... «come la Tosca in teatro»: una prima donna nel mito e nell’attualità MICHELE GIRARDI La peculiarità della trama di Tosca di Puccini è quella di rappresentare una concatenazione vertiginosa di eventi intorno alla protagonista femminile che è divenuta, in quanto cantante, la prima donna per antonomasia del teatro liri- co. Non solo, ma prima donna al quadrato, perché tale pure nella finzione, oltre che carattere strabordante in ogni sua manifestazione. Giacosa e Illica mutuarono questa situazione direttamente dalla fonte, la pièce omonima di Victorien Sardou, e perciò da Sarah Bernhardt – che aveva ispirato questo ruolo allo scrittore –, anche e soprattutto in occasioni (come vedremo) dove un nodo inestricabile intreccierà la musica all’azione scenica nel capolavoro di Puccini. Stimolati dall’aura metateatrale che pervade il dramma, i due libretti- sti giunsero a inventare un dialogo in due tempi fra i due amanti sfortunati che era solo accennato nell’ipotesto («Joue bien ton rôle... Tombe sur le coup... et fais bien le mort» è la raccomandazione di Floria),1 mentre attendo- no il plotone d’esecuzione fino a quando fa il suo ingresso per ‘giustiziare’ il tenore. E, disattendendo più significativamente la fonte, misero in scena la fu- cilazione, fornendo al compositore un’occasione preziosa per scrivere una marcia al patibolo di grandioso effetto, che incrementa l’atroce delusione che la donna sta per patire. Floria avrebbe dovuto far tesoro della frase di Canio in Pagliacci, «il teatro e la vita non son la stessa cosa», visto che quando arri- va il momento dell’esecuzione cerca di preparare l’amante a cadere bene, «al naturale [...] come la Tosca in teatro» chiosa lui, perché lei, «con scenica scienza» ne saprebbe «la movenza».2 Di questo dialogo a bassa voce non si trova traccia nell’ipotesto: Giacosa e Illica l’inventarono di sana pianta con un colpo di genio. La protagonista conclude la parabola metateatrale esclamando: «Là! Muori! Ecco un artista», prima di accorgersi che il povero Cavaradossi è mor- to per davvero – dunque il teatro non è la vita –, e di gettarsi, con uno straor- dinario coup de théâtre, dal bastione di Castel Sant’Angelo. Peraltro la Floria di Puccini, da bigotta ma anche da grande tragica, suggella l’opera chiamando Scarpia al giudizio divino, con ben maggior forza rispetto alla Tosca di Sar- dou.3 1 VICTORIEN SARDOU, La Tosca, «L’illustration théâtrale», n. 121, 1909, V.1.5, p. 31. 2 Su Tosca nel suo aspetto metateatrale si legga il contributo fondamentale di GUIDO PADUANO, La scenica scienza di Tosca, «Strumenti critici», II/3, 1987, pp. 357-370 (rist. in ID., Il giro di Vite, Firenze, La Nuova Italia, 1992, pp. 209-224). 3 «SPOLETTA | Ah! Démon!... je t’enverrais rejoindre ton amant | FLORIA, debut sur le pa- rapet | J’y vais, canailles! | Elle se jette dans le vide. Spoletta, Schiarrone et tous les soldats, s’élancent vers le parapet. Rideau» (SARDOU, La Tosca, cit., V.1.1, p. 32). MICHELE GIRARDI, Floria Tosca, una prima donna nel mito e nell’attualità, Palermo 2017 2 1. La Tosca, ossia Sarah Bernhardt La collaborazione con Sardou era iniziata nel 1882, quando l’attrice aveva in- terpretato Fédora, il primo di una serie di drammi pensati espressamente per lei dal dammaturgo. Ecco come Sarah stessa descrive, giunta quasi alla fine delle sue memorie (ma non della sua lunga vita), l’incontro che dette inizio, nel 1882, al loro sodalizio, e di conseguenza alla sua maturità artistica. Esso ebbe luogo al ritorno della diva da una tournée americana in cui aveva visita- to cinquanta città e sostenuto centocinquantasei recite nel corso di sette mesi, nel corso delle quali si era resa conto di essere oramai divenuta un mito viven- te a meno di quarant’anni:4 Passai la notte nella mia proprietà di Saint-Adresse. E il giorno dopo partivo per Parigi. Un’ovazione delle più lusinghiere m’aspettava all’arrivo. Poi, tre giorni dopo, sistemata nella mia casa dell’avenue de Villiers, riceve- vo Victorien Sardou per ascoltare la lettura del suo magnifico testo, Fedora. Che grande artista! Che splendido attore! Che autore meraviglioso! Mi lesse quel testo tutto d’un fiato, recitando tutte le parti, dandomi in un secondo la visione di quella che avrei fatto. «Ah!» gridai dopo la lettura. «Grazie maestro, grazie per questa bella parte! E grazie per la bella lezione che mi avete dato».5 I tanti punti esclamativi di cui è costellata la rievocazione la dicono lunga sul suo carattere: Sarah, parigina d’origine israelita olandese (nata il 23 otto- bre 1844), sfoggiava una personalità fortissima sulla scena e nella vita, dove era solita sedurre gli uomini e disfarsene quando fossero in scadenza – il che le accadeva, come a Carmen, nel giro di poco tempo: il suo matrimonio, cele- brato il 4 aprile del 1882 con l’attore greco Georges Damala, era durato poco meno di un anno, e ben presto altri fidanzati, più o meno ufficiali, lo avevano rimpiazzato, a cominciare dallo scrittore e drammaturgo Jean Richepin, per andare a Gustave Doré e tanti altri.6 Del resto la carica erotica dell’attrice venne captata con cognizione di causa (fu per qualche tempo il suo amante, come molte altre personalità della Parigi di allora) dal critico e scrittore Jules 4 Approdando col piroscafo Amérique a Le Havre, la Bernhardt fu accolta da una folla plaudente e cortei acquei di battelli; nei discorsi ufficiali si lodò la sua grande arte, che la rese ambasciatrice della bellezza francese nel mondo. In quel momento, dichiarò, era terminata la prima parte della sua esistenza, e d’ora in poi «la mia vita, che all’inizio credevo così breve, ora mi sembrava dovesse essere molto, molto lunga [...]. Decisi di vivere. Decisi di diventare la grande artista che desideravo essere», in Ma double Vie. Mémoires de Sarah Bernhardt, Pa- ris, Fasquelle, 1907, pp. 577-578; trad. it. parziale a cura di Liliana Scaramella: SARAH BERNHARDT, La mia doppia vita, Milano, Savelli, 1981, p. 208 (le traduzioni, quando non diversamente specificato, sono mie). 5 Ibidem; al contrario Victor Hugo, conosciuto nel 1872, «leggeva male i versi, ma adora- va sentirli recitar bene» (ivi, p. 104). 6 Sarah si legò a Richepin fin dai primi mesi del 1883, mentre Damala, più volte umiliato dalla consorte, assunse doghe in quantità sempre maggiori, fino a morire per overdose di morfina nel 1889. MICHELE GIRARDI, Floria Tosca, una prima donna nel mito e nell’attualità, Palermo 2017 3 Lemaître il quale, discutendo la sua interpretazione di Théodora, affermò che la Bernhardt, anche nelle scene in cui esprime passioni diverse dall’amore, non teme affatto di rendere manifesto, se posso dire, quello che c’è di più intimo e di più segreto nella sua essenza femminile. Qui risiede, a mio avviso, la più stupefacente novi- tà nella sua maniera: mette nei ruoli che interpreta non solo tutta la sua anima, il suo spirito e il suo fascino fisico, ma anche il suo sesso. Una recitazione così spavalda disturberebbe in qualsiasi altra donna, ma poiché la natura l’ha fatta così povera di carne e le ha dato l’aspetto di una principessa leggendaria, la sua lievità e la sua grazia piena di astrattezza trasformano anche i gesti più audaci in qualcosa di squisito.7 In questa prosa si celebra un mito vivente, dunque, e un mito che affon- dava le sue radici nei fondamenti stessi del teatro francese. Partita dall’inter- pretazione dei grandi classici, e in particolare di Racine (Iphigénie) e Molière (Les femmes savantes), la Bernhardt riscosse un successo sempre crescente nel repertorio contemporaneo, che la spinse anche sul set dei primi film girati nel- la storia della settima arte: se fu acclamata la sua Marguerite Gautier nella Dame aux camélias di Alexandre Dumas fils, altrettanto brillante ella si rivelò nell’indossare panni maschili efebici (da Pelléas nel Pelléas et Mélisande di Maeterlink al paggio seduttore Chérubin del Mariage de Figaro di Beaumar- chais fino al nevrotico protagonista di Hamlet), incarnando prima di tutte quel mito dell’androgino in gran voga negli ambienti intellettuali di allora (si pensi agli scritti di Péladan o, negli anni Dieci del Novecento, alle esibizioni della danzatrice e mimo Ida Rubinstein, particolarmente nel Martyre de Saint Sébastien di Debussy e d’Annunzio). La natura stessa spingeva dunque l’attrice a cercare soggetti che ne mettessero sempre più in luce il temperamen- to accentratore, adatto alle più alte temperature drammatiche. Ma furono cause di necessità a dirigerla verso Sardou: dopo alcuni anni di tensione con la prestigiosa Comédie-Française, di cui era membro illustre, la Bernhardt dette le dimissioni (1880) e iniziò una carriera da libera professionista che l’avrebbe portata in seguito sino a comprare il Théâtre de la Renaissance nel 1893 per mettervi in scena un proprio repertorio, da costituire ad hoc. Sardou creò per Sarah una vera e propria galleria di personaggi femminili, studiati per metterne in luce una sensibilità incline al mélo, ponendola di volta in volta al centro di situazioni moderniste, come accade alla principessa-spia russa Fédora, oppure di ambienti decadenti, quali la Bisanzio di Théodora tutta ori e sensualità mortale (1884, con le musiche di scena di Jules Masse- net), fino all’Egitto di Cléopatre (1890, con le musiche di Xavier Leroux). E- rano pièces d’immediata presa, adattissime quindi alle esigenze degli operisti fin de siècle, che attinsero ripetutamente a quel repertorio, da Lauro Rossi – 7 JULES LEMAÎTRE, Les Contemporaines: études et portraits litterarires, 2e série, Paris, Le- cène et H. Hudin, 1886, p. 206; il medaglione fu scritto alla vigilia della partenza della diva per la prima tournée negli Stati Uniti (1880). MICHELE GIRARDI, Floria Tosca, una prima donna nel mito e nell’attualità, Palermo 2017 4 La Tosca di Sardou, finale dell’atto IV (Parigi, Théâtre de la Porte Saint-Martin, 27 novembre 1887). In scena: Sarah Bernhardt (Tosca), Pierre-Francisque-Samuel Berton (Scarpia). MICHELE GIRARDI, Floria Tosca, una prima donna nel mito e nell’attualità, Palermo 2017 5 Manifesto per Tosca di Puccini. Milano, Arti grafiche Ricordi, 1900. MICHELE GIRARDI, Floria Tosca, una prima donna nel mito e nell’attualità, Palermo 2017 6 La contessa di Mons, da Patrie! (1874) – a Giordano – Fedora (1898) e Madame Sans-Gêne (1915) – sino a Puccini, per l’appunto.8 La prima della Tosca, terza tappa del loro percorso artistico, ebbe luogo il 24 novembre 1887 al Théâtre de la Porte de Saint-Martin. Scorrendo le nu- merose immagini dello spettacolo, fissate da fotografie e cartoline della prima tuttora di facile reperimento,9 vediamo emergere in lei la grinta dell’animale da palcoscenico, mentre fissa l’antagonista con disprezzo per poi ricomporsi dopo l’omicidio, o mentre sosta nervosa andando ad incontrare l’amante, con la mano che stringe appena il pomo del bastone da passeggio e lo sguardo perso nel vuoto, ma immerso nella temperie dei sentimenti. Fu la sua Tosca a creare il personaggio-mito che irradiò nell’eroina di Puccini anche il carattere reale della diva. Alla première del 1887 i ripetuti salti dal parapetto nel finale causarono il peggioramento di una lussazione al ginocchio destro di Sarah, radicalmente devota al ruolo, che si aggravò ulteriormente per una caduta du- rante una ripresa della pièce a Rio de Janeiro nel 1905, e che dieci anni più tardi le costarono l’amputazione della gamba destra, già in cancrena. Segno, questo, di un legame profondo fra arte e vita che è il tratto distin- tivo della pièce di Sardou e, più ancora, del capolavoro di Puccini. 2. Musica di scena e modernità musicale Che l’aspetto visivo di varie situazioni della pièce abbia creato dei veri e pro- pri passaggi obbligati nella recitazione e nelle ‘posizioni sceniche’ dell’opera pucciniana lo si può constatare facilmente dall’incisione più famosa, che mo- stra l’episodio clou del quart’atto, inquadrando la protagonista colta da scru- poli di pietà cristiana, dopo aver posto due candelabri al fianco della vittima e un crocefisso sul petto (la si veda a p. 4): la posizione venne importata pari pari nel finale secondo dell’opera, e alla sua straordinaria efficacia comuni- cativa vennero affidate le sorti pubblicitarie anche della Tosca di Puccini (a p.5).Al tempo stessorisalta nei figurini francesi la stilizzata immagine liberty delpersonaggio, che avrebbe ispirato i manifesti pubblicitari e le copertine degli spartiti firmati da Metlicovitz per conto delle Arti grafiche Ricordi.10 Si guardi inoltre all’immagine ‘canonica’ di Sarah Bernhardt alla sua usci- ta in scena in Sant’Andrea della Valle (sotto), e la si confronti con quella del- la prima interprete dell’opera di Puccini, Hariclée Darclée per averne una con- ferma ulteriore: 8 Sardou scrisse un solo libretto, a differenze di Scribe al quale fu spesso comparato: Le Roi Carotte (1872) per Jacques Offenbach, ma collaborò con diversi librettisti in varie circo- stanze. 9 Una ricca galleria d’immagini, legate alla Tosca di Sardou si può consultare all’indirizzo http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8438741q.r=sarah%20bernhardt%20la%20tosca?rk=4 2918;4 (verificato il 17 marzo 2017). Molte fotografie sono dell’atélier Nadar. 10 I figurini di Paul Eugène Mesplès vennero pubblicati in «Les premières illustrées, 1887- 1888». MICHELE GIRARDI, Floria Tosca, una prima donna nel mito e nell’attualità, Palermo 2017 7 Sarah Bernhardt-Tosca entra in Sant’Andrea della Harclée Darclée nel costume di Floria Tosca, con Valle (foto di scena posata) dedica autografa a Puccini (foto di scena posata) Nelle numerosi recensioni della première della Tosca di Sardou, la descri- zione della scena nella in cui la protagonista impugna il pugnale e si difende dallo stupro occupa il posto d’onore. Rileggiamone una, ricca di spunti, che mette in rilievo particolare le doti dell’attrice: Tosca giunge per implorare Scarpia che, novello Laffemas, le propone il patto vergognoso di Marion Delorme: che lei gli si conceda, e Mario sarà libero. Ecco il salvacondotto che servirà a proteggere la sua fuga dopo un’esecuzione simulata. Tosca, che dapprima ha sobbalzato all’affronto, si risolve infine a compiere l’atto ignobile che Scarpia esige da lei. Ma, una volta che questi ha impartito in sua pre- senza gli ordini al capitano che comanderà il plotone d’esecuzione, e rimasta sola con lo scellerato che sta per giungere al culmine del suo desiderio, raccoglie un coltello dal tavolo della cena e glielo immerge nel cuore. È in questa scena che Sa- rah Bernhardt può essere chiamata la grande Sarah. Dal momento in cui nota la lama sulla tavola e in cui fa percepire che nella sua testa spunta l’idea di pugnala- re il traditore, fino a che mette in atto il suo progetto di vendetta, lei è assoluta- mente, incomparabilmente bella: glielo ha gridato la Parigi delle prime assolute, acclamandola alla ribalta. Compiuta la sua vendetta e tornata padrona di se stes- sa, Tosca ritrova i suoi sentimenti di cattolica devota: con perfetta semplicità e re- ligiosa calma, va a prendere due candelabri che piazza dai due lati del cadavere, indi stacca un crocefisso che appoggia sul petto del morto.11 11 ÉDOUARD NOËL-EDMOND STOULLIG, Les Annales du théâtre et de la musique, trezième année (1887), Paris, Paris, G. Charpentier et Cie, 1888, p. 337. Isaac de Laffemas (1587- 1657), figlio dell’economista Barthélémy, ricoprì la carica di Lieutenant de Justice nella Fran- MICHELE GIRARDI, Floria Tosca, una prima donna nel mito e nell’attualità, Palermo 2017 8 Questa invenzione teatrale venne dunque ispirata all’autore dal talento di un’interprete d’eccezione come Sarah Bernhardt, chiamata in causa anche dal riferimento a Laffemas: la prima donna aveva infatti debuttato la parte dell’eroina eponima in Marion De Lorme di Victor Hugo nel 1885, attrice e cortigiana che viene ricattata dal potente magistrato e, per ottenere la libera- zione dell’amato Didier, gli si concede.12 Ed è a questo episodio di violenza che dobbiamo uno degli scorci più stra- ordinari per potenza drammatica e moderni dal punto di vista del linguaggio della partitura di Puccini. Tutto comincia quando tre accordi feroci esplodono all’inizio dell’opera, evocando una misteriosa forza del male: ESEMPIO 113 – Tosca, I, bb. 1-3 Legni, archi Ottoni Legni, ottoni tutta forza Vl, Vle Vlc, Cb Trbn B, Cfag, Cb 1-3: Si , Re, Fa 4-6: La , Do, Mi 7-8: Mi , Sol (= La ), Si Tre triadi si appoggiano sui bassi in orchestra, che scendono per tre gradi del- la scala per toni interi dando vita una sequenza estremamente brutale che nel corso dell’opera tornerà infinite volte, associata da Puccini al pervertito baro- ne Scarpia: il diabolus in musica fra il secondo e il terzo accordo (l’intervallo discendente di tritono Si Mi) identifica il male e lo associa al personaggio, pervaso da un’insana volontà di potenza e mosso da un impulso sadico alla frenetica conquista del suo piacere. cia del cardinale Richelieu, suo grande mentore, e sbrigò per conto del porporato i processi più infami: fu malvagio al punto tale da essere definito «vir bonus strangulandi peritus». 12 Sarah Bernhardt fu protagonista applauditissima anche di Marion De Lorme di Victor Hugo (1831) che interpretò al Théatre de la Porte Saint-Martin nel 1885, due anni prima del- la Tosca. Nello stesso anno Amilcare Ponchielli mise in scena la sua Marion Delorme, tratta dal dramma francese, nella quale Laffemas, come nella fonte, ricatta Marion e ottiene i suoi favori sessuali per darle accesso al carcere dove Didier langue in attesa dell’esecuzione (IV.2- 3). Anche questa trama, quindici anni più tardi, potrebbe aver influito sulle scelte di Puccini, allievo di Ponchielli al Conservatorio di Milano. Il musicista non poté vederla, ma ebbe noti- zie dell’opera di Ponchielli, data in marzo alla Scala, dal fratello Michele, che gli scrisse in proposito (cfr. Puccini com’era, a cura di Arnaldo Marchetti, Milano, Curci, 1973, pp. 104- 107). 13 Questo esempio, e i successivi (trascritti in suoni reali) sono tratti da GIACOMO PUCCINI, Tosca, partitura a cura di Mario Parenti (1963), Milano, Ricordi, © MCM; vengono identifi- cati mediante l’atto, e le lettere di chiamata con l’indicazione del numero di battute in apice che la precedono (a sinistra) oppure la seguono (a destra). MICHELE GIRARDI, Floria Tosca, una prima donna nel mito e nell’attualità, Palermo 2017 9 Nella seconda parte dell’atto centrale Floria Tosca, bigotta come il suo ri- vale, tradirà le aspettative erotiche del poliziotto al termine di un estenuante tête à tête, regalandogli la morte. Ma prima Puccini non esita a inserire allu- sioni intertestuali al limite della volgarità, peraltro congruenti al terribile momento d’indecisione vissuto dalla protagonista. Quando Floria viene messa di fronte al ricatto dello stupratore appare un’aggressiva cellula motivica di terza minore ascendente (violoncelli e contrabbassi) ESEMPIO 2 – Tosca, II, 256 (Tosca col capo accenna di sì, poi Scarpia(piano a Tosca) piangendo dalla vergogna affonda Tosca (interrompendo subito Scarpia) la testa fra i cuscini del canapè) 3 Eb be ne? O di... Ma li be ro all’istantelo vo glio! Lento doloroso Andante mosso espressivo Vla I Vl (tutti) Vl I, vl II dim. 3 Vle (tutte) Vlc I dim. Vlc, Cb (tutti) che, trasposta su vari gradi, punteggerà l’azione, esplodendo in maniera si- gnificatica quando Scarpia tesserà l’inganno fatale rivolgendosi a Spoletta («Ho mutato d’avviso, II, 574: Si-Re, legni, trombe, tromboni e contrabbassi, poi tornando alle altezze originali quando lo scagnozzo si allontana). Volendo mantenere la pantomima bigotta della Bernhardt che tanta parte rivestiva nell’apparato simbolico della Tosca, Puccini, dopo aver accompa- gnato con enfasi la febbrile (e macabra) ricerca del salvacondotto (sta ancora fra le dita raggrinzite del cadavere, di dove lo strappa la protagonista!) riprese la musica che scandiva poco prima la stesura del documento, facendo risentire due brevi frammenti tematici per ricordare l’eccitazione di Scarpia e l’amore di Floria e Mario mentre la donna, cristianamente pentita, torna sui suoi passi e accende le candele. Fino a questo punto della trama, il terzo accordo (es. 1, 7-8) era sempre ricomparso in modo maggiore (Mi, Sol, Si), ma quando Tosca si dirige verso il satiro che giace a terra, e fino al termine dell’atto, viene volto in minore. In questo modo la sequenza di tre accordi guadagna una nota (il Sol) raggiun- gendo una tornitura numerica perfetta che prima non aveva, e da otto (il La vale enarmonicamente il Sol) passa a nove note. I tre accordi riappaiono alla stessa altezza per ragioni drammatiche, poiché esprimono l’immutabilità del male, a parte il modo minore che certifica solo la morte fisica di chi lo rappre- senta, ma Puccini deve tornare, per ragioni musicali, al Fa minore d’impianto, così chiude nelle ultime tre battute con un’inopinata cadenza per- fetta (Do V di Fa): MICHELE GIRARDI, Floria Tosca, una prima donna nel mito e nell’attualità, Palermo 2017 10 ESEMPIO 3 – Tosca, II, 65 Lentamente (cerca di nuovo intorno, e vedendo un cro- cefisso va a staccarlo dalla parete e portan- (colloca una candela accesa a destra della testa di dolo religiosamente si inginocchia per po- Scarpia, mette l’altra candela a sinistra) sarlo sul petto di Scarpia) tam-tam GC Vle, Vlc Cb arpa Cb 1-3: Si ,Re, Fa 4-6: La , Do ,Mi 7-9: Mi , Sol , Si (Si alza e con grande precauzione esce, richiudendo l’uscio dietro di sé) Vle, Ob Ob, Cl Fl, Cl Fl, Cl CI, Fag, Cor Fag, Cor Vle TCrebl arpa Tb (lontanissimi) Vlc pizz. Fag, Trbn Cb 10-12: Fa , La, Do In questa maniera il compositore impiega il totale cromatico, aggiungendo tre note alle nove precedenti (Fa, La, Do), e si fa apprezzare per l’atteggiamento modernista dai più illustri sostenitori delle sperimentazioni linguistiche, e in particolare da Réné Leibowitz, paladino della dodecafonia.14 Questo gesto musicale effrattivo trae la sua origine da una scelta di carat- tere drammatico, e dall’intuizione scenica di un’attrice. Perché no? anche Ri- chard Strauss volle scrivere Salome ed Elektra stimolato dal talento della scandalosa Gertrud Eysoldt, la stessa attrice che aveva interpretato Lulu nella prima rappresentazione del dittico Erdgeist-Die Büchse der Pandor al Kleines Theater di Berlino con la regia di Max Reinhardt (1902). Poi però bisogna far tesoro delle parole di Alban Berg, che avrebbe in seguito musicato Lulu: in una celebre conferenza di presentazione di Wozzeck (1929), dopo aver illu- strato con dovizia di particolare le innumerevoli novità della sua partitura, invitò il pubblico a dimenticare ogni teoria e a godersi in teatro il suo capola- voro. 14 Cfr. RÉNÉ LEIBOWITZ, L’arte di Giacomo Puccini, «L’approdo musicale» II/6, 1959, pp. 3-27.
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