora la posizione intermedia: nella gamba essa non è priva di dolore, mentre lo è quella compresa tra Γintermedia e l’estensione estrema e questa diffe­ renza, rispetto ad altre parti del corpo, è dovuta all’abitudine. Occorre quindi, per capire quale sia la posizione intermedia e priva di dolore in tutte le articolazioni, considerare non solo la natura, ma anche la consuetudine. In base a questi criteri Galeno individua la posizione intermedia nelle articolazioni del gomito, del gi­ nocchio, della spina dorsale e del carpo, soffermandosi in particolare su queste ul­ time due. Anche i muscoli privi di articolazione hanno la posizione intermedia e INTRODUZIONE XV priva di dolore, come si può vedere in quelli di ano e vescica la cui funzione non è quella di espellere i residui del cibo, ma di trattenerli (§ 7). Gli organi di escrezione sono, invece, di due tipi: a) il diaframma e i muscoli del- Γaddome (che appartengono all·anima ed hanno azione volontaria); b) gli intestini e lo stomaco, che appartengono alla natura ed hanno azione involontaria. Ci si sof­ ferma sui primi: la defecazione ha luogo quando la cavità intestinale, che contiene gli escrementi, è premuta dall·esterno (muscoli dell·addome) e dall·interno (dia­ framma). E di grande aiuto, in quest’azione, Γobliquità del diaframma. Agiscono al tempo stesso anche i muscoli della respirazione, il cui scopo è di stringere da ogni parte il diaframma, sostenendolo nel suo compito di bilanciare la tensione dei muscoli del ventre (§ 8). Il diaframma, come strumento di espulsione degli escrementi, ha, come muscoli opposti, quelli che li trattengono e quelli che si trovano nell·addome. Come stru­ mento di respirazione, ora ne ha, ora non ne ha. Nessun muscolo produce espira­ zione (έκπνοή), che pare opera del torace. V effrazione (έκφύσηοιο) è invece opera dei muscoli intercostali. L/έκπνοή è contraria alf εισπνοή e Γ εισπνοή violenta è con­ traria all" έκφύσησισ. La prima opposizione è prodotta dal diaframma, la seconda dai muscoli intercostali insieme a quelli che giungono al torace dalle scapole e dal collo; tali questioni sono più ampiamente trattate in altre opere di Galeno, mentre qui la sua attenzione si concentra sul diaframma e sulle particolarità dovute alla sua forma. Come tutti i muscoli anche quelli del diaframma hanno duplice tensione, la prima nelle inspirazioni non violente, la seconda nelle espirazioni non violente. Inoltre solo il diaframma ha una posizione intermedia duplice: si inclina verso la spina dorsale in tutte le posizioni tranne che durante i decubiti sul ventre, quando si inclina verso lo stomaco. Questo è dovuto al fatto che i muscoli del torace, come quelli dell·addome, non poggiano su una sostanza ossea, dura e resistente, ma hanno sotto di sé spazi cedevoli. Si conclude la trattazione con la descrizione di fi­ gure dei muscoli del ventre e del torace (§ 9). 3. Tradizione del testo 3.1. Tradizione diretta Diels 1905, 69, nel suo catalogo, registra nove manoscritti greci che conservano il de motu.7 Essi sono i seguenti (in ordine di secolo e, alfinterno di ogni secolo, in or­ dine alfabetico): Laurentianus pi. 74, 3 s. XII 192rv L Parisinus Graecus 1849 s. XII 95r-nov P Scorialensis T. III. 7 s. XII 34r-57v S Reginensis Sv. 175 s. XIV 242 -2Ó4V R Marcianus Graecus 279 s. XV 7ir-84v M Marcianus App. cl. V 5 s. XVI 433v-443r Mi Mutinensis Graecus 237 s. XVI 249r-2Ó4v Mu 7 Una traduzione latina, segnalata da Diels 1905, 69 in un manoscritto Basii. D III 8, in realtà non esiste (cfr. Wilson 19832, p. 170, nota 24). XVI DE MOTV MVSCVLORVM Parisinus Graecus 2164 s. XVI 9ir-nor Pi Parisinus Graecus 2278 s. XVI ιΓ-22Γ P2 Questi mss. si dividono in due famiglie; solo i codici della prima famiglia e lo Sco­ rtai. T. III. 7 della seconda tramandano per intero il trattato, mentre gli altri risul­ tano mutili verso la metà del libro secondo e precisamente nel corso del capitolo sesto, tre di essi (RMiMu) a p. 36,16 = 4.448, 3 K e uno (P2) a p. 37, 9 = 4.450, 3 K. Il codice Laurentianus pi. 74, 3, infine, contiene solo una minima parte del testo gale­ nico, corrispondente alle pagine 1-2, 25 di questa edizione = 4.367-371, 4 K. Famiglia A La prima famiglia è costituita dai codici PMPi. Il capostipite P è un manoscritto car­ taceo assai noto e studiato, che conserva, oltre al nostro trattato, i primi due libri della Metafisica I e II di Aristotele, le anatomicae administrationes, i commenti ad Ip- pocrate de articulis, defracturis e de officina medici.8 Attribuito al XIV sec. da Omont 1888, 152 è stato assegnato al XII ο XIII sec. Canari 1978, 151 sg. Lha collocato al principio del sec. XIII, Cavallo 1980, 214 sgg. è per una data attorno al 1200.9 Ma Wilson 19832, 170; 1983^ 314 sgg. e 1987, 53 sgg. lo ha con certezza datato alla se­ conda metà del sec. XII, riconoscendo in esso glosse marginali in latino (ff. 95r- io5r),10 da lui attribuite con buona probabilità a Burgundio da Pisa (ino c.-1193).11 Il codice, come diversi altri, fu copiato dallo scriba Ioannikios e dai suoi colla­ boratori, che trascrissero numerosi testi classici di rilievo, molti di argomento me­ dico. Sono state avanzate differenti ipotesi sulla località in cui operarono questi copisti: Wilson 1987, 53 ritiene che essi abbiano avuto accesso ad un ottima biblio­ teca e suggerisce le città di Costantinopoli oppure Palermo, nel più fiorente pe­ riodo del regno normanno. Nel primo caso - secondo F ipotesi di Wilson (19832, 170) - Burgundio da Pisa12 avrebbe potuto acquistare il codice a Costantinopoli, dove egli soggiornò nel 1136 e, di nuovo, nel 1170. Questa è Γopinione prevalente. Cavallo 1980, 214 sgg. è per un’un origine siciliana, Canari 1978,151 sg. suggerisce la Puglia.13 Il manoscritto fu probabilmente utilizzato da Pietro d"Abano che cita un brano del quarto libro delle anatomicae administrationes, come ha notato Stefania Fortuna.14 Entrò poi a far parte della biblioteca del cardinale Nicola Ridolfi, nipote di papa Leone X e giunse in Francia con Pietro Strozzi e tutta la biblioteca Ridolfi, per es­ sere poi ceduto a Caterina de" Medici. Acquistato per la biblioteca di Enrico IV nel 1599, è ora alla Biblioteca Nazionale di Parigi.15 8 Cfr. Omont 1888, p. 152. Per P si veda Roselli 1991, Brockmann (in corso di stampa). 9 Egli segue Fipotesi dij. Wiesner e P. Moraux (Ar^st°Mes graecus, I, Berolini, 1976, p. 472). 10 Wilson i983a, 169 nota tra l'altro come a f. 98r e ioor compaiano glosse marginali in greco e la­ tino che sembrano dello stesso inchiostro. 11 Cfr. anche Gamillscheg, Harlfinger 1989, 2, pp. 113 sg.; e Garofalo 1991, pp. 63 sg. 12 Su Burgundio si veda Wilson 1986, Fortuna, Urso 2009. 13 La scrittura di Ioannikios fu identificata da Bandini (cfr. Wilson 19830, 315), che la riconobbe in vari manoscritti. Si veda ora Degni 2008. 14 Si veda Fortuna 2008. 15 Cfr. Garofalo 1986, pp. XI e XVI. INTRODUZIONE XVII La scrittura di lonnikios è molto variabile e risulta spesso estremamente ardua da decifrare, sia per la grafia tutt'altro che elegante, sia per Γabbondanza di tron­ camenti, segni abbreviativi, che rendono talora soggettiva l'interpretazione delle desinenze stesse di sostantivi e di forme verbali e giustificano molti errori e imba­ razzi negli apografi.16 Altro problema è costituito dall'intervento di più copisti al­ l’interno del codice, come è stato riscontrato anche in altri manoscritti attribuiti allo scriptorium di Ioannikios.17 In P, e soprattutto nei fogli che contengono il de motu, la situazione è estremamente complicata. Wilson i983a, 170 si sente di affer­ mare soltanto che nei fogli 95r-iiov, nei quali appunto è copiato il de motu, inter­ vengono quattro mani (diverse tra loro e da quella di Ioannikios), delle quali le prime tre scrivono i fogli 95-102 con grande varietà di grafia, la quarta i fogli 103-110, con grafia relativamente più normale. L'esame da me condotto su questa parte del codice ha confermato quanto segue: ff. 95r~97v I mano ff. 97v-iO3r II mano f. iO3r III mano ff. iO3r-iiov IV mano L'esame diretto del manoscritto rivela inoltre la mano di un correttore (P2), che in­ terviene sul testo nei ff. 95r-io2r, con un inchiostro molto più scuro rispetto a quello originale. I suoi interventi correggono a volte con decisione il testo, spesso sciol­ gono le abbreviazioni o le completano, aggiungono punteggiatura e, in qualche caso operano l'abrasione del testo originale cui sostituiscono una diversa lezione.18 In altri casi la correzione è invece interlineare. Questi interventi, che non sembrano frutto di collazione con manoscritti della famiglia B, sono anteriori alla metà del XV sec. in quanto l'apografo diretto di P, ovvero il Marcianus graecus 279 (M), li registra tutti e li accoglie nel testo. Wilson19 ritiene che almeno alcune di queste correzioni si possano attribuire a un collaboratore di Ioannikios che egli ritiene un occiden­ tale. Se questo è corretto esse sarebbero contemporanee alla stesura del mano­ scritto. Ulteriore difficoltà deriva dallo stato di conservazione del codice, la cui rilegatura rende talora arduo leggere le parole che si trovano nei margini interni dei fogli. P è stato riconosciuto quale archetipo di tutti i manoscritti greci che conservano le anat. admin. di Galeno,20 mentre per il de motu è antigrafo diretto del Marcianus Graecus 279. Il Marcianus graecus 279 (M) è datato da Mioni 1981, pp. 402 sg. alla metà del sec. XV È un codice membranaceo e fu copiato da lohannes Rhosus per conto del car­ dinale Bessarione.21 La grafia è elegante e, nel complesso, il codice è scritto con 16 Per la difficoltà di lettura vedi Vogt 1910, 9-14; E Kudlien i960, p. 21, Garofalo 1986. 17 Cfr. Wilson i983a, p. 167. 18 È il caso, ad esempio, di f. 9óv, 7 (= p. 5, 6) dove la desinenza del dativo singolare χόνδρω (atte­ stata in tutti i codici) viene erasa e corretta in χόνδροιο. 19 In una lettera gentilmente inviatami in data 29.12.1998. 20 Cfr. Garofalo 1981 e 1986, p. XI. Per altri manoscritti vedi Vogt 1910, pp. 9-14. 21 Su Rhosus cfr. Mioni 1976. Su M vedi anche Helmreich 1923. Secondo D. Harlfinger (comuni­ cazione orale a Ch. Brockmann 2008, p. 622, nota 26) il copista di M è G. Tzangaropoulos. XVIII DE MOTV MVSCVLORVM molta cura. Riproduce tutte le opere di P, tranne i due libri della Metafisica di Ari­ stotele, nello stesso ordine, e risulta di notevole utilità per i punti in cui quest'ul­ timo, a causa della rilegatura, non è leggibile. Fu utilizzato da J. Key (Caius) per la sua edizione di alcuni trattati galenici, tra cui il nostro, che fu stampato a Basilea nel 1544.22 Per la dipendenza di M da P ho potuto riscontrare, tra gli innumerevoli altri, i seguenti elementi congiuntivi: Libro I: concordanza in errore e omissioni (le pagine e le linee si riferiscono alla pre­ sente edizione): 1,11 τιμή PM : τομή cett. recte 5,1 μάλλον PM : μέλλων cett. recte 7,1-3 testo corrotto in gran parte uguale 9,12 ήοθαι PM : ήδη cett. recte 10,17 καί δήλον τάληθέο om.PM 17,13 Eie ’icov om.PM et scr. ó ψυχικόο ’icoc ών Libro II: concordanza in errore e omissioni 29,11 eoe διαοπαοθήναι om.PM 32, 23 άγαπώντων PM : άναοπώντων cett. recte 34, 22-23 των τήο άπορίαο- τά σαφή om. ΡΜ 35, 8 τήο ψυχήο om.PM Elementi separativi, oltre agli errori singolari, sono le numerose omissioni di M ri­ spetto a P, spesso dovute a salti da medesimo a medesimo o a salti di un'intera linea del testo di P. Ecco i più evidenti: Libro I 4,10-11 ού γάρ έοτι νεΰρον μόνον om. Μ 15, 26-27 άλλ' αργοί - ταθείη μυο om. Μ 24,16-17 τούτω - άνώδυνον om. Μ Libro II 28, 6-8 κατά - μέγα καί om. Μ 28, 8-9κατά δέ - παντί μορίω om. Μ 28,13-14 έπιοτροφάο - τήο χειρόο om. Μ 29, 6-7 διετρήθη - έδραίωο om. Μ Il Parisinus graecus 2164 (Pi), datato da Omont 1888, pp. 207 sg. al XVI sec., è un co­ dice cartaceo che contiene una ventina di opere di Galeno.23 de motu è scritto in una 22 Cfr. Garofalo 1986, p. XII; Nutton 1987, pp. 41, 51. Ad esso probabilmente si riferisce Caius, nelle sue note al testo, definendolo «vetustus, antiquus, vetus» (vedi infra). 23 Si tratta dei seguenti testi: de foetuumformatione, an animal sit quod in utero est, de instrumento odo­ ratus, quod optimus medicus sit quoque philosophus, de parvae pilae exercitio, quod qualitates incorporeae

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