31 CLARISAS Y DOMINICAS G Modelos de implantación, filiación, promoción y devoción .T . C en la Península Ibérica, Cerdeña, Nápoles y Sicilia o le s a n ti, B El presente volumen es el resultado de la investigación del proyecto . G Claustra. Atlas de espiritualidad femenina. El libro se ocupa del análisis a r del paisaje religioso marcado por las comunidades de clarisas y domini- í, N CLARISAS Y DOMINICAS cas. Desde una estructura territorial por reinos se abordan cinco lineas: el . J o r conocimiento de áreas poco estudiadas en la topografía monástica feme- ne Modelos de implantación, filiación, promoción y devoción t- nina; la comprensión de dinámicas fundacionales y el papel de grupos de B e en la Península Ibérica, Cerdeña, Nápoles y Sicilia n mulieres religiosae; la dinámica de implantación urbana y los procesos de ito interacción creadores de paisaje monástico; la importancia del mecenazgo C y patronazgo femenino en los modelos fundacionales y de promoción cul- L A edición de tural; el análisis de las prácticas devocionales y la cultura material de las R I monasterios femeninos en un contexto funcional, espacial y performativo. S Gemma Teresa Colesanti, Blanca Garí, Núria Jornet-Benito A S Y Gemma Teresa Colesanti es investigadora en el Instituto de Historia D O de la Europa Mediterránea del CNR. Se ocupa de la historia de las mu- M jeres y de la historia económica de las organizaciones de asistencia a I N finales de la Edad Media. I C A Blanca Garí es profesora de Historia medieval en la Universidad de S Barcelona. Se ocupa principalmente de la historia de la mística y del monacato femenino. Núria Jornet-Benito es profesora de Archivística, Paleografía y Diplomá- tica en la Universidad de Barcelona. Se ocupa de la historia de las comuni- dades monásticas femeninas, de la historia de la escritura y de la memoria. 21.90 € ISBN 978-88-6453-675-0 FUP FIRENZE UNIVERSITY 9 788864 536750 PRESS Clarisas y dominicas. Modelos de implantación, filiación, promoción y devoción en la Península Ibérica, Cerdeña, Nápoles y Sicilia edición de Gemma Teresa Colesanti, Blanca Garí y Núria Jornet-Benito Firenze University Press 2017 Filia sanctae Elisabectae: la committenza di Maria d’Ungheria nella chiesa clariana di Donnaregina a Napoli* di Antonio Bertini, Cristiana Di Cerbo e Stefania Paone Filia sanctae Elisabectae Maria d’Ungheria è la chiave privilegiata per comprendere sia il complessivo assetto planime- trico e formale della chiesa clarina di Santa Maria Donnaregina sia la sua decorazione a fresco. Il marcato tono germanico della fabbrica appare infatti il frutto della ricezione di un modulo edilizio di origine tedesca divulgatosi nel corso del XIII secolo in Ungheria e Boemia, sapiente- mente investito di un indiscutibile portato ideologico e retorico nella Napoli di primo Trecento. Un portato ribadito negli affreschi con le Storie di Santa Elisabetta d’Ungheria, nelle quali la celebrazione della santità della stirpe ungherese si combina con la sottolineatura di ruoli e va- lori devozionali propri del mondo femminile. In merito, proprio in un’ottica di genere, il ciclo si combina efficacemente con altri temi presenti nel programma decorativo, in primis quello mariano. Mary of Hungary is the key character to understand the architecture and the decoration of the Clarissan church of Santa Maria Donnaregina in Naples. Probably, the German gothic aspect of the building is the result of the reception of Northern architectural models, spread both in Hungary and Bohemia. In the same direction, the fresco cycle with the Life of Saint Elizabeth of Hungary is devoted to the celebration of the dynasty of the Queen Mary. From the point of view of the gender, the cycle combines effectively with other themes present in the decorative program, mainly the Marian one. Medioevo; secoli XIII-XIV; Napoli; Maria d’Ungheria; architettura angioina; architettura un- gherese; clarisse; maternità; genealogia; Santa Elisabetta d’Ungheria. Middle Ages; 13th - 14th Century; Naples; Mary of Hungary; angevin architecture; hungarian architecture; clarisses; maternity; genealogy; Saint Elizabeth of Hungary. * Il par. 1 è stato scritto da Antonio Bertini (Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo ISSM-Cnr, Napoli), il par. 2 da Cristiana Di Cerbo (Università degli Studi di Genova) e il par. 3 da Stefania Paone (Università della Calabria). Clarisas y dominicas. Modelos de implantación, filiación, promoción y devoción en la Penínsu- la Ibérica, Cerdeña, Nápoles y Sicilia, edición de Gemma-Teresa Colesanti, Blanca Garí y Núria Jornet-Benito, ISBN (online) 978-88-6453-676-7, ISBN (print) 978-88-6453-675-0, CC BY 4.0, 2017 Firenze University Press Clarisas y dominicas 1. Donnaregina nel centro antico di Napoli Il complesso di Santa Maria Donnaregina è posto al limite settentrionale del nucleo di fondazione greca, probabilmente parte di un’insula doppia ridi- mensionata ad occidente per l’ampliamento ottocentesco dell’antico stenopos coincidente con l’attuale via Duomo1. Il quartiere è quello di San Lorenzo, ma nel XIII secolo faceva parte del Sedile di Capuana, uno dei due più antichi seg- gi della città2. L’area era già adibita a fini religiosi sin dal VIII secolo, quando a Napoli si svilupparono alcuni complessi religiosi femminili basiliani3. In un documento4 risalente all’VIII secolo si riporta l’esistenza di un luogo abitato da religiose, descrivendo «un chiostro delle vergini» chiamato «San Pietro ad Montes di Donna Regina» e poi «San Pietro ai Dodici pozzi»5. La comunità monastica fu inizialmente impostata sulle regole prima basiliane, poi benedet- tine e, nel 1264, per concessione di papa Urbano IV, fu consentito alle monache di vivere secondo l’Ordo Sanctae Clarae, così come riportato nella platea sette- centesca del monastero6. La prima denominazione dà un indizio sulla colloca- zione dal punto di vista morfologico, che fa riferimento alla piccola altura dove sorgeva il centro religioso, proprietà, probabilmente, di una donna di rango. Nel documento si parla di una porta urbana difesa da una torre e la via dove si affacciava si chiamava Curtis Turris, cioè Corte Torre, posta nei pressi di alcu- ne torri7 che integravano le strutture murarie in quella parte della città. Nella pianta topografica di Giovanni Carafa duca di Noja, pubblicata nel 1775 e ar- ricchita nella leggenda da Niccolò Carletti, sullo stenopos che risultava a fondo cieco è riportata una porta urbana anticamente aperta. In corrispondenza del saliente si apriva un passaggio minore detto porta Pavezia o di San Pietro del Monte. Veniva, inoltre, chiamata popolarmente porta dell’Acquedotto perché prossima all’acquedotto che riforniva la città, suggerendo con questa denomi- nazione la caratteristica idrologica dell’area, molto probabilmente proveniente 1 Il tema urbanistico del complesso di Santa Maria di Donnaregina è stato affrontato da: Geno- vese, La chiesa trecentesca; Carelli, Casiello De Martino, Santa Maria di Donnaregina; Vendit- ti, La chiesa di Santa Maria Donnaregina; Di Mauro, Santa Maria di Donnaregina. 2 Inizialmente i Sedili erano due: quello del Nilo e quello di Capuana. Derivati probabilmente dalle fratrie, di origine greca, nati come luogo di incontro e discussione, le Piazze (o Sedili o Seggi) divennero in età angioina parte attiva della vita pubblica, in quanto partecipavano con i loro rappresentanti alla pubblica amministrazione, al mantenimento delle porte urbane e delle torri di competenza. Per un approfondimento sul tema dei seggi a Napoli e in Campania si se- gnalano: Piccolo, Dell’origine e della fondazione dei sedili; Santangelo, Spazio urbano e premi- nenza sociale; Lenzo, Memoria e identità civica; Vitale, Elite burocratica e famiglia. 3 Si veda: Feniello, Napoli. Società ed economia; Capone, La collina di Pizzofalcone. 4 Capasso, Topografia della città, p. 167; Bertaux, Santa Maria di Donnaregina, p. 158. 5 Ibidem, pp. 4-8. 6 Ibidem, pp. 6-10; Andenna, Francescanesimo di corte, pp. 153-156; Gaglione, Dai primordi del francescanesimo, pp. 38-39. 7 Negli interventi succedutisi sono state rinvenute strutture murarie: la torre di cui si parla è ben visibile nella veduta del Baratta del 1629, mentre ancora oggi si può apprezzare il salto di quota di via Settembrini, dove esisteva una cinta muraria intervallata da torri. Pane, Napoli seicentesca; De Seta, Alessandro Baratta; Pane e Valerio, La città di Napoli; Verde, I modelli “unici” dell’iconografia. 12 Filia sanctae Elisabectae da Formello, nei pressi di porta Capuana, posta lì vicino. Ipotesi, quest’ultima, che, a mio avviso, viene confermata anche dal toponimo riportato dalla pianta del Lafrery e Du Perac del 1562, dove l’antica plateia è denominata «Strada di Pozzo Bianco». Sin dall’antichità l’area di Donnaregina è servita da una delle diramazioni maggiori del ramo principale dell’acquedotto del Bolla. Il luogo, rispetto all’estendersi della città, era defilato, in un’insula che aveva un lato corto, quello a nord, delimitato dalle mura urbiche (fig. 1). Fig. 1. Sulla base cartografica sono stati riportati l’area sulla quale insiste il complesso di Santa Maria di Donnaregina e i perimetri delle mura relativi al XII secolo (in rosso) e agli inizi del XVI secolo (in verde); (C. De Seta, Cartografia, stralci fogli nn. 11 e 4). 13 Clarisas y dominicas Quell’area a ridosso del circuito difensivo fu occupata dei religiosi che pian piano si espandevano fino ad includere l’intera insula e, poi, due insie- me. Il luogo era prossimo all’area episcopale, sede delle complesse e articolate strutture del Duomo, che aveva occupato ben tre insulae8. Sul lato lungo set- tentrionale confinava con lo stenopos che conduceva al Duomo, mentre sul lato corto meridionale, l’area di Donnaregina era delimitata dalla plateia su- periore. La Napoli del decimo secolo risultava costituita in gran parte da mona- steri e chiese che poterono essere edificati sull’area del precedente tessuto greco-romano, progressivamente decaduto nei periodi successivi. Furono oc- cupate infine quelle zone interne, a ridosso delle mura, che per lungo tempo erano rimaste inedificate in quanto servivano per l’agevole circolazione delle truppe nell’eventuale difesa della città9. Con l’arrivo degli Angioini nel 1266, dopo aver spostato la capitale del regno da Palermo a Napoli, quest’ultima diventa teatro di cambiamenti no- tevoli, che le fecero acquisire una dimensione internazionale10. La nuova ca- pitale fu oggetto di un vero e proprio piano urbanistico di ampio respiro, che ribaltava e rimescolava gli spazi, creando non solo una nuova immagine della città, ma anche assegnandole un importante ruolo con rilevanti attività com- merciali e portuali11. La parte più antica di Neapolis, in epoca angioina, as- sunse essenzialmente un carattere di area conventuale e religiosa, mentre le attività commerciali, di rappresentanza e il centro direzionale furono spostati sulla fascia costiera, intorno alla nuova residenza reale di Castel Nuovo12. Ciò rispondeva ad un disegno urbanistico ben preciso: individuare nel territorio delle aree con funzioni specifiche cercando di portare all’esterno le attività, e quindi le funzioni, meno confacenti all’ambiente urbano; oggi diremmo che venne attuato una sorta di zoning. Accanto al parziale ampliamento delle mura, in epoca angioina, vi furono la nascita di nuove zone residenziali (il Largo delle Corregge, la regione di 8 Nell’impianto urbano di Napoli greca (che in gran parte si conserva) risalente al VI-V secolo a.C. vi erano tre plateiai (con andamento est-ovest) e più di 20 stenopoi (con andamento nord- sud). L’insula scandita dall’incrocio delle strade misurava circa 36 x 186 m. L’insula doppia di Donnaregina si estendeva, dunque, per circa 14.000 mq, comprendendo nel computo anche i 500 mq circa dell’area dello stenopos. L’insula Episcopalis, che era detta tripla ma che occupava ben quattro isolati, superava i 28.000 mq, cioè poco meno di 3 ettari. Un approfondimento sui moltissimi temi che scaturiscono da un’analisi dell’insula Episcopalis può essere condotto consultando: Di Stefano, Strazzullo, Restauro e scoperte nella cattedrale di Napoli; Romano, Bock, Il duomo di Napoli; Lucherini, La cattedrale di Napoli; Cuccaro, Basilicam in civitatem Neapolis; Ebanista, L’atrio dell’insula episcopalis; Ebanista, L’insula episcopalis di Napoli. 9 Si veda in merito: Feniello, Contributo alla storia, pp. 175-200; Feniello, Napoli. Società ed economia; Capone, La regione «augustale», pp. 58-61. Altri riferimenti si trovano in: Venditti, L’architettura dell’Alto Medioevo; Capasso, Sulla circoscrizione civile. 10 Franchetti Pardo, Storia dell’urbanistica, p. 130. 11 Bruzelius, Le Pietre di Napoli; Vitolo-Di Meglio, Napoli angioino-aragonese; Leone-Patroni Griffi, Le origini di Napoli; Galasso, Il Regno di Napoli. 12 Bruzelius, Le pietre di Napoli; Di Meglio, Napoli 1308: una città cantiere; Vitale, S. Chiara, pp. 129-137. 14 Filia sanctae Elisabectae Carbonara) e la relativa urbanizzazione di Chiaia e della collina di Sant’Era- smo, la bonifica della zona situata presso l’attuale Ponte della Maddalena, la lastricazione delle strade, la realizzazione di ingenti opere fognarie, la crea- zione di “tribunali” responsabili di singoli settori della vita pubblica (tribuna- le delle acque e mattonate per le strade, tribunale delle fortezze per le porte e le mura) e, soprattutto, l’ampliamento del Porto e la creazione del Mercato13. Interventi, quest’ultimi, che diedero molta importanza ai rapporti e ai traffici marittimi e che decretarono la funzione economica e strategica del porto di Napoli. Se si esclude la fascia costiera, il volto della città angioina era caratte- rizzato dalle logge, dai fondaci, dai banchi e dal mercato, accanto alle nume- rose fabbriche religiose14. Queste furono costruite per rispondere sia a un preciso programma poli- tico, teso a proteggere gli ordini monastici mendicanti, verso i quali era più in- cline il senso religioso di Carlo I, sia per caratterizzare la conquista del Regno come missione di “pietà”, richiesta dal Papato15. Risalgono al periodo angioi- no, i complessi monastici di Sant’Eligio Maggiore, Santa Maria Donna Albina, Sant’Agostino alla Zecca, Santa Maria la Nova, San Pietro Martire, San Pietro a Maiella, San Domenico Maggiore, San Lorenzo Maggiore, Santa Chiara e, infine, il rifacimento del Duomo16 e della stessa Donnaregina17. Altra particolarità delle strutture religiose in epoca angioina è la loro di- mensione multiterritoriale. Donnaregina, ad esempio, ricevette molte dona- zioni di terre, giardini, uliveti, case e botteghe poste da Torre del Greco ad Arzano, da Sant’Anastasia a Marano, fino a Capua e Marcianise. Gestire un patrimonio di siffatta portata non dovette essere molto semplice. In epoca angioina, in seguito all’aumento della popolazione, i numerosi orti e giardini 13 Savarese, Il centro antico di Napoli; De Seta, Napoli, pp. 40-68. 14 Tutto questo fermento di attività legato alla città fece confluire a Napoli una notevole quantità di gente. Secondo il Capasso nell’età di Carlo I (1266-1285) viveva in città, entro le mura, una popolazione compresa tra le 25.000 e le 28.000 unità, mentre circa 6.000 persone, già allora, risiedevano fuori dalle mura: Capasso, Sulla circoscrizione civile ed ecclesiastica; Venditti, La città angioina, pp. 667-698. 15 Guidoni, Città e ordini mendicanti, pp. 69-106; Di Meglio, Ordini mendicanti, monarchia; Raspi Serra, Gli ordini mendicanti, pp. 13-14. 16 A partire dal IV secolo nacquero diversi edifici di culto nell’insula episcopale e tra questi si ricordano la basilica di Santa Restituta, il battistero di San Giovanni in Fonte e altre cappelle annesse. Ma la storia del Duomo è assai articolata e numerosi sono i saggi che hanno contribu- ito a far luce sulla ricostruzione di alcune fasi di realizzazione dell’articolato complesso che, in parte, rimane sconosciuta. In questa sede se ne segnalano quattro: Di Stefano, La Cattedrale di Napoli; Lucherini, La Cattedrale di Napoli; Romano, N. Bock, Il duomo di Napoli; Ebanista, L’insula episcopalis. 17 Venditti, S. Maria, pp. 751-758. Per quanto attiene a Donnaregina, dall’VIII al XIII secolo le notizie sono pressoché inesistenti; tuttavia le fonti medievali e la tradizione erudita locale at- testano come nel 1293 si sia abbattuto sulla città di Napoli un violento terremoto, che distrusse anche il monastero femminile. Il rinnovamento di cui si è detto fu quindi conseguente a tale rovinoso evento, cui seguì un immediato intervento di recupero. Questo, in un primo momento interessò, come è noto, il solo dormitorio, concludendosi già nel 1298 (Di Mauro, Santa Maria di Donnaregina, passim, con bibliografia), e coinvolse la chiesa solo successivamente. Per quan- to concerne questo aspetto e, più in generale, la redazione architettonica della fabbrica in età angioina, si rimanda alla parte seconda del presente contributo, curata da Cristiana Di Cerbo. 15 Clarisas y dominicas che caratterizzavano la città ducale, cominciano a scomparire. All’epoca le costruzioni che conservavano l’impianto in altezza originario del piano terra e del piano nobile costituivano la gran parte di quello che oggi viene chiamato centro antico. Questa configurazione della morfologia urbana è ancora oggi possibile constatarla nell’insula 34 del centro antico18. 1.1 Dal Cinquecento al “Risanamento” Nel XVI secolo fu aggiunto al complesso di Santa Maria Donnaregina un nuovo chiostro, ma la trasformazione più significativa si produce intorno al 1620, allorché le monache decidono di costruire una nuova chiesa più consona al gusto dell’epoca e che rispondesse ai dettami post Concilio di Trento. L’au- mento del numero delle monache e il desiderio di una chiesa più ricca e fastosa, potendo contare sulle notevoli disponibilità economiche del monastero, indus- sero la comunità a realizzare una nuova struttura innanzi a quella angioina, con orientamento opposto, cioè con fronte a mezzogiorno, e comunicante con quella già esistente19. L’impossibilità di estendere la costruzione verso l’attuale largo Donnaregina conduce gli artefici a invadere con la nuova fabbrica parte dell’abside della chiesa trecentesca, distruggendola parzialmente20. Intorno alla prima metà del Settecento all’originaria facciata della chiesa viene anteposto un chiostro di ridotte dimensioni a pianta rettangolare a paraste ed archi rivestiti in marmi policromi, che costituisce l’attuale ingresso alla chiesa21. Il complesso di Donnaregina fu interessato anche dal più importante ed esteso intervento urbanistico che abbia mai riguardato Napoli: il piano per il Risanamento22. Parte del complesso conventuale fu demolito per poter avvia- re l’ampliamento di via Duomo23. Il confronto tra la pianta disegnata da Luigi Marchese del 1804 e la pianta Schiavoni del 1877 permette di valutare la gran- de trasformazione subita dall’insula di Donnaregina. Al fine di migliorare il collegamento anche veicolare tra l’area di Piazza Cavour e la zona portuale si previde l’allargamento di uno degli stenopoi del tracciato greco, limitando l’intervento sul lato destro alle sole facciate dei preesistenti edifici (gli andro- ni, le scale e i cortili conservano tuttora, infatti, l’originario aspetto)24. Nel marzo del 1861 fu finalmente bandito l’appalto dei lavori, che sarebbero durati fino al 1868 per il tratto fino al vescovado; il prolungamento sino a via Vicaria Vecchia fu compiuto invece nel 187025, mentre per il collegamento con la via 18 Iovino, Fascia, Fiorucci, Cirillo, Storia architettura. 19 Venditti, La chiesa di Santa Maria Donnaregina, p. 175. 20 Ibidem, p. 178. 21 Ibidem, p. 186. 22 Alisio, Napoli e il risanamento, pp. 46, 78-79. 23 Venditti, La chiesa, pp. 175 e 178. 24 Russo, Napoli come città, p. 220. 25 La chiesa antica nel 1864 fu ceduta all’Amministrazione Comunale che, per far posto all’al- largamento di via Duomo, demolì il chiostro trecentesco; Venditti, La chiesa, p. 175. 16 Filia sanctae Elisabectae Marina bisognò aspettare sino al 1880, quando fu demolita una navata e rico- struita la facciata della Chiesa di San Giorgio Maggiore 26. Nel corso dell’Ot- tocento inizia il lento declino del complesso che – soppresso ed acquisito dal Comune – avrà destinazioni d’uso diverse, da scuola ad alloggio per i poveri, a sede della Corte di Assise (1866-72), a luogo di riunione della Commissio- ne Municipale della Conservazione dei Monumenti27. Ogni cambiamento di destinazione d’uso sarà accompagnata da interventi edilizi. Particolarmente complesso fu l’intervento progettato e diretto da Gino Chierici tra il 1928 ed il 1934 mediante il quale fu possibile ripristinare l’invaso della chiesa gotica separandola da quella edificata in epoca barocca, sacrificando gran parte del- le strutture del nuovo coro e introducendo un distacco tra le due chiese con la finalità di recuperare la spazialità originaria della presenza angioina 28. 2. Domina Maria Dei Gratia Ierusalem, Sicilie, Ungarieque Regina29: l’archi- tettura di Santa Maria Donnaregina a Napoli tra canoni germanici e reto- rica di corte Nella prospettiva di un persistente rifiuto del sistema architettonico oltre- montano, la critica novecentesca ha interpretato il Gotico meridionale indivi- duando una felice parabola espressiva tanto nell’immissione di modelli allora ritenuti genuinamente rayonnant, come il coro di San Lorenzo Maggiore a Napoli, quanto nella redazione di aggiornate e raffinate tipologie basilicali a tetto (duomo di Lucera, San Pietro a Maiella a Napoli), alla cui diffusione non fu certamente estraneo il favore goduto dagli Ordini mendicanti presso la cor- te (navata di San Lorenzo Maggiore, Santa Maria Donnaregina, Santa Chiara a Napoli)30. In altre parole, e nonostante l’accertata presenza di architetti e artisti francesi almeno tra l’ultimo quarto del XIII secolo e gli anni venti del 26 Russo, Napoli come città, p. 221. 27 Venditti, La chiesa, p. 174. 28 L’intervento del Chierici, nonostante sia stato necessario, avrebbe potuto essere più attento alla storia del complesso. Ancora oggi i punti di vista sull’opportunità dell’intervento e sulle sue modalità sono dibattute e controverse. Un approfondimento sulle tematiche connesse è possibi- le effettuarlo attraverso la lettura di: Chierici, Il restauro della chiesa, e Casiello, Gino Chierici e il restauro della chiesa. A partire dal 1975 la chiesa di Donnaregina vecchia è destinata a sede della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio (già Scuola di Specia- lizzazione in Restauro dei Monumenti) dell’Università di Napoli, fondata da Roberto Pane nel 1969. 29 La citazione è tratta dall’epigrafe che accompagna il monumento funebre di Maria d’Unghe- ria in Donnaregina, sul quale si tornerà più avanti, nella terza parte a cura di Stefania Paone. 30 Héliot, Du roman au gotique, pp. 109-148; Grodecki, Architettura gotica; Trachtenberg, Gothic/Italian Gothic, pp. 22-37; Cadei, s.v. Architettura, pp. 525-558; Erlande-Brandenburg, Architecture gotique, pp. 291-298; Trachtenberg, Desedimenting Time, pp. 5-27; Bruzelius, The Stones; Erlande-Brandenburg, L’art gotique, pp. 422-424; Timbert, Existe-t-il une signification politique, pp. 13-25; Bruzelius, A Rose by any other name, pp. 93-109; Fernie, Medieval Moder- nism, pp. 11-23; Bruzelius, The Labor Force, pp. 107-122; Lucherini, Il Gotico è una forma di Rinascenza?, pp. 93-106. 17 Clarisas y dominicas successivo31, la cosiddetta ‘resistenza’ del Meridione all’assimilazione della novità formulata Oltralpe ne determinò un ricorso effimero e compromesso, poiché limitato di fatto a una patina citazionistica, che impreziosisce, senza mascherarlo, un lessico inequivocabilmente locale e antichizzante. Alla formulazione e diffusione di tale gusto dovette concorrere anche una rinnovata gestione del cantiere, sulla base della sempre più accresciuta re- sponsabilità teorica attribuita all’architetto. Ingaggiato contemporaneamente in più siti e impossibilitato a dirigerne ogni singola fase, questi potrebbe es- sere stato investito di un ruolo per lo più progettuale, affidando la direzione concreta delle maestranze locali a una sua diretta dipendenza, cioè al super- visore. Il processo edilizio, dunque, sarebbe stato suddiviso in due fasi, tut- tavia complementari: l’architettura di progettazione e quella di esecuzione32. Testimonianza ne sarebbero le attività sia dell’architetto Pierre d’Agincourt, impegnato nello stesso torno di anni tanto in Puglia quanto in Campania, sia di un certo Pietro dell’Oratorio, monaco cistercense, al quale fu affidata, almeno al principio, la direzione dei lavori della fondazione abruzzese di San- ta Maria della Vittoria presso Tagliacozzo, e che portò disegni direttamente dalla Francia33. Tale linea di pensiero, qui esposta in sintesi, permette di ritornare su uno dei complessi conventuali più noti alla storiografia, la chiesa clariana di Santa Maria Donnaregina, affrontando e intrecciando il tema sia della committen- za regia – e della sua declinazione al femminile, come si vedrà a breve – sia delle pratiche edilizie dell’ordine di santa Chiara, tutt’altro che tipizzabili34. Analogamente alla componente maschile dell’ordine, difatti, le clarisse adot- tarono in Italia stilemi e tecniche costruttive per lo più propri dei luoghi di in- sediamento, dando vita a un fenomeno omogeneo e ben riconoscibile sotto il profilo spirituale e culturale, ma fortemente parcellizzato, invece, sotto quello icnografico. Neanche il coro delle sorelle fu standardizzato, poiché lo si ritrova indifferentemente arretrato rispetto all’altare, laterale ad esso o, addirittura, sopraelevato sull’aula: mancò, quindi, un vero e proprio canone architettoni- co anche per il vano essenziale alla partecipazione liturgica della comunità religiosa, così come si ricorse, seppur molto di rado, all’impianto bilivello del corpo longitudinale in risposta a esigenze tanto cultuali quanto residenziali. Santa Maria Donnaregina, orientata a meridione, è dotata di un’abside a pianta poligonale – preceduta da un’ulteriore campata di eguale altezza e bar- longa – con chiusura a 5/8, sporgente all’esterno e voltata a semiombrello su snelli pilastri angolari. Essa, tramite un vano a tutta altezza, si innesta su un corpo longitudinale rettilineo e bilivello, cioè munito di un palco che si esten- 31 Leone de Castris, Napoli “capitale” del gotico europeo, pp. 239-264 (con bibliografia prece- dente); Bruzelius, The Labor Force, pp. 107-122. 32 Le Pogam, Les maitres d’oeuvre. 33 Bruzelius, The Labor Force, pp. 115 e 117. 34 Filipiak, The Plans; Bigaroni, San Damiano, pp. 45-97; Bruzelius, Hearing is believing, pp. 83-91; De Sanctis, s.v. Clarisse, pp. 91-102; Romanini, Il francescanesimo nell’arte, pp. 181-195. 18
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