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Creatività ed insegnamento della matematica PDF

13 Pages·2015·0.74 MB·Italian
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Carlo Felice Manara CREATIVITÀ ED INSEGNAMENTO DELLA MATEMATICA (*) SOMMARIO 1 Creatività e scienza. 2 La scienza ed i modelli. 3 La geometria e l'immaginazione. 4 La creazione di concetti. 5 La creazione di teorie e di strutture. 6 La creazione di simboli e di strumenti espressivi. 7 La creazione di metodi e di procedure. 8 L'intuizione in matematica. 9 Apprendimento come reinvenzione guidata. 10 Formazione mentale ed addestramento. 11 Il problema della valutazione. 12 La cultura ad una dimensione. “La machine d'arithmétique fait des effets qui approchent plus de la pensée que tout ce que font les animaux; mais elle ne fait rien qui puisse faire dire qu'elle a de la volonté, comme les animaux.» [Blaise Pascal. Pensées]. (*) NOTA: Il presente intervento riprende ed amplia alcune idee esposte dal relatore al Convegno su “Pensiero scientifico e creatività”, svoltosi ad Ancona nel marzo 1994. (**) 1 - Creatività e scienza. Un’immagine molto diffusa della matematica (che viene presentata spesso come una dottrina arcigna, immobile, quasi mummificata), porterebbe a pensare che il termine "creatività" indichi qualche cosa che è molto lontano dai suoi contenuti e dalle sue procedure abituali. Questa opinione mi pare molto lontana dalla realtà, come cercherò di mostrare; tuttavia essa è purtroppo confortata da una certa tendenza didattica che conduce ad insistere sugli aspetti meno creativi e formativi della matematica; tendenza che è confortata anche dall’esaltazione di un certo tipo di insegnamento dell'informatica; insegnamento che sembra concepito ed attuato per esaltare gli aspetti più deprimenti di una pretesa schiavitù dell'uomo nei riguardi delle macchine. Infatti si fa un gran parlare di macchine pensanti e di intelligenza artificiale, generando e radicando una confusione di idee che si riflette poi sulla mancata formazione mentale dei discenti. Chi lavora per ridurre l'insegnamento a puro addestramento all'impiego di macchine, che [a sentire quello che si dice] dovrebbero poi finire per essere più intelligenti dell'uomo, in un entusiasmo infantilmente immaturo, non ricorda forse che il problema della distinzione di ruoli tra la macchina che calcola e l'uomo si era già presentato alla mente di Blaise Pascal, il geniale matematico, filosofo e 1 teologo che costruì la prima macchina di calcolo, quella che viene chiamata da qualcuno la “Pascalina”. E proprio Pascal, riconoscendo, con una mirabile intuizione che supera i secoli, le enormi possibilità della macchina, ribadiva tuttavia che la libertà è il carattere distintivo dell'agire umano; e mi pare di poter dire che, nell'ambito della scienza, la creatività è uno degli aspetti fondamentali sotto i quali si manifesta la libertà. Fortunatamente i nuovi programmi di insegnamento della matematica per il primo biennio delle scuole medie superiori parlano esplicitamente della matematica come di “...parte rilevante del pensiero umano ed elemento motore dello stesso pensiero filosofico...”. Ma si direbbe che questa giustissima idea non sia poi stata tenuta presente in buona parte della didattica che è stata di moda tra noi in tempi recenti, e soprattutto non sia stata recepita nella manualistica che imperversa nelle nostre scuole. 2 - La scienza ed i modelli. Questa mia relazione dovrebbe riferirsi alla matematica; ma, prima di parlare di questa dottrina, penso che sia utile dare uno sguardo, anche solo sommario e fuggevole, al posto che ha la creatività in tutta la scienza della Natura. Penso infatti di poter dire che la scienza, degna di questo nome, non potrebbe esistere senza l'atteggiamento di creatività dello spirito; mi pare che questo sia un aspetto del pensiero scientifico che forse non è stato preso in considerazione da certe correnti filosofiche le quali credevano di poter sbrigativamente giudicare della scienza definendola come un “coacervo di pseudoconcetti”. Credo invece che la costruzione della conoscenza scientifica non possa essere limitata all'impiego del metodo sperimentale; questo fornisce gli elementi fattuali che sono necessari, alla partenza, per ogni conoscenza organica della realtà; ma questa conoscenza si completa solo con l'intervento della creatività dello spirito umano. In altre parole, la scienza della Natura non può ridursi ad un elenco di fatti e di osservazioni elementari: i fatti, presi isolatamente, come già L. Pirandello fa dire ad un suo personaggio, sono soltanto dei sacchi vuoti che da soli non si reggono (l). La scienza li collega, istituisce delle gerarchie, li spiega; per rimanere nell’immagine poetica, riempie questi sacchi. Questa operazione di “riempimento” deve sempre essere rispettosa della realtà osservata, ma non può avvenire senza la creatività della mente dello scienziato; infatti, nel primo momento dell'opera scientifica di conoscenza, questi costruisce mentalmente un modello della realtà nascosta, di quella che si potrebbe chiamare la natura intrinseca della realtà, l'origine dei fatti. Ed in questa costruzione l'opera della fantasia creatrice è essenziale, così come lo sarà in seguito l'opera della ragione che deduce. L'impresa della costruzione di spiegazioni dei fatti si esplica in generale con la costruzione di modelli della struttura interiore della realtà che si vuole conoscere e spiegare. Penso infatti che soltanto il modello permetta di strutturare i fatti, identificando i collegamenti tra loro, suggerendo i legami causali, stabilendo le gerarchie logiche. È forse l'azione insostituibile della fantasia creatrice quella che dà all'impresa della costruzione di una teoria un aspetto molto analogo a quello della costruzione poetica; e ciò forse è spesso dimenticato da chi vorrebbe giustificare e legittimare la scienza soltanto come una dottrina che dirige la tecnica, ai soli fini del dominio umano sulle forze e sulle ricchezze della Natura. Ma occorre anche ricordare che la costruzione scientifica, pur essendo spesso altrettanto esaltante della costruzione poetica ed artistica in generale, è anche altrettanto e forse ancora più difficile; infatti lo scienziato non può vagare senza limiti nel mondo della fantasia, perché, nella sua opera creativa, deve sempre tener conto della realtà esistente, che costituisce il tribunale di estrema istanza al quale egli deve presentare la sua opera. Si potrebbe dire inoltre che la scienza nasce quando si guarda con occhi nuovi la realtà che ci sta sotto gli occhi ogni giorno; così come talvolta le grandi innovazioni tecnologiche avvengono trovando nuovi impieghi di strumenti vecchi e già usati, oppure utilizzando in modo nuovo e creativo le strutture che si pensavano utilizzabili in un solo determinato modo; oppure modificando in modo originale certe procedure che si pensavano immutabili. In questo ordine di idee mi piace ricordare ciò che un grande matematico italiano scomparso, Bruno De Finetti, era solito dire, a proposito della disponibilità, dell’apertura mentale, della prontezza che lo scienziato deve avere nei riguardi della realtà; egli parlava spesso di “serendipità”, per indicare questa virtù intellettuale. Ed io credo che egli abbia preso questo termine dai classici (2). 2 Questo atteggiamento di disponibilità ad accettare i dati nuovi dell’esperienza, a cambiare di conseguenza i propri schemi mentali e le strutture concettuali costruite per inquadrare la realtà, sembrerebbe in contrasto con il precetto stoico, che ammoniva di non meravigliarsi di nulla, prescrivendo: “Nil admirari”. Ma credo che si possa salvare la validità del detto stoico osservando che esso si riferisce alla capacità del saggio di non aderire alle opinioni variabili ed alle apparenze del cangiante paesaggio della società umana. E mi pare che anche questa stabilità interiore richieda una notevole capacità di creare nuovi rapporti concettuali, in A.Mazzotta. Élan vital (1). relazione alle acquisizioni sempre nuove provocate dai contatti con i nostri simili. Ma non intendo proseguire nella analisi, pur interessante, della procedura fondamentale delle scienze della Natura, perché, come ho detto, devo qui trattare in modo particolare della matematica. Oso dire che in questa dottrina la creatività, che abbiamo visto sempre presente in ogni costruzione scientifica, acquista una fisionomia caratteristica, che merita una analisi approfondita; questa necessariamente si impianta su una determinata concezione della matematica; quindi non pretendo che essa abbia un valore assoluto. Ma penso tuttavia che essa abbia una sua validità, o possa almeno essere guardata anche come la testimonianza di una serie di riflessioni, generate da esperienze personali vissute. Fatte queste precisazioni, ed in questo ordine di idee, si potrebbe osservare che in matematica la creatività può presentarsi in vari modi e sotto vari aspetti; li presenterò qui collegandoli, come ho detto, con una determinata concezione della dottrina. Io credo infatti che la creatività possa realizzarsi anzitutto con la costruzione delle immagini, in secondo luogo con la costruzione dei concetti e dei sistemi di concetti che si impiantano sulle immagini, ed infine con la invenzione di simboli ed in generale di linguaggi. 3 - La geometria e l'immaginazione. Consideriamo anzitutto la creatività matematica che si manifesta nella creazione di immagini. Oso dire che questa operazione è uno dei primi momenti della costruzione di una dottrina matematica, oppure anche solo della soluzione di un problema matematico. Non intendo tuttavia affermare che questo passo sia necessario, né che il fatto di compierlo con maggiore o con minore facilità e frequenza costituisca un valido criterio di confronto tra due ricercatori. A questo proposito ho ricordato in varie sedi l'analisi della mentalità del grande matematico che Henri Poincaré svolse in un suo profondo discorso, pronunciato in occasione del congresso mondiale dei matematici tenutosi a Parigi nel 1900. È noto che in quella occasione Poincaré parlò di mentalità del geometra e di mentalità dell'analista; egli precisò che queste mentalità non sono legate ai contenuti delle ricerche, ma alle caratteristiche che forniscono la fisionomia intellettuale del ricercatore; ed aggiunse che si può fare dell'analisi matematica con lo spirito del geometra, e che si può fare della geometria con lo spirito di un analista. Personalmente credo che si possa parlare di un certo tipo di intervento della immaginazione nel fare matematica. Mi pare chiaro che l'opera dell’immaginazione, soprattutto di quella che parte dall’esperienza spaziale e la trasforma e rielabora, non costituisca fondamento per le deduzioni rigorose. Penso che ciò vada ripetuto chiaramente, soprattutto oggi, in presenza di un’abitudine, anche troppo diffusa, di sostituire le immagini ai concetti, e di sostituire l'accostamento delle immagini al collegamento tra concetti, che solo è fondamento della deduzione valida (3). Tuttavia penso anche che l’immaginazione possa fornire un grandissimo aiuto alla costruzione delle teorie, e possa suggerire procedimenti utili 3 per la soluzione dei problemi. Mi sembra che questa opinione sia validamente confortata dalla storia del pensiero umano, la quale infatti ci mostra che gli “Elementi” di Euclide, cioè il primo trattato scientifico, rigoroso e sistematico, che la nostra civiltà possegga, riguarda sostanzialmente la geometria; penso che questa osservazione possa essere espressa in altro modo, dicendo che le esperienze sugli oggetti, e sulla nostra situazione nei riguardi dell'ambiente spaziale in cui ci troviamo immersi, hanno gettato il seme di esperienze concrete dal quale si è sviluppato il grande albero della matematica. Pertanto ritengo che abbia ragione Hans Freudenthal (4) quando afferma che la moda didattica moderna, che riduce di molto il posto della geometria nella didattica della matematica, e tende addirittura ad escludere questo ramo della matematica tradizionale dall'insegnamento, costituisce un grave errore storico. È noto che questo disprezzo per la geometria, ed il rinnegamento del valore formativo di questa dottrina, assume come pretesto la ricerca di un rigore ed il conseguimento di un livello di astrazione sempre più alti; ma non si può ignorare il fatto innegabile che il processo di astrazione nasce dall'esperienza, rielaborata con un processo che è una prima manifestazione della creatività della nostra mente. 4 - La creazione di concetti. Un secondo livello a cui si manifesta la creatività in matematica si può identificare nel momento in cui la nostra mente costruisce dei concetti, che le danno il dominio dei contenuti e della realtà che si vuole conoscere. Abbiamo infatti già osservato che l'immagine non è sufficiente per la deduzione rigorosa; questa osservazione può essere considerata banale, ed è già stata fatta esplicitamente da Platone (5). Ma vale la pena di ripeterla e di ribadirla, perché essa viene troppo spesso dimenticata da coloro i quali si esaltano pensando che “...viviamo nella civiltà della immagine”. Pur mantenendo ciò che ho detto sopra a proposito dell'intervento dell'immaginazione nella conoscenza scientifica, non posso evitare di pensare che una civiltà che deprima il pensiero a favore della immagine rischia di diventare una “non-civiltà”, perdendo la propria statura intellettuale. In questa costruzione dei concetti si manifesta la creatività dei grandi matematici; essi hanno saputo creare ed inventare degli strumenti che permettono il dominio di vasti campi di conoscenza, e si costituiscono come punti di partenza per fecondissime estensioni. La storia della matematica è piena di episodi di creatività superiore. E penso che soltanto la difficoltà che la dottrina offre a molti impedisca di dare alla matematica la giusta valutazione che essa si merita in questo ordine di idee. È stato infatti detto giustamente che la matematica è forse l'unica dottrina che non ammette volgarizzazioni (6). Nel seguito mi limiterò a citare qualche esempio storico particolarmente significativo della creatività dei grandi matematici; penso infatti che il procedere per esempi paradigmatici possa avere una certa efficacia, anche se si corre il pericolo di essere accusati di parzialità e di incompletezza; ma, come è ovvio, la scelta di questi esempi è strettamente personale e quindi rispecchia opinioni, gusti e giudizi che possono anche essere giustamente contestati. Un primo esempio che vorrei citare è il concetto di "logaritmo". Sappiamo che esso fu creato da J. Napier, che dedicò un trentennio della propria vita al calcolo delle prime tavole di logaritmi che la nostra storia ricordi. Oggi noi possediamo potenti strumenti di calcolo e di elaborazione dell'informazione, che ci permettono di evitare l'impiego dei logaritmi in moltissimi calcoli; ma fino a qualche decennio fa i logaritmi hanno costituito uno degli strumenti principali per i calcoli numerici, cioè per l'applicazione concreta degli sviluppi teorici della matematica; la loro utilità era data, fra l'altro, dalla possibilità di “abbassare”, per cosi dire, le difficoltà dei calcoli, utilizzando delle somme per il calcolo dei prodotti, e dei prodotti e delle divisioni per il calcolo di potenze e di radici. Veniva cosi messo in evidenza un isomorfismo fondamentale tra le operazioni che si eseguivano sui numeri reali positivi. Questi risultati venivano ottenuti utilizzando le informazioni contenute nelle tavole, informazioni che trasmettevano a tutti gli esseri umani i risultati delle fatiche di pochi. Un secondo ed importantissimo esempio di creatività di concetti mi pare possa essere riscontrato nell'opera di Isaac Newton, con la creazione dei due concetti che egli chiamò “fluenti” e “flussioni”; è noto che noi oggi indichiamo questi due concetti rispettivamente con i nomi di “funzioni” e di “derivate”. Ritengo inutile spendere parole per mettere in evidenza l'importanza di questi concetti, che 4 stanno alla base dell'analisi matematica, modernamente intesa, e che hanno permesso la costruzione delle teorie fisico-matematiche della nostra scienza attuale. Penso tuttavia che sia utile soffermarsi a riflettere sul contributo che l'immaginazione ha dato alla costruzione di questi concetti; io penso infatti che l'immagine del continuo [nelle sue due realizzazioni di continuo geometrico e temporale] abbia costituito il punto di partenza, che oso dire insostituibile, per la costruzione del concetto di funzione continua, e per l'elaborazione che ne è stata fatta in seguito. Mi pare che questa mia opinione sia confortata dalle procedure didattiche, ancora oggi seguite per introdurre il concetto di funzione derivata di un'altra: è noto che una di tali procedure fa ricorso alla interpretazione della derivata intesa come "velocità istantanea" di un moto; è questa l'immagine adottata da Newton nel celebre trattato intitolato “Philosophiae naturalis principia matematica” [Principi matematici della filosofia naturale]; una seconda di tali procedure didattiche fa ricorso all'immagine geometrica di "retta tangente" ad una curva in un suo punto; anche questa immagine è stata adottata da Newton nella sua opera “Tractatus de quadratura curvarum” [Trattato sulla quadratura delle curve], ed è stata pure utilizzata da G.W. Leibniz nei suoi lavori sulla ricerca del massimi e dei minimi delle funzioni. Un terzo concetto che vorrei ricordare (tra i tanti che si potrebbero richiamare) è quello di “invariante per un gruppo di trasformazioni”, che è stato elaborato da Felix Klein, e che è stato da lui presentato nella celebre dissertazione che viene abitualmente richiamata con il titolo “Programma di Erlangen” (7). Con questo concetto il matematico tedesco ha inquadrato le ricerche geometriche del suo tempo, istituendo un criterio di classificazione per mezzo della struttura algebrica di gruppo; questa sua idea permette tra l'altro di precisare in modo formale preciso il processo logico di astrazione, che conduce a costruire degli insiemi i cui elementi sono identificati dal possesso di una qualità comune. Nel caso della geometria e della trattazione kleiniana, gli elementi dell'insieme sono le figure, e la qualità comune si identifica con la esistenza di certe trasformazioni che portano una nell'altra le figure appartenenti ad un medesimo insieme. 5 - La creazione di teorie e di strutture. La creazione dei concetti può essere considerata come il primo passo sulla strada che conduce alla creazione di strutture nuove; è noto che il termine “struttura” viene usato in vari contesti, e con significati non sempre coerenti tra loro; qui utilizzerò il termine per indicare un insieme di collegamenti logicamente coerenti tra concetti. Anche in questo caso, come ho già detto, prenderò in considerazione qualche esempio di creatività che mi sembra particolarmente interessante. Il primo di questi esempi che vorrei ricordare è la creazione della geometria proiettiva. L'origine di questa dottrina viene fatta risalire agli studi sulla prospettiva, svolti dagli artisti italiani del Rinascimento (specialmente Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti) ed alle ricerche portate avanti nel secolo XVII da Girard Desargues. Nel secolo XIX gli studi di questi precursori furono ampliati e costituiti in dottrina autonoma specialmente da Vittorio Poncelet e da Karl K. v. Staudt. È interessante ricordare che questi due matematici giunsero alla creazione della geometria proiettiva in modo indipendente tra loro; e che il cammino seguito da ciascuno di loro è indizio della sua originalissima personalità. Henri Poincaré, nel suo discorso già citato, ha esaltato la creatività di Poncelet, dicendo che egli era “geometra” in modo nettissimo, e quasi ostentava questa sua qualità. Effettivamente Poncelet diede prova di creatività costruendo quello che noi oggi chiamiamo lo “spazio proiettivo” che egli ideò con l'introduzione degli elementi “all'infinito” o anche “elementi impropri”. Inoltre si può affermare che egli fu in certo modo un precursore di F. Klein, perché impiegò metodicamente il concetto di “invariante”, utilizzandolo come uno strumento fondamentale per il suo metodo di dimostrazione delle proprietà proiettive delle figure; dimostrazione che egli raggiunge interpretando e “leggendo”, per così dire, le proprietà proiettive con gli strumenti delle dimostrazioni tradizionali. A sua volta K. K. v. Staudt impostò la costruzione della geometria proiettiva in modo del tutto originale, battendo strade del tutto diverse da quelle aperte da Poncelet, e precisamente evitando di ricorrere agli strumenti tradizionali, e ricorrendo soltanto a considerazioni che fanno intervenire le relazioni di reciproca appartenenza di figure e di elementi geometrici. Staudt curò con grande cura la esposizione delle proprie concezioni, che illustrò in una classica opera intitolata “Geometria di posizione” (in tedesco “Geometrie der Lage”), che egli limò per anni, curandone la precisione e la 5 concisione, e che resta ancora oggi una specie di capolavoro paradigmatico di esposizione matematica. Un secondo esempio importantissimo di creatività di teorie nel campo matematico è costituito dalla costruzione della teoria delle funzioni di variabile complessa; costruzione dovuta alla genialità di Agostino Cauchy. Non è possibile esporre qui l'importanza che questa teoria ha assunto per moltissimi rami della matematica, pura ed applicata. È noto che i numeri complessi si erano presentati alla ribalta della matematica come personaggi quasi misteriosi, già nel secolo XVI, e nei secoli seguenti, per opera degli algebristi italiani, soprattutto Gerolamo Cardano e Rafael Bombelli. Ma la sistemazione rigorosa e soddisfacente della teoria dei numeri complessi si ebbe soltanto nel secolo XIX, soprattutto ad opera di K. F. Gauss e di A.Cauchy. Si deve fondamentalmente a quest'ultimo l'idea di considerare le funzione complesse di una variabile complessa, e soprattutto quella di aver costruito una teoria di tali funzioni: il titolo del suo lavoro su questi argomenti suona: “Su un nuovo genere di calcolo analogo al calcolo infinitesimale” [in francese: “Sur un nouveau genre de calcul analogue au calcul infinitésimal”]. È noto che tra le funzioni complesse di variabile complessa vi sono in particolare le funzioni algebriche, cioè quelle definite implicitamente da equazioni algebriche. Si può dire che da questa teoria nacque la geometria algebrica, che permise di chiarire in modo definitivo molti problemi che la geometria classica aveva posto senza poterli risolvere completamente. 6 - La creazione di simboli e di strumenti espressivi. Ho già accennato più di una volta al compito che la immaginazione svolge nella creazione di concetti matematici e nella costruzione di teorie. Per esempio si potrebbe dire che la stessa teoria delle funzioni di variabile complessa, di cui ho appena detto, ha assunto, ai suoi inizi, una veste tipicamente geometrica. Pertanto si potrebbe dire che la costruzione di modelli geometrici o anche soltanto di immagini suggestive ha una parte importantissima nella soluzione dei problemi e nella costruzione delle teorie. Ed a proposito di immagini suggestive, ricordo qui ciò che scrive J. Hadamard, un matematico che ha meditato anche sulle procedure mentali della creazione del pensiero matematico. Nella sua opera, intitolata: "La psicologia dell'invenzione nel campo della matematica", (***) Hadamard scrive: « Insisto che le parole sono totalmente assenti dalla mia mente quando penso realmente [...]. Credo di dover dire che la penso così non solo delle parole, ma anche dei segni algebrici.[...] Uso rappresentazioni concrete, ma di una natura completamente diversa. Un esempio di questo genere è già noto nella storia della scienza. Fu dato da Euler per spiegare ad una principessa svedese le proprietà del sillogismo. Egli rappresentava le idee generali mediante cerchi.[...] Personalmente, dovendo pensare ad un sillogismo, non penserei in termini di parole (le parole difficilmente ti permetterebbero di vedere se il sillogismo è giusto o sbagliato), ma con una rappresentazione analoga a quella di Euler, solo che userei non cerchi, ma figure di forma indefinita perché non ho necessità di una forma definita per pensare a figure interne o esterne l'una all'altra ». Penso che queste parole di un illustre matematico moderno descrivano abbastanza bene una procedura di costruzione di simboli interiori; tuttavia occorre ricordare che ogni mente, e soprattutto se si tratta di mente di alto livello, ha certe sue procedure, che sono spesso difficilmente comunicabili. Ma la costruzione di simboli e di modelli può avere vari gradi, e può presentare vari livelli di elaborazione e di complicazione. Mi pare di poter considerare come un esempio molto interessante di creazione di modelli e di simboli quello fornito dal modello proiettivo del piano della geometria non euclidea. È noto che tale modello è stato costruito da A. Cayley e da F. Klein; in questo modello le idee, i metodi ed i risultati della geometria proiettiva servono per dare dei ''contenuti'' (per così dire) ai postulati della geometria non euclidea; si ottiene così di poter garantire che la geometria non-euclidea non è un mostro logico, ma ha lo stesso "status'' logico ed epistemologico della geometria classica. È interessante osservare che la creazione di simboli non ottiene solo il risultato di dare un'immagine degli enti che si studiano, ma apre anche la strada per la deduzione; questa viene spesso soltanto suggerita dalla natura e dalle proprietà del modello, oppure viene resa possibile dalla sintassi dei simboli che si sono creati. Molti sono gli esempi di questi fenomeni psicologici che si potrebbero prendere in considerazione; un primo caso potrebbe essere costituito dal simbolismo che F. Enriques 6 ed O. Chisini costruirono per rappresentare le singolarità delle curve algebriche piane. In questo simbolismo venivano costruiti degli enti ai quali gli Autori diedero il nome di "punti satelliti'' di un dato punto, e le relazioni tra i punti nominati venivano rappresentate con dei grafici convenzionali, atti a dare qualitativamente il comportamento delle singolarità considerate. Un altro esempio interessante mi pare sia costituito dall'insieme di simboli che i creatori del calcolo tensoriale (detto anche “Calcolo differenziale assoluto”) costruirono per rappresentare il comportamento di certi enti della geometria differenziale. È noto che queste convenzioni e questi simboli diedero luogo ad un insieme di regole sintattiche, che permettono la facile deduzione di conseguenze; la fecondità e la comodità di questi metodi sono facilmente constatabili quando si confrontino gli sviluppi formali che essi permettono, e si immagini di conseguirli con le abituali regole dei calcolo. Non desta quindi meraviglia il fatto che questi strumenti furono scelti per rappresentare l'aspetto formale delle teoria einsteiniana della Relatività generale. 7 - La creazione di metodi e di procedure. Oltre che con la creazione di concetti, di strutture e di simboli l’originalità dei matematici si è manifestata con la creazione di metodi di indagine e di deduzione. In questo ordine di idee un posto di spicco è tenuto da R. Cartesio; è noto che la geometria analitica ha fondamentalmente l'aspetto di un metodo, che realizza la procedura di analisi (già considerata dai logici classici) mediante gli strumenti dell'algebra. Questo aspetto della dottrina inventata da Cartesio è messo in evidenza dallo stesso suo Autore, il quale, nella chiusa della sua opera, dichiara esplicitamente che con essa egli ha voluto costruire un metodo piuttosto che dare un insieme di risultati: questi potranno essere conseguiti da chi vuole, con l’utilizzazione del metodo che egli espone (8). È inutile sottolineare qui l'importanza di questo episodio della storia della matematica: si potrebbe dire che l'invenzione della geometria analitica ha costituito un punto di svolta rivoluzionaria nella storia della dottrina geometrica, che si era prima servita soltanto dei metodi deduttivi della logica verbale, classicamente intesa. Accanto a Cartesio, vorrei ricordare ancora una volta, come un secondo creatore fecondo di metodi, quel V. Poncelet di cui ho già detto sopra. Ho affermato infatti che, nel presentare la geometria proiettiva, egli adottò un metodo che sostanzialmente consisteva nella utilizzazione del concetto di invariante; il che gli permetteva di utilizzare i metodi classici della geometria, leggendo tuttavia i risultati e le proprietà alla luce della nuova dottrina che andava costruendo. È noto che Poncelet manifestò la sua tendenza a creare dei metodi e delle procedure enunciando un suo “Principio di continuità”, che, secondo i suoi progetti ed i suoi desideri, sarebbe dovuto diventare un metodo generale di indagine, di invenzione e di unificazione delle proprietà delle figure geometriche. È pure noto che i progetti e le speranze di Poncelet furono vanificati dalle giuste critiche che Cauchy formulò sugli enunciati che Poncelet diede del suo “Principio”. Guardando all'episodio dopo più di un secolo, si potrebbe dire che la matematica non possedeva ancora gli strumenti concettuali per permettere a Poncelet di enunciare le proprie idee in forma valida e rigorosa. Infatti tali idee avrebbero trovato una ambientazione per così dire naturale nella teoria delle funzioni di variabile complessa, che appunto Cauchy stava costruendo e creando. Ma rimane il fatto che l'episodio può essere considerato come la prova di una straordinaria capacità creativa, che era una delle doti più importanti di Poncelet. 8 - L'intuizione in matematica. Ho presentato vari episodi di creatività nell'ambito matematico; ripeto ancora una volta che essi sono soltanto una piccola antologia di episodi scelti tra una moltitudine di altri che si potrebbero considerare. Vorrei dire addirittura che la storia della matematica è una storia di creatività: infatti ogni progresso scientifico, ogni passo nella visione più profonda della cose conosciute o nel possesso di concetti (anche di quelli che si credono conosciuti a fondo), ogni nuovo collegamento tra concetti, ogni nuova teoria costruita sono manifestazioni di una creatività che si esprime nei modi più svariati. 7 A proposito di questi episodi si parla spesso di “intuizione”; questo termine viene spesso utilizzato in vari contesti e con significati non sempre uguali. Penso quindi che valga la pena di riflettere brevemente sulla utilizzazione di certi concetti e di certi vocaboli, per chiarire a noi stessi le nostre idee, e presentarle agli altri con la maggiore chiarezza possibile. Infatti si possono designare con il nome di "intuizione" varie qualità e varie azioni mentali, che possono tuttavia essere distinte tra loro, anche se la distinzione non significa sempre separazione di fatto degli enti designati. Nell'impiego tradizionale, si è dato al termine il significato di “riconoscimento e apprendimento immediato degli enunciati evidenti”, ed in particolare di quelli che presentano i primi principi della conoscenza. Per esempio si suol dire che la validità dell'enunciato che presenta il principio detto “del terzo escluso” è oggetto di intuizione. In modo analogo si potrebbe dire che i contenuti delle proposizioni che Euclide presentò sotto il nome di “nozioni comuni” sono oggetto di intuizione, in forza di una loro qualità che viene qualificata col termine "evidenza". Si può osservare ancora una volta che i due termini, “evidenza” ed “intuizione” possono avere vari A. Mazzotta. Élan vital (2) significati, ed in particolare che essi difficilmente potrebbero conseguire quella precisione che è tipica dei termini della matematica; tuttavia mi pare che questa circostanza sia molto frequente quando si tratti di concetti che hanno anche una grande valenza psicologica. Per tornare all'argomento della geometria, ricordo la vicenda plurisecolare del postulato euclideo delle parallele, e le discussioni collegate alla qualità di maggiore o minore evidenza che veniva attribuita all'enunciato stesso oppure a quelli che si volevano sostituire ad esso. In questo ordine di idee si suole chiamare intuizione anche la capacità o l'abitudine di costruire delle immagini di oggetti geometrici, e di conoscere le loro proprietà. E, sempre sulla stessa linea, si suole attribuire alla intuizione dei ricercatore la capacità di prevedere le conseguenze di ragionamenti e di deduzioni. La storia della matematica è pure ricca di episodi di questo tipo, ed enumera vari casi di proposizioni vere, che sono state enunciate da grandi matematici, e la cui dimostrazione ha richiesto notevole lavoro e spesso anche molto tempo. Occorre tuttavia osservare che la storia della matematica ci presenta un’evoluzione nella quale cresce continuamente la richiesta del rigore delle dimostrazioni e della precisazione dei punti di partenza, e dei fondamenti dei ragionamenti e delle costruzioni logiche; quindi è avvenuto spesso che delle dimostrazioni che in una certa epoca sono state accettate come complete e soddisfacenti siano state criticate e migliorate in epoche successive, nelle quali la matematica aveva conseguito maggiore consapevolezza e maggiori esigenze di rigore. Dello stesso genere delle cosiddette "intuizioni", anche se di qualità lievemente diversa, sono quelle proposizioni che vengono chiamate “congetture”; proposizioni che spesso sono enunciate come ipotesi di lavoro per le successive deduzioni. Proposizioni di questo tipo sono state enunciate spesso nella teoria dei numeri; un argomento che riguarda degli oggetti, come i numeri naturali, che ci si presentano a prima vista come del tutto semplici, chiari e evidenti; e che invece costituisce un campo molto difficile, nel quale si sono cimentati matematici di altissimo rango. Sarebbe interessante scorrere la storia della matematica per rendersi conto di quanta acutezza di mente e di quanta intelligenza, sotto varie forme, si sono manifestate nella indagine, e nella creazione di concetti e di teorie. Molti sono convinti del fatto che l'attività matematica ad un certo livello richiede una certa profondità di intelligenza; in numero minore sono forse coloro i quali pensano che questa intelligenza si manifesta con l'agilità mentale e con una creatività che ha ben poco da invidiare a quella che viene abitualmente rilevata (ed apprezzata) nell’attività artistica. 8 9 - L'apprendimento come reinvenzione guidata. Ho cercato di tratteggiare l'importanza della creatività in ogni tipo di scienza, e vorrei dire specialmente per la matematica. Ho detto che molti pensano a questa scienza come ad un insieme di regole cristallizzate e di procedure congelate, mentre la sua storia mostra un continuo fiorire di creatività, spesso superiore a quella poetica, anche se molto più difficile da comprendere. Penso che le considerazioni svolte fin qui possano avere significato anche nella didattica delle scienze, ma in particolare nella didattica della matematica. A questo proposito vorrei fare una precisazione, per evitare equivoci e fraintendimenti: vorrei infatti operare una precisa distinzione tra l'apprezzamento della creatività, e l'esaltazione della spontaneità, che viene fatta da certe correnti pedagogiche odierne. Infatti la creatività mi sembra qualità essenziale per la costruzione della scienza ed anche per il suo apprendimento; mentre l'esaltazione della spontaneità, che giunge spesso fino ad una metodica dello spontaneismo, viene spesso contrabbandata per creatività, ma è soltanto la brutta copia di questa, ed apre la strada al rifiuto di ogni disciplina ed alla esaltazione della irrazionalità più cieca e senza scopo, che rischia di portare alla regressione mentale. Personalmente, io credo che ciò sia sintomo del riemergere di una problematica più che secolare che soltanto una certa ignoranza orna di una novità culturale assolutamente ingiustificata. A mio modo di vedere, Hans Freudenthal, che ho già citato, ha chiarito molto bene la situazione asserendo che l'insegnamento della matematica deve mirare ad ottenere, da parte del discente, un reinvenzione guidata. E con questa espressione l'Autore non vuole affatto presentare una esaltazione della spontaneità e dell'agitazione incontrollata: infatti reinvenzione significa appropriazione, attiva ed autonoma; ma autonomia significa sforzo di costruzione di qualche cosa con piena coscienza e soprattutto con adesione alla coerenza ed al rigore ispirati dalla realtà fisica e dalla teoria. La situazione oggi è particolarmente aggravata dall'eccesso dell'impiego della immagine come sostitutiva della deduzione logica e del ragionamento. I nostri giovani sono oggi alluvionati da stimoli sensori, da figure, da sollecitazioni spesso subliminali, che sono all'estremità opposta della ragione. Vediamo giovani che ascoltano continuamente musica (o cosiddetta tale), che li estrania dalla realtà esteriore e soprattutto che ottunde e disturba le operazioni mentali di astrazione e di deduzione. Pertanto ritengo che particolarmente oggi sia importante un insegnamento della matematica che ne metta in evidenza gli aspetti formativi. In particolare la reinvenzione guidata implica da parte dell'insegnante una conoscenza vasta ed approfondita della materia che insegna, nelle sue origini psicologiche, nei suoi fondamenti logici, nelle sue connessioni interdisciplinari; e già questo richiede, da parte del docente, una meditazione ininterrotta ed uno studio assiduo. Inoltre l'insegnamento che vuole essere guida alla reinvenzione richiede che il docente si renda conto dell'insieme di idee e di strutture logiche possedute dai discenti; ciò soprattutto perché l'insegnamento non deve essere una pura presentazione di gabbie concettuali prefabbricate, anche se molto valide ed ad un altissimo livello di astrazione, ma deve essere la costruzione di un edificio interiore coerente e stabile. Cercando di presentare la stessa cosa con altre parole, vorrei distinguere l'insegnamento che si limita a “mostrare come si fa”, da quello che mira a formare un pensiero autonomo: il primo tipo di insegnamento mira a mettere il discente in condizioni di "fare''; il secondo mira a far conseguire il "conoscere", cioè l'attività cosciente del pensiero, che dirige e domina il fare. Ancora una volta citerò Freudenthal, il quale afferma che: «Il valore che si attribuisce ai discenti come esseri umani determina il modo in cui ci si aspetta che imparino la loro matematica: con libertà oppure da schiavi, guidati oppure imbrigliati». Purtroppo assistiamo ad un'azione di rincretinimento pauroso da parte dei mezzi di comunicazione sociale: basta assistere per poco tempo a certe trasmissioni pomeridiane dedicate ai giovani; trasmissioni nelle quali impera quello che la contestazione sessantottesca chiamava “nozionismo”; e della specie più cretina. E si osserva che proprio coloro i quali decenni fa tumultuavano nelle strade e nelle scuole contro il preteso “nozionismo” scolastico ora non hanno parole per protestare contro queste azioni deleterie per la mente dei nostri giovani. Ci è capitato di ascoltare distinti cultori di pedagogia i quali sostenevano che i nostri giovani sono più intelligenti dei loro padri perché li vincono a quei giochi chiamati barbaramente “video-games”; strano criterio invero per giudicare dell'intelligenza, da parte di persone che forse hanno poi voce in capitolo presso "il principe" per la stesura dei programmi e delle direttive per giudicare dell'apprendimento e della maturità mentale. 9 10 - Formazione mentale ed addestramento. Ho parlato poco fa dell'apprendimento come reinvenzione guidata: cioè come un crescere attivo del discente, sotto la guida del docente, il quale deve avvalersi della sua conoscenza approfondita della dottrina per aiutare il discente ad evitare vicoli chiusi e giri viziosi; e così aiutandolo a costruirsi dentro di sé una struttura coerente e motivata, senza imporgli una gabbia concettuale prefabbricata. È appena necessario osservare che questa concezione è profondamente diversa da quella imposta fra noi da una moda didattica imperversante. Si tratta, a mio parere, di una didattica che si fonda su un presupposto psicologicamente e didatticamente a dir poco molto labile: precisamente il presupposto che i concetti più generali ed astratti siano quelli che debbono essere insegnati per primi, forse perché sono ritenuti i più facili da apprendere. Questa concezione didattica è stata responsabile per esempio della introduzione della cosiddetta “insiemistica” nei programmi delle scuole, soprattutto di quelle elementari; viene così trascurata, con grave e criminale leggerezza, l'importanza rivestita dall'interesse nell'apprendimento; ed ai giovani viene propinata una gabbia precostituita e prefabbricata di concetti astrattissimi; gabbia che viene poi riempita con vari contenuti. Personalmente sono lieto di aver additato i pericoli di questi formalismi e di queste inutili astrazioni più di venti anni fa, con un intervento che non fu tanto apprezzato da chi aveva allora potere di influenzare la stesura dei programmi. In questo ordine di idee, mi pare di poter ribadire le mie perplessità sull'insegnamento della cosiddetta “insiemistica” fino dalle scuole dell'ordine elementare; perplessità - ripeto - da me esposte nel lontano 1973, e che oggi sono espresse anche da molti tra coloro i quali all'epoca non le condividevano (9). Questa concezione della didattica, che dovrebbe partire dalle cose più astratte e quindi più distanti dal vissuto concreto del discente, ha portato anche delle conseguenze nelle teorie pedagogiche, le quali presuppongono una specie di sviluppo lineare della formazione mentale; siamo così giunti alla situazione odierna, nella quale i programmi di insegnamento delle nostre scuole prescrivono degli obbiettivi da raggiungere, presentandoli quasi come pietre miliari di un cammino lineare che la mente del discente dovrebbe percorrere. La pretesa di scandire il processo di formazione mentale in modo lineare, di mettere dei paletti, di stabilire delle precedenze psicologiche, è una forzatura che non permette il processo di assimilazione e di appropriazione delle idee. Inoltre l’enunciazione degli obiettivi costituisce per molti insegnanti una forte tentazione a puntare sull'addestramento piuttosto che su un'opera di formazione. 11. - Il problema della valutazione Ciò che ho detto finora a proposito della didattica della matematica si riattacca in modo molto stretto all’immagine di questa scienza, immagine che è purtroppo molto diffusa anche tra coloro che credono di averne una conoscenza di buon livello, e che la utilizzano frequentemente. Non insisterei su questo argomento se non lo ritenessi importante per un momento fondamentale dello sviluppo della mente dei giovani e della loro carriera scolastica. Intendo parlare della valutazione delle conoscenze e dell'apprendimento. Mi pare chiaro che l'immagine che si ha della matematica influisca sul giudizio che si dà sulle conoscenze dei questa scienza e del suo apprendimento: più precisamente se si pensa che la matematica sia un insieme di strumenti che si giustificano soltanto per i risultati delle loro applicazioni, allora il giudizio sulle conoscenze matematiche di un soggetto punterà sulla sua capacità di utilizzare tali strumenti e non sulla loro appropriazione. Rifacendomi alla frase di Freudenthal che ho citato, si tenderà a valutare se gli schiavi hanno bene appreso il mestiere che debbono praticare. Confesso di essere notevolmente preoccupato, perché mi pare di poter dire che molti che hanno responsabilità e poteri dimostrano di avere in questo ambito delle idee abbastanza limitate. La cosa si può rilevare, per esempio, spesso in modo clamoroso, esaminando certi questionari (barbaramente chiamati "tests") il cui impiego si estende in modo preoccupante, e che pretendono di mettere in evidenza (alcuni pensano addirittura di "misurare"), le capacità matematiche dei soggetti, spesso ai fini di certi tipi di selezione. Molte domande, quando non sono clamorosamente sbagliate, diffondono una idea della matematica come di insieme di tecniche misteriose da memorizzare anche senza capire. In questo modo si finisce con diffondere la convinzione che la manovra del simbolismo 10

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immersi, hanno gettato il seme di esperienze concrete dal quale si è sviluppato il grande albero della matematica. Pertanto ritengo che abbia ragione
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