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Contro la questione meridionale. Studio sulle origini dello sviluppo capitalistico in Italia PDF

117 Pages·1972·0.875 MB·Italian
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Copyright 1975 Savelli spa - 00193 Roma -Via Cicerone 44 I edizione 1972 - II edizione 1973 Copertina «Davi» Illustrazione: Bruno Caruso, La fine del feudo, 1969 Finito di stampare nel mese di ottobre 1975 nella tipografia della Savelli spa Edmondo M. Capecelatro Antonio Carlo Contro la «questione meridionale» Studio sulle origini dello sviluppo capitalistico in Italia SAVELLI INDICE 4. Nota dell'editore alla seconda edizione 5. Prefazione CAPITOLO I Le origini della rivoluzione borghese al Sud 7. 1. L Introduzione. Da Engels a Rosario Romeo 10. 2. La Sicilia della seconda metà del Settecento. La testimonianza di Paolo Balsamo 11. 3. La struttura capitalistica dell'agricoltura siciliana nellaseconda metà del Settecento 15. 4. Effetti delle trasformazioni strutturali in agricoltura 18. 5. Il commercio estero e le prospettive di sviluppo industrialein Sicilia 20. 6. La tesi del carattere feudale della Sicilia nell'epoca considerata. Critica 23. 7. Le tendenze nel resto del Meridione continentale. Una società in crisi 25. 8. L'occupazione napoleonica nel Meridione e inglese in Sicilia. Loro effetti 27. 9. Il Meridione dopo il 1815. La rivoluzione del 1820-21 edil codice civile napoletano CAPITOLO II Lo sviluppo capitalistico del Meridione sotto i Borboni 29. 1. Lo sviluppo capitalistico dell'agricoltura meridionale 32. 2. Lo sviluppo industriale del Meridione 33. 3. I traffici, il risparmio, la circolazione monetaria 35. 4. La politica borbonica dalla restaurazione all'unificazione Una moderna ed interessante ipotesi di sviluppo economico 37. 5. Il crollo del reame borbonico. Sue cause 39. 6. Le due Italie al momento dell'unità; una comparazione: l'agricoltura 45. 7. Segue: l'industria 51. 8. Segue: gli altri settori 53. 9. Bilancio consuntivo: sostanziale parità tra le due Italia CAPITOLO III L'attacco dello Stato unitario all'economia del Sud: le origini della questione meridionale 55. 1. L'unità: la borghesia meridionale e lo Stato unitario 58. 2. Le tasse e la politica fiscale dello Stato unitario 61. 3. L'attacco della Banca Nazionale al Banco di Napoli ed i primi tentativi di soffocare o subordinare il sistema bancario del Sud 64. 4. La legge sul corso forzoso del 1866. Suoi effetti disastrosi sul credito e l'industria del Sud 67. 5. La definitiva acquisizione del Banco di Napoli al sistema settentrionale 69. 6. L'attacco dello Stato all'industria meridionale 72. 7. Il protezionismo e l'agricoltura meridionale. Il crollo dell'agricoltura meridionale 75. 8. La questione meridionale: un consuntivo. L'integrazione capitalistica nella dialettica sviluppo-sottosviluppo CAPITOLO IV Il Meridione dopo gli anni '50 di questo secolo. Sue prospettive 77. 1. L'italia post-fascista e gli oligopoli. Nuova fase della questione meridionale 80. 2. Imperialismo, sottosviluppo e perequazione del tasso di profitto 87. 3. Il declino definitivo dell'agricoltura meridionale e della piccola borghesia industriale 89. 4. Il preteso New-Deal del capitale privato 92. 5. La politica del PCI e le tesi neo-riformistiche di Libertini. Critica 96. 6. Il Sud e la prospettiva operaia APPENDICE A 98. La concezione gramsciana della questione meridionale APPENDICE B 104. Le recenti misure dello Stato a vantaggio del Sud APPENDICE C 108. Alcune caratteristiche del sottosviluppo dell'agricoltura italiana BIBLIOGRAFIA 111. Periodici e quotidiani 112. Opere a stampa citate Nota dell'editore alla seconda edizione Questa nuova edizione di Contro la "questione meridionale", resasi necessaria per la rapidità con cui si è esaurita la precedente, non è una mera ristampa del saggio di Capecelatro e Carlo, poiché gli autori hanno in vari punti rivisto e precisato, anche sotto il profilo bibliografico, il loro lavoro. È stata poi aggiunta una nuova appendice, opera di Edmondo M. Capecelatro, relativa ai mutamenti della composizione sociale delle campagne dall'unità ad oggi: con essa si tenta, limitatamente all'agricoltura, una più approfondita analisi dei meccanismi del sottosviluppo, onde coglierne, ferma restando la concezione unitaria del rapporto sviluppo- sottosviluppo, tutta la specificità. (I giudizi politici sulla sinistra non parlamentare contenuti in quest'ultimo appendice non sono condivisi da Antonio Carlo). Pur con queste precisazioni, è da dire però che il saggio di Capecelatro e Carlo appare sostanzialmente immutato rispetto alla prima edizione e ciò per una precisa scelta degli autori, condivisa dall'editore. Nonostante il notevole dibattito che intorno a tale lavoro si è sviluppato, non è parso infatti che sia affiorata la necessità di riconsiderarne la tesi storica di fondo; e se anche qualcosa andava rivista o precisata, si è ritenuto preferibile conservare al libro tutta la sua carica di polemica e di rottura con le tradizionali tesi della storiografia meridionalistica. Prefazione Le origini di questo saggio vanno ricercate nel senso d'insoddisfazione che causa la lettura degli scritti più noti sul Mezzogiorno d'Italia, in gran parte d'ispirazione «gramsciana» o liberale. In essi, troppe volte, si dà peso a fattori del tutto sovrastrutturali, di dubbio valore probatorio; troppe volte, la conoscenza della natura dell'economia meridionale soffre di contorsioni e ambiguità di linguaggio, il che è quasi sempre indice di una confusione dovuta alla carenza di analisi economica strutturale, nei cui riguardi molti autori, di chiara formazione idealistica, mancano del necessario strumento teorico per affrontarla. Di qui la necessità di rimontare, diciamo così, alle origini, impiegando una metodologia del tutto diversa, poiché solo in questo modo, molto probabilmente, possono scoprirsi le cause e le tendenze attuali del sottosviluppo meridionale nel nuovo divenire storico. Ecco la ragione per la quale questo saggio muove da lontano, e cioè dalla genesi delle strutture capitalistiche nel Mezzogiorno, che soppiantano il feudalesimo alla metà del Settecento. Un metodo di indagine che vuol distinguere gli autori da coloro i quali, pure intuendo che qualcosa di nuovo avviene nel Mezzogiorno d'Italia, rimangono pur sempre a livello interpretativo sovrastrutturale. Peraltro, l'esame non ha isolato, anche se ha privilegiato, la struttura dal resto della società; ma, ove necessario, si è cercato di integrare dialetticamente l'analisi economica con l'elaborazione delle forze sociali e politiche. Gli autori hanno affrontato, poi, il problema dello sviluppo capitalistico dalla Restaurazione all'unità con un'analisi che pone in luce sia l'influenza dell'egemonia economica inglese (un elemento indispensabile per capire la storia del Sud), sia la sostanziale parità, in qualità e quantità;, tra i gradi di sviluppo economico del Nord e del Sud alla vigilia del 1860. La lunga comparazione Nord-Sud, d'indole globale, è forse il primo . tentativo di questo genere,. che non si limita a tener conto solo delle férrovie o dei capi di -bovini... Si è cercato d'individuare le cause del sottosviluppo di un Sud che al momento dell'unità non è inferiore al Nord: l'azione dello Stato, dominato dalla borghesia settentrionale, è vista come elemento determinante del processo. Il soffocamento dell'industria, la legge sul corso forzoso, il protezionismo sono le tappe principali di tale processo, che si conclude nel 1890, con la subordinazione e la integrazione dell'economia meridionale nello sviluppo del capitalismo del triangolo industriale della penisola. Può sembrare strano che la borghesia del Mezzogiorno non riveli una forza politica corrispondente al raggiunto grado d'importanza economica, ma gli autori hanno cercato di individuare le cause obiettive del fenomeno. E cioè il modo in cui si realizzò l'unità d'Italia, che, per essere stata opera della borghesia settentrionale;. e non di quella meridionale, a ciò impedita per precise ragioni storiche, portò alla nascita di uno Stato nel quale il peso politico e l'influenza del Sud erano nettamente minoritari. Se dopo il 1890 il lavoro presenta un lungo salto, se esso sembra voler scavalcare il cinquantennio che corre dal 1890 al 1945, per riprendere l'analisi solo col secondo dopoguerra, la ragione dello iato sta nel fatto che, in tale periodo, il meccanismo del sottosviluppo capitalistico si è impiantato al Sud e si consolida, per autogenesi, senza grandi scosse fino al 1945 quando la ricostruzione del paese in chiave neocapitalistica (oligopoli) pone il problema in termini in gran parte nuovi. In quest'ultima parte del saggio (in particolare nel paragrafo secondo) si affronta, ad un livello teorico, il problema della ineluttabilità del sottosviluppo in clima oligopolistico. La controprova è data dai risultati conseguiti attraverso l'analisi specifica dei più importanti provvedimenti adottati dallo Stato a favore del Sud, i quali tutti, dalla legge del 1957 che imponeva alle industrie di Stato di investire almeno il 40% nel Mezzogiorno alle nuove provvidenze di quest'anno, hanno mostrato la loro impotenza di fronte al problema che dovevano risolvere. Certamente molti aspetti della politica economica meridionalistica andavano approfonditi (ad esempio l'opera della Cassa per il Mezzogiorno), ma gli autori han voluto intenzionalmente limitarsi alla dimostrazione della tesi fondamentale: l'inelimínabilità del sottosviluppo del Sud, malgrado gli sforzi riformistici governativi senza precedenti, e la necessità quindi di un nuovo tipo di lotta, con un particolare carattere urbano, per il socialismo. L'appendice B, già apparsa nel giugno del '71 su «Giovane Critica», è una integrazione del capitolo conclusivo e vuole dimostrare come il più grosso sforzo riformistico dello Stato sia destinato a fallire. L'appendice A, invece, ha carattere diverso. Gli autori hanno l'impressione che, da parte di alcuni esponenti della cultura gramsciana, si tenda a presentare Granisci come l'antesignano delle tesi moderne sul sottosviluppo di Baran, Gunder Frank, Samir Amin, Jalée e così via. Di qui la necessità di un doveroso chiarimento verso quella che si potrebbe definire una mistificante operazione politico-culturale. Ancora un'avvertenza. Questo studio è il risultato di un lavoro comune dei due autori nel senso che i problemi che l'hanno sollecitato, le ricerche compiute, la metodologia, le discussioni e i dubbi sono maturati insieme. Tuttavia, essi tengono a chiarire che l'elaborazione del primo e del quarto capitolo e delle prime due appendici è dovuta ad Antonio Carlo, mentre il secondo e terzo capitolo e la terza appendice competono a Edmondo M. Capecelatro. Infine, gli autori sentono il dovere di ricordare che questo saggio - sotto molti aspetti « polemico» - vede la luce anche per l'interessamento di alcuni studiosi che sono stati larghi di consigli, di critiche e di incoraggiamenti. Pertanto essi esprimono il loro ringraziamento a Vittorío Foa, Giampiero Mughini, Luciano Della Mea, Sebastiano Timpanaro ed al Prof. Domenico Demarco dell'Università di Napoli, i cui studi hanno avuto un peso determinante nella maturazione di questa opera. Napoli, settembre 1971 E. M. Capecelatro A. Carlo Uno dei due autori deve anche ricordare la compagna Dora Caianiello, con la quale egli ha un debito enorme per ciò che Ella ha per lui rappresentato, politicamente ed umanamente. È perciò che questo libro, che nasce proprio dalla volontà di colmare il vuoto lasciato dalla Sua scomparsa e di portare avanti anche per Lei la battaglia per i comuni ideali, è dedicato alla Sua memoria. E. M. C. CAPITOLO I Le origini della rivoluzione borghese al Sud. 1. Introduzione. Da Engels a Rosario Romeo. Pochi anni prima di morire Federico Engels, in una celebre lettera a Filippo Turati, sostenne la tesi (che noi rigettiamo) secondo cui il Mezzogiorno d'Italia soffriva per la mancanza di uno sviluppo capitalistico1. L'opinione del Sud arretrato per la mancanza di una rivoluzione borghese veniva così enunciata per la prima volta nell'ambito del movimento operaio - ci sembra - ed essa ebbe larga fortuna, se è vero, come certamente è vero, che la interpretazione gramsciana della questione meridionale fa perno proprio su un simile presupposto2. Dopo Gramsci moltissimi suoi allievi hanno ripreso questa tematica, a volte in maniera pedissequa3, altre volte con maggiore cautela 4. Voci discordi non sono mancate, ma esse, in questo caso, venivano più da destra che da sinistra: così Rosario Romeo 5 ha sostenuto che una riforma agraria, oltre a non poter essere attuata dalla borghesia agraria risorgimentale (la classe dominante che espropria se stessa!)6, avrebbe portato come fatale conseguenza ad una dilatazione dei consumi contadini ed al conseguente inceppamento dello sviluppo capitalistico7. Da ciò sono nate svariate ed interminabili polemiche su questo o quel punto e sulla prospettiva globale8, polemiche spesso paradossali, poiché non sono mancati dei marxisti che hanno difeso, idealizzandola, la piccola impresa contadina9, in contrapposizione ad un liberale (Romeo) che maneggiava gli strumenti crítici dell'arsenale marxista, ancorché spesso con qualche approssimazione10. A nostro avviso 'la posizione più equilibrata in materia è stata quella di Dal Pane11, studioso serio ed assai influenzato dal marxismo, che ha riconosciuto come la piccola proprietà contadina, col suo carattere frammentario, si distacchi nettamente dal , capitalismo, in cui il processo produttivo ha carattere sociale e la proprietà tende á centralizzarsi; lo stesso Marx si è espresso su questo punto con estrema chiarezza e rigore nel finale del primo libro del Capitale12. 1 Marx ed Engels, Corrispondenze con italiani, Milano, 1964, p. 518 sgg. 2 ) Gramsci A., La questione meridionale, Roma, 1966; Id., Il Risorgimento, Torino, 1966, p. 47 sgg., 78 sgg.; v. anche infra Appendice A. 3 Salvadori M. L., Il mito del buongoverno, Torino, 1963, p. 259 sgg. e 495 sgg.; Villari R., Mezzogiorno e contadini nell'età moderna, Bari, 1961; Id., Conservatori e democratici nell'Italia liberale, Bari, 1963; Sereni E., Capitalismo e mercato nazionale in Italia, Roma, 1966; Id., Il capitalismo nelle campagne, Torino, 1968; Macchioro A., Studi di storia del pensiero economico, Milano, 1970, p. 699 sgg. 4 Candeloro G., La nascita dello stato unitario in Problemi dell'Unità d'Italia, Atti del II convegno di studi gramsciani, Roma, 1960, p. 19 sgg.; Id., Storia dell'Italia moderna, Milano, 1961, vol. I, e II in part.; Lepre A., Storia del mezzogiorno nel Risorgimento, Roma, 1969. Questa impostazione delle due Italie, una progredita (borghese) e l'altra feudale, è seguita largamente anche da scrittori liberali (v, ad es. Galasso G., Mezzogiorno medioevale e moderno, Torino, 1965). 5 Romeo R., Risorgimento e capitalismo, Bari, 1962; Id., Breve storia della grande industria in Italia, Firenze, 1967, p. 50 sgg. 6 ) L'assurdità di una simile ipotesi è stata rilevata dal Romeo, Risorgimento e capitalismo, cit., p., 52 sgg. Di recente su questo punto Salvadori ha tentato, al convegno di studi gramsciani di Cagliari; una difesa di ufficio (AA. VV., Gramsci e la cultura contemporanea, Roma, 1969,-I, p..431 sgg.) che ci sembra sia stata confutata dal Galasso (op. ult. ci t., p. 313 sgg.) nello stesso convegno, benché tra i due non vi sia stata polemica diretta. 7 Romeo, Risorgimento e capitalismo cit., p. 111 sgg. È, però, da notare che le origini del pensiero di Romeo sono semi-gramsciane; in part. v. Romeo R., Il Risorgimento in Sicilia, Bari, 1950, p. 348, dove si legge: «Nelle regioni del Nord e dei Centro, caduta ormai la vecchia proprietà feudale l'auspicata insurrezione contadina avrebbe colpito soprattutto quella borghesia terriera che, in un paese di così scarso sviluppo industriale come l'Italia, era in concreto la sola forza che valesse ad aprire la strada verso un moderno assetto capitalistico». Essa avrebbe avuto «rispetto alla rivoluzione borghese un contenuto sostanzialmente ritardatore e reazionario». «Ma nel Mezzogiorno, dove la rivoluzione anti-feudale non aveva raggiunto quasi nessuno dei suoi obiettivi fondamentali, la rivoluzione contadina poteva essere, un fatto storico di grande contenuto rinnovatore». Le tesi di Gramsci, respinte per il Centro-Nord, erano accettate per il Sud. Anche in altra sede Romeo accenna all'esistenza di «due Italie» e alla rivoluzione mancata al Sud (v. Romeo R., Dal Piemonte sabaudo all'Italia liberale, Torino, 1963, pp. 239 e 242 8 V. ad es. Gerschenkron A., Il problema storico dell'arretratezza economica, Torino, 1965 p. 71 sgg.; Caracciolo A., (antologia di autori vari a cura di), La formazione dell'Italia industriale, Bari, 1969 9 Tosi D., Forme iniziali di sviluppo di lungo periodo: la formazione di un'economia dualistica, in La formazione cit., p. 245 sgg 10 Su ciò v: Dal Pane L., Alcuni studi recenti e la teoria di Marx, in La formazione cit. p. 83 sgg. 11 Dal Pane L., op. loc. ult. cit. 12 V. Dal Pane L., op. cit., p. 87 sgg. Il brano di Marx citato è nel Capitale, I, Roma, 1964, p. 823 sgg.; sul carattere arretrato della Quanto poi al capitalismo, che si sviluppa comprimendo i consumi delle masse, è noto, per chi conosca il Capitale o gli scritti di Lenin sulla Russia fine '80013, come esso si sia sviluppato nella fase iniziale proprio in tal modo, per realizzare la concentrazione di grossi profitti da reinvestire (la società dei consumi è un fenomeno relativamente recente)14. Ciò, del resto, avvenne non solo nel Sud, ma anche nel Nord, dove la situazione nelle campagne, documentata anche dalla inchiesta Jacini15, era caratterizzata dalla estrema povertà dei contadini; pure nessuno per questo dice che l'agricoltura settentrionale aveva, al momento dell'unità, carattere feudale perché comprimeva i consumi dei contadini. Nel Sud, invece, questo fenomeno è indicato come la prova del carattere semifeudale della nostra borghesia a confronto di quella di Cavour e di Rícasoli.16 Le tesi di Romeo, tuttavia, al di là del loro tono provocatorio, sono assai meno nuove di quanto si creda (la tesi del necessario sottosviluppo del Sud fu già del Nitti, il quale lamentava solo che durasse oltre il necessario)17 e sono, altresì, molto più vicine alle soluzioni proposte dai gramsciani di quanto possa comunemente apparire. Questi ultimi, infatti, fanno carico del sottosviluppo del Sud alla società feudale dura a morire; Romeo, invece, ritiene che il sistema capitalistico, così come ha generato il sottosviluppo, vi porrà rimedio18: entrambi cercano in sostanza di difendere, con formule diverse, la società capitalistica19, ed entrambi ritengono che il problema meridionale sia risolvibile all'interno dell'attuale sistema di rapporti di produzione, o in forza di una politica di forme nell'ambito del capitalismo (gramsciani), o per l'azione più o meno provvidenziale del sistema (Romeo). Non solo, ma il Romeo manca completamente nell'analisi di classe del Sud: egli ritiene ad esempio che la Sicilia fine-settecento sia una società feudale20 e respinge, perciò, la tesi moderata di S. F. Romano secondo cui l'isola avrebbe avuto un carattere solo semi-feudale21; egli inoltre accetta la tesi che nel Sud non vi fu alcun serio progresso industriale, né rivoluzione borghese a livello di strutture nell'epoca borbonica22 e tace sulla natura di classe del meridione al momento dell'unità, il che, date le premesse, ci fa pensare che il Romeo accetti la tesi di una società arretrata e semi-feudale, asservita da una società di tipo capitalistico23. piccola proprietà contadina v. Caizzi A., Terra, vigneto e uomini nelle colline novaresi durante l'ultimo secolo, Torino, 1969, p. 32. 13 V. soprattutto Lenin V.,L; Lo sviluppo del capitalismo in Russia, Roma, 1956 (Opere complete, Vol. III). Su ciò v. anche Sweezy P., La teoria dello sviluppo capitalistico, Torino, 1951, p. 239 sgg. 14 Peraltro anche sul consumismo del capitalismo moderno molto si è favoleggiato (esso è un fatto reale, ma non risolve certo i problemi delle masse, anche nel solo campo dei consumi), come giustamente notava Vittorio Foa (La rottura ecc. nel Nord nella storia d'Italia, Antologia di vari autori a cura di Cafagna L., Bari, 1962, p. 678 sgg.). 15 V. Caracciolo A., L'inchiesta Jacini, Torino, 1958. 16 Sulle condizioni disumane di vita degli agricoltori lombardi v. Luzzatto G., L'economia italiana dal 1861 al 1894, Torino, 1968, ,p. 102 sgg.; analoghe le pesanti condizioni di vita degli agricoltori toscani: v. Demarco D., La partecipation des classes populaires au mouvement d'indépendance, in AA. VV., Mouvements nationaux d'indépendance et classes populaires aux XIX et XX siècles en occident et en orient, Paris, 1971, p. 184 sgg., pp: 194-5. La cosa, invece, appare strana al Villari, per il quale un capitalismo che, nel corso della fine del Settecento e dell'Ottocento, riduce le masse al livello di mera sussistenza biologica è incomprensibile; citiamo, tra le tante, l'asserzione che l'aumento della produttività della terra venne minato da un male «che lo avrebbe via via arrestato e soffocato con gravi conseguenze per la storia del Mezzogiorno d'Italia, e questo male era il suo provenire fondamentalmente, anziché da una reale trasformazione dell'economia agraria, da uno sfruttamento sempre più grande del lavoro contadino, dal mantenimento di un livello estremamente basso di consumo delle masse contadine». (V. Villari R., Rapporti economico-sociali nelle campagne meridionali nel secolo XVIII, in Quaderni di cultura e storia sociale, 1954, p. 235). Le incongruenze di questa tesi risulteranno obiettivamente chiare dalla nostra analisi, che dimostrerà, invece, che l'aumento dello sfruttamento della forza-lavoro era indice di profondissime trasformazioni. Quanto, poi, al divario tra i salari agricoli del Nord e del Sud, anche ammettendo un distacco del 12% nel 1870 (v. Sylos Labini P., Problemi di sviluppo economico, Bari, 1970, p. 126), il distacco, modesto in termini relativi, avveniva su una base assoluta di generale indubbia povertà (i dati peraltro sono assai parziali e discutibili. V. Sylos Labini, op. cit., p. 133 nota 12). Inoltre, l'eventuale distacco, peraltro modesto, non proverebbe la maggior arretratezza del Sud, ma solo uno sfruttamento maggiore della forza-lavoro al momento dell'unità, sfruttamento comunque pesantissimo anche al Nord. 17 Nitti F. S., Scritti sulla questione meridionale, I, Bari, 1958, p.128-sgg. 18 Romeo R., Risorgimento e capitalismo cit., p. 47. 19 Entrambi i contendenti, in un modo o nell'altro, cercano di scagionare il capitalismo: per Romeo lo sfruttamento del Sud fu necessario e ,progressivo, per i gramsciani l'arretratezza del Sud non è opera del capitalismo. 20 Romeo R., op. ult. cit., p. 67 sgg.; Id., Il Risorgimento in Sicilia cit., p. 22 e sgg. 21 Romano Salvatore Francesco, Lo sviluppo dell'agricoltura meridionale ed i contratti agrari, in «Cronache meridionali», II, 1955, p. 566 sgg.; Id., Le classi sociali in Italia, Torino, 1965, p. 44 sgg.; Id., Poveri e carestie in Sicilia nel Settecento, Trapani, 1955; Id., Riformatori e popolo nella rivolta del 1773, Trapani, 1957. 22 Romeo R., Breve storia cit., p. 26 sgg.; Id., Il Risorgimento in Sicilia, cit., p. 348. 23 Ciò risulta anche 'dal fatto che, nella sua precedente opera (Il Risorgimento in Sicilia, cit., p. 348), il Romeo ha sostenuto che non vi era stata rivoluzione borghese al Sud prima dell'unità, tesi che egli non ha mai negato, ma che anzi ha ribadito nella polemica contro chi sosteneva il carattere solo semi-feudale della Sicilia. La tesi di una società borghese che ne sfrutta una feudale, è già in Gramsci (Il Risorgimento, cit., p.. 78 sgg.); v. anche Zangheri R. (Dualismo economico e formazione dell'Italia moderna in La formazione cit., p. 285 sgg.). Tornando al Romeo, anche sulla natura della struttura del Sud nei primi " 40 anni post-unitari la sua Noi riteniamo, invece, ché la dialettica sviluppo-sottosviluppo si sia instaurata nell'ambito di uno spazio economico unitario dominato dalle leggi del capitale; riteniamo, inoltre, che al momento dell'unità il divario Nord-Sud non esistesse (o comunque non fosse determinante), sicché non fu l'agire cieco delle leggi del mercato a determinare il sottosviluppo del Sud, ma l'azione politica dello Stato unitario in cui, per ragioni storiche particolari, che analizzeremo, la borghesia del Nord si trovò in una situazione di preminenza. Le nostre tesi, dunque, si ricollegano ad una serie- di studi sullo sviluppo del capitalismo, iniziati da Baran e poi largamente ripresi24, i quali tendono a porre in rilievo come la dialettica sviluppo-sottosviluppo non si instauri tra due realtà estranee o anche genericamente collegate, ma presuma uno spazio economico unitario in cui lo sviluppo è il rovescio del sottosviluppo che gli è funzionale: in altri termini una parte si sviluppa perché l'altra «si sottosviluppa» e viceversa. Non solo, ma cercheremo di mettere in rilievo come l'intervento dello Stato (sia borbonico che unitario) sia stato una componente essenziale dello sviluppo capitalistico, anche quando formalmente dominava in Europa il laissez-faire25. Porremo inoltre in rilievo il peso del mercato mondiale nella storia del Meridione e come la dialettica degli scambi diseguali, che cominciava a delinearsi fin dall'ottocento insieme ad una serie di fenomeni di carattere pre-imperialistico, abbia pesato nella storia del Sud in maniera determinante (prima e dopo l'unità). Si tratta di un aspetto spesso negletto e che ha avuto invece un peso enorme nella storia del Meridione; ed anche qui ci rifaremo ad alcune recenti tendenze in campo marxista che hanno documentato come certi fenomeni pre-imperialistici si verificassero su mercato mondiale prima del 1890 (data di nascita dell'imperialismo secondo Lenin)26; lo stesso Marx, del resto, notava il fenomeno dello scambio diseguale sul mercato mondiale nel 1857-1858, nei Grundrisse27. In altri termini, gli scriventi intendono confrontare la tematica meridionalistica con le più recenti scoperte scientifiche delle correnti più vive ed aperte del marxismo; non ci interessa spulciare gli archivi del comune di Roccamonfina per accertare i movimenti della proprietà agraria nel '600 e nel '700: ciò è stato fatto e con merito, ma è il momento di passare da una visione microstorica, ad un disegno più ampio di ricostruzione. In questo ambito ha un peso notevolissimo il breve, ma denso lavoro del Demarco. Tale lavoro, che è in implicita polemica con Gramsci ed il gramscianesimo (una polemica meno clamorosa, ma più solida di quella di un Romeo), avrebbe dovuto fugare più di un dubbio sulla leggenda del Meridione arretrato rispetto al Nord, avendo dimostrato come la rivoluzione borghese fosse, alla vigilia del 1860, un fatto compiuto (nel Mezzogiorno) a livello di strutture sociali.28 Il Demarco, però, non si occupa dei fermenti, che pure esistevano nel Meridione prima del «periodo francese»29 (1806-15), ed il suo lavoro termina con l'unità d'Italia e, quindi, prima del sorgere della «questione meridionale». A questo punto il piano e gli obiettivi del lavoro dovrebbero essere chiari; non rimane quindi che addentrarsi nella materia. Il nostro punto di partenza è il Meridione della seconda metà del Settecento, una società inquieta ed in crisi, in cui il feudalesimo sembra essere più che mai in sella, mentre in realtà sta per ricevere colpi mortali: partiremo, in omaggio a Marx30, dallo studio di quella parte della società meridionale in cui il processo di dissoluzione del feudalesimo, essendo più avanzato, appare più chiaro: la Sicilia. posizione non è chiara ed esplicita. Sull'arretratezza «gravissima» del Sud nel 1860, invece, il Romeo si è più volte espresso chiaramente (v. Romeo R., Prefazione a Clough S., Storia dell'economia italiana dal 1861 ad oggi, Bologna, 1965, p. VII) 24 V. Baran P., Il surplus economico e la teoria marxiana dello sviluppo, Milano, 1966; Gunder Frank A., Capitalismo. e sottosviluppo in America Latina; Torino, 1969; Jaléé P., Le pillage du tiers monde, Parigi, 1967; Id., Le tiers monde dans l'économie mondiale, Paris, 1968; Id., Imperialisme en 1970, Paris, 1969; anche lo Zangheri (op. ult. cit.) si rifà a Baran, tuttavia egli vede i rapporti sviluppo-sottosviluppo in termini di due società diverse e collegate, mentre Baran ha una visione unitaria del fenomeno (e così la sua. scuola). La nostra analisi, riallacciandosi a questa impostazione, confuterà tutte le tesi «dualistiche», tesi che non sono state avanzate dal solo Gramsci (v. ad es. Vera Lutz, Una revisione critica della dinamica dello sviluppo del Mezzogiorno in «Mondo economico», n. 56, p. 407 sgg.). 25 V. ad es. Marx, Il capitale, I, cit., p. 300 sgg., dove si parla della legge delle 10 ore. 26 Alludiamo al recente lavoro di Palloix C., Problémes de la croissance en économie ouverte, Paris, 1969. 27 V. Marx. K., Fondements de la critique de la éconómíe potitique, II, Paris, 1968, p. 426 (trad. francese dei Grundrisse). Ovviamente l'imperialismo per essere una fase distinta del capitalismo ha i suoi tratti specifici (v. anche infra cap. IV par. 2), ma spesso sono considerati imperialistici fenomeni propri, sia pure in misura diversa, a tutto il capitalismo. 28 V. Demarco D., Il crollo del regno delle due Sicilie, Napoli, 1960, vol. 1, La struttura sociale. 29 Demarco D., Il crollo cit., p. 2 sgg., dove un fuggevole accenno a prima m del 1815. 30 Secondo Marx bisogna scegliere le punte più alte di un processo per capire le linee di tendenza di una società, poiché in esse il movimento appare in forma più pura e chiara.

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