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CIANO Alighieri 50_Alighieri PDF

17 Pages·2017·0.21 MB·Italian
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COP ALIGHIERI 50_Layout 1 14/02/2018 10:02 Pagina 1 IS 50 Negli ultimi numeri de «L’Alighieri» SN 2017 05 N.S. 16 50, Nuova Serie N. 45, 2015SAGGI: S. BELLOMO, L’Epistola a Cangrande, dantesca per intero: «a rischio di -655 luglio-dicembre 2017 1 anno LVIII procurarci un dispiacere» - F. MEIER, Educating the Reader: Dante’s Convivio- S. VANDI, Dante in Gadda: lirismo “ricombinante” ne La Madonna dei Filosofi. LECTURAE DANTIS: S. STROPPA, «De his qui in fine poenitent» (Purgatorio V) - R. REA, Memorie di un lussurioso. L’ALIGHIERI Lettura del canto XXVIdel Purgatorio. NOTE: G. INGLESE, Prospettive dantesche. Postilla - V. ALBI, Una possibile interpretazione di InfernoVIII-IX: i canti infernali della superbia - R.REA, Risposta a Paola Allegretti. RECENSIONI Rassegna dantesca N. 46, 2015SAGGI: SAGGI: R. TESI, «Ut Sordellus de Mantua sua ostendit». (De vulgari elo- quentia i.XV, 2) - L.C. ROSSI, Il nome di Francesca - G. TOMAZZOLI, La metafora in Dante: temi e tendenze della critica. LECTURAE DANTIS: M. MOCAN, Il livore dell’invidia e la luce della Sapienza: lettura di Purgatorio XIII. NOTE: D. PICCINI, A proposito di Vita nuovaXXXVIII, 1 - Direttori: Saverio Bellomo, Stefano Carrai, Giuseppe Ledda D. SANTORO, Sul «secreto calle» di Inf.X, 1 - E. REBUFFAT, Tu non pensavi ch’io fisico fossi! Una questione attributiva nella Commedia(Purg.V, 109-11). RECENSIONI N. 47, 2016SAGGI: S. BELLOMO, «Or sè tu quel Virgilio?»: ma quale Virgilio? – C. VILLA, Il vicario imperiale, il poeta e la sapienza di Salomone: pubblicistica politica e poetica nell’epistola a Cangrande (con una postilla per Re Roberto e Donna Berta) / 1. LECTURAE DANTIS: P. PELLEGRINI, La Comedìatra Firenze e il Casentino: lettura del canto XVIdell’Inferno. NOTE: C.LAGOMARSINIe G. MARRANI, Molti volendo dir che fosse Amore: nuovi recuperi – O. BRI- GANDÌ, Il color perso, Dante e la tintura medievale – E. TONELLO, L’edizione bembina della Commedia. RECENSIONI N. 48, 2016 SAGGI: G. TOMAZZOLI, Enigmistica dantesca: un indovinello per il «cinquecento L ’ diece e cinque» - A. FORTE, «Volve sua spera e beata si gode». Sull'iconografia di Fortuna nei A manoscritti miniati della Commedia- S.CRISTALDI, Verità e finzione. Vico e un problema dan- LI tesco - M. DUYCK, «Peregrino nel mondo di cognizione». Recuperi danteschi nell'opera di Carlo G H Emilio Gadda. NOTE: A. GALASSI, I testimoni dellaCommediascoperti dopo la Bestandsauf- I nahmedi Marcella Roddewig e un’indagine di codicologia trecentesca - A. PIACENTINI, I distici E R in lode di Dante a didascalia del dipinto di Domenico di Michelino - M.MANSEN, Dante intra I ed extra moenia: studi danteschi presso l’Università di Padova nel ventennio fascista. RECEN- SIONI N. 49, 2018 SAGGI: P. VESCOVO, La via dei satiri. (Oratius Satyrorum scriptor) - F. ROSSI, «Poema sacro» tra Dante e Macrobio: una verifica sulla tradizione italiana deiSaturnalia - P. PELLEGRINI, Il riso di Aristotele e l’autenticità della Questio de aqua et terra di Dante. LEC- TURAE: C.M. KEEN, «A Local Habitation and a Name»: Origins and Identity in Purgatorio XIV. NOTE: R. TESI, Lectio difficilioro lectio impossibilis? A proposito di «Io fei gibetto a me de le mie case» (Inf. XIII, 151) - S. SELENU, Lost in Translation: The Expression gente volgare in Dante’s Works - L.C.ROSSI, Lettura pugilistica del Dante bucolico (con una proposta per i «decem vascula»). RECENSIONI ISBN 978-88-8063-993-0 L o n g Angelo Longo Editore o L E Ravenna 0 d € 25,00 4005 itor 0 e «L’Alighieri» Rassegna dantesca 50 - Nuova Serie 2017 Direzione Saverio Bellomo, Stefano Carrai, Giuseppe Ledda Redazione Luca Lombardo, Nicolò Maldina, Monica Marchi, Anna Pegoretti, Vera Ribaudo, Gaia Tomazzoli, Filippo Zanini Comitato d’onore Robert Hollander, John Freccero, Bodo Gutmüller, Emilio Pasquini, Karlheinz Stierle Comitato scientifico Albert R. Ascoli, Zygmunt G. Barański, Johannes Bartuschat, Lucia Battaglia Ricci, Sergio Cristaldi, Simon A. Gilson, Giorgio Inglese, Ronald L. Martinez, Lino Pertile, Jeffrey T. Schnapp, Luigi Scorrano, John Scott, Claudia Villa, Tiziano Zanato I collaboratori sono pregati di inviare copia del loro contributo (sia per attachment che per posta) al seguente indirizzo: Giuseppe Ledda- Università di Bologna Dipartimento di Filologia classica e Italianistica Via Zamboni 32 - 40126 Bologna - Italia (e-mail: [email protected]) I volumi per eventuali recensioni debbono essere inviati a Giuseppe Ledda, vedi indirizzo sopra Abbonamenti e amministrazione: A. Longo Editore - Via Paolo Costa 33 - 48121 Ravenna Tel. 0544.217026 Fax 0544.217554 www.longo-editore.it e-mail: [email protected] Abbonamenti Abbonamento 2017 Italia (due fascicoli annui): CARTA €50,00 ONLINE €75,00 CARTA + ONLINE €80,00 Abbonamento 2017 estero (due fascicoli annui): CARTA €70,00 ONLINE €75,00 CARTA + ONLINE €100,00 I pagamenti vanno effettuati anticipatamentecon bonifico bancario o con versamento sul ccp 14226484 oppure con carta di credito (solo Visa o Mastercard) e intestati a Longo Editore - Ravenna I contributi pubblicati su «L’Alighieri» sono soggetti al processo di peer review. Ogni contri- buto ricevuto per la pubblicazione viene sottoposto, in forma rigorosamente anonima, alla let- tura e valutazione di due esperti internazionali, esterni alla direzione della rivista. Finito di stampare nel mese di per A. Longo Editore in Ravenna ISBN 978-88-8063-993-0 © Copyright 2017 A. Longo Editore snc All rights reserved Printed in Italy 50, Nuova Serie luglio-dicembre 2017 anno LVIII L’ALIGHIERI Rassegna dantesca fondata da Luigi Pietrobono e diretta da Saverio Bellomo, Stefano Carrai e Giuseppe Ledda SAGGI Anna Pegoretti 5 «Nelle scuole delli religiosi»: materiali per Santa Croce nell’età di Dante Anna Gabriella Chisena 57 Miti astrali e catasterismi nel cielo dantesco: le Orse, Boote e la Corona di Arianna LECTURAE Saverio Bellomo 79 I destini del corpo e dell’anima: lettura di PurgatorioIII NOTE Sandra Carapezza 93 «Grazia divina e precedente merto». L’epistola di Gia- como come fonte della speranza Alberto Cadioli 107 Intertestualità dantesche negli scritti di Antonio Baldini RECENSIONI Antonio Montefusco 125 Rec. a Dante Alighieri, Le opere, volume V, a c. di M. Ba- glio, L. Azzetta, M. Petoletti e M. Rinaldi Antonio Montefusco 125 Rec. a Dante Alighieri, Epistole, a c. di Marco Baglio Luca Fiorentini 132 Rec. a Dante Alighieri, Epistola a Cangrande, a c. di Luca Azzetta Giuseppina Brunetti 138 Rec. a Dante Alighieri, Egloge, a c. di Marco Petoletti Sylvain Piron 146 Rec. a Dante Alighieri, Questio de aqua et terra, a c. di Michele Rinaldi Gaia Tomazzoli 151 Rec. a John Freccero, In Dante’s Wake Sara Granzarolo 155 Rec. a Nicolò Mineo, Dante. Dalla “mirabile visione” a “l’altro viaggio” Paolo Pizzimento 158 Rec. a Thomas Klinkert e Alice Malzacher, Dante e la cri- tica letteraria SAVERIOBELLOMO (Università Ca’ Foscari, Venezia) I DESTINI DEL CORPO E DELL’ANIMA: LETTURA DI PURGATORIOIII ABSTRACT La lectura, dopo avere individuato tre direttrici tematiche nel canto, una di ordine strut- turale relativa alla natura del purgatorio, una di carattere religioso e una politico, ne illustra l’abile connessione in unità narrativa. Virgilio ha un ruolo essenziale, perché rappresenta il misterioso discrimine creato dalla Redenzione, lui confinato al limbo nonostante la sua innocenza, in contrasto con Manfredi, salvo nonostante i suoi orribili peccati; d’altra parte introduce il motivo del corpo, ricordando l’onorevole traslatiodelle sue spoglie mortali in opposizione a quella del re svevo sine luce et sine cruceabbandonate alle intemperie, come il cadavere del virgiliano Palinuro che per ciò è escluso dall’Ade, a mostrare come per il cristiano, diversamente che per il pagano, il destino del corpo non è determinante per la salvezza. Quanto al tema politico, non si ravvisa un cambiamento di posizioni in senso ghi- bellino rispetto alla condanna come epicureo di Federico IIa Inf. X, ma piuttosto una so- stanziale equanimità nel giudizio del poeta che scinde l’uomo dalla funzione. Semmai è evidente una costante polemica antiangioina. The article illustrates the able narrative interconnection in the canto of three main themes, religious, political, and structural, this last with regard to the physical configuration of purgatory. Virgil has a crucial role in the canto because the contrast drawn between him and Manfredi – the former damned to limbo despite his innocence, the latter saved despite his horrible sins – reenacts the mystery of the criterion at work in Christian redemption; he also introduces the motif of the body when he mentions the honorable traslatioof his own remains, in contrast to those of the Swabian king, abandoned sine luce et sine cruceto the weather’s mercy: like the cadaver of Virgil’s Palinurus, barred from Hades, the point being that unlike pagans Christians are not lost to salvation when they do not receive proper burial. As to the political theme, the canto manifests not a pro-Ghibelline change of stance, with respect to the condemnation of Frederick IIas an Epicurean in Inf.X, but rather the poet’s equanimity of judgment, able to distinguish the man from his function. The only sure political stance in the episode is the consistent anti-Angevin polemic. Il canto IIIè uno fra i più densi di motivi e temi pur eterogenei, ma fusi tra loro in una mirabile unità narrativa1. Anzitutto è un canto ancora proemiale, perché portatore di informazioni funzionali alla definizione dell’intero purgatorio, di ordine strutturale e narrativo. Poi tratta questioni teoriche di carattere religioso e infine ha un chiaro 1Come sempre accade per la Commedia, la bibliografia sul canto è vastissima, ma la più recente è abbastanza ben controllabile attraverso la Bibliografia dantesca internazionaleon line e la prece- dente, almeno fino al 1950, grazie a E. ESPOSITO, Bibliografia analitica degli scritti su Dante, 1950- 1970,Firenze, Olschki, 1990. Per questo limito le indicazioni bibliografiche al minimo indispensabile. 80 SAVERIOBELLOMO contenuto politico. Ma vediamo partitamente come vengono declinati questi di- versi temi. La «subitana fuga» cui si riferisce il primo verso del canto è variazione di categoria grammaticale dei lemmi «subitamente» e «fuggir» che compaiono a Purg.II, 128 e 131 e si riferisce al disperdersi delle anime rimproverate dal severo Catone per essersi fatte distrarre dal canto ammaliatore del musico Casella che aveva intonato la canzone Amor che ne la mente mi ragiona. Il canto IIsi conclude con il volo disordinato delle anime/piccioni spaventate che lasciano soli Dante e Virgilio. Proprio il ritorno alla solitudine dei due poeti, dopo essere stati circondati dalla calca della «masnada fresca» (Purg.II, 130), consente una pausa di riflessione sul rimorso di Virgilio, eccessiva- mente amaro in relazione al piccolo errore di avere anteposto le lusinghe della musica e della poesia alla necessità di continuare il cammino, senza perdere tempo, dono pre- zioso da non sprecare. Tale rimorso, che come vedremo è funzionale a una riflessione sulla giustizia divina, tocca meno, a quanto pare, chi invece aveva una maggior re- sponsabilità in tale indugio, cioè colui che aveva invitato Casella a cantare ed era au- tore della canzone. Per Dante il senso di colpa si realizza solamente sotto forma di un pensiero fisso che per un po’ non gli consente di interessarsi al nuovo ambiente. Sicché il monte del purgatorio compare alla sua vista e alla sua coscienza all’improvviso, acuendo l’impressione di meraviglia per la sua straordinaria altezza: Quando li piedi suoi lasciar la fretta, che l’onestade ad ogn’atto dismaga, la mente mia, che prima era ristretta, lo ’ntento rallargò, sì come vaga, e diedi ’l viso mio incontr’al poggio che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga. (Purg.III, 10-15) La montagna del purgatorio, cui solamente si accenna nei canti precedenti (cfr. Purg.I,82, 108; II,60) e la cui altezza si desume solo dall’implicito e allusivo colle- gamento a Purg.I,131-32 con l’altissima «montagna, bruna» di Ulisse (Inf. XXVI, 133-35), qui finalmente occupa un posto preminente2a disegnare il paesaggio del purgatorio, base della condizione itinerale che costituisce il fondamento della dimen- sione narrativa della Commedia, e base della struttura allegorica generale che ne co- stituisce la dimensione ideologica. Altitudine e ripidezza con la connessa difficoltà di salita, patentemente allusiva alla difficoltà del percorso di purificazione, sono i caratteri della montagna posti in evidenza: il primo attraverso il neologismo «dislaga», che trae la sua efficacia sia dalla forte contrapposizione, grazie al prefisso dis-, con l’im- magine di una distesa piatta come un lago3, sia dalla climaxcostituita dai verbi pre- cedenti (pur non riferiti al monte) «ristretta» (v. 12) e «rallargò» (v. 13); il secondo per mezzo del confronto iperbolicamente impari con la costa ligure (vv. 49-51), in base a uno schema retorico di progressivo superamento4. 2Cfr. M. SCORRANO, Dall’abbandono alla bontà riconquistata («Purgatorio» III), in «L’Ali- ghieri», XL, n.s. 41 (2000), pp. 53-71, alle pp. 54-57. 3Da confrontare con Par.XXVI,139 in cui la montagna del purgatorio è detta il «monte che si leva più da l’onda». 4H. LAUSBERG, Elementi di retorica, trad. it., Bologna, Il Mulino, 1969, § 73. LETTURADIPURGATORIOIII 81 Noi divenimmo intanto a piè del monte; quivi trovammo la roccia sì erta, che ’ndarno vi sarien le gambe pronte. Tra Lerice e Turbìa la più diserta, la più rotta ruina è una scala, verso di quella, agevole e aperta. (vv. 46-51) Intanto, la superba montagna distoglie lo sguardo di Dante da Virgilio, ma gli consente di notare che sulla parete si staglia solo la sua ombra e non quella della «fida compagna» (v. 4) alla quale si era proprio allora avvicinato in cerca di sicu- rezza e di una guida. Un’ombra lunga ed evidente la sua, perché il sole del mattino «dietro fiammeggiava roggio» (v. 16) ancora basso sull’orizzonte. Il sole che, preannunciato già a Purg.I, 115, caratterizza la nuova condizione di luminosità al confronto col buio infernale, con il relativo significato simbolico5, ora viene presentato attraverso la sua negazione, e cioè l’ombra che produce il corpo di Dante rivelandone la opaca materialità. Il fenomeno colpisce fortemente il poeta – si pensi alla perifrasi per indicare Mordret «a cui fu rotto il petto e l’om- bra» (Inf. XXXII, 61) – che forse è influenzato dall’attenzione riservatagli anche dalla pittura coeva di Giotto. Ma l’ombra non è prodotta dal corpo diafano degli spiriti e consente così il riconoscimento della presenza di un vivo, inaugurando, con il connesso stupore per l’eccezionale privilegio concesso al poeta, una fortu- nata modalità di agnizione impiegata nel prosieguo del canto e della cantica6 in sostituzione di quella esperita a Purg.II,67-68 basata sul respiro. Come color dinanzi vider rotta la luce in terra dal mio destro canto, sì che l’ombra era da me a la grotta, restaro, e trasser sé in dietro alquanto, e tutti li altri che venieno appresso, non sappiendo ’l perché, fenno altrettanto. (vv. 88-93) Inoltre la mancanza d’ombra di Virgilio suggerisce un complementare sviluppo del narrato: il timore di Dante di aver perduto la sua guida e con ciò le rassicura- zioni di quest’ultima apparentemente anche troppo ampie. Apparentemente, ap- punto, perché servono a mettere in luce due aspetti della figura di Virgilio funzionali, nell’economia del canto, a porsi in contrasto con la vicenda terrena e ultraterrena di Manfredi: vale a dire l’onorevole destino del suo corpo e per contro la triste sorte del suo spirito tormentato da un inappagabile desiderio e relegato nel limbo. Meglio si delineeranno questi temi nel prosieguo della lettura, ma per ora bisognerà notare l’affiorare del problema di come gli spiriti possano patire tormenti fisici, questione sì squisitamente teologica, affrontata infatti anche da Sant’Ago- stino (Civ. DeiXXI,10), ma con ricadute poetiche e strutturali nel poema. Infatti, la possibilità che essi hanno di subire pene corporali è condizione necessaria alla 5Cfr. Conv.III.xii, 7: «Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che ’l sole». 6Cfr. Purg.V,34; XXIII, 113-14; XXVI,7. 82 SAVERIOBELLOMO rappresentazione dell’inferno e anche del purgatorio, sul piano di una verosimi- glianza che non sia in contrasto con le convinzioni teologiche. Non per caso il pro- blema, non pacifico all’epoca se gli averroisti, e ad esempio Sigieri di Brabante, dubitavano che le anime potessero avere tormenti fisici7, verrà affrontato ampia- mente nel canto XXV; là verrà risolto parzialmente con una teoria più poetica che scientifica, mentre qui con un richiamo all’imperscrutabilità della mente divina, che serve al poeta, attraverso le dolenti parole di Virgilio, per riallacciarsi al tema del discrimine operato dalla Redenzione tra pagani e cristiani, in termini di cono- scenza della verità e della salvezza, centrale, come si vedrà, in questo canto. «Vespero è già colà dov’ è sepolto lo corpo dentro al quale io facea ombra: Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto. Ora, se innanzi a me nulla s’aombra, non ti maravigliar più che d’i cieli che l’uno a l’altro raggio non ingombra. A sofferir tormenti, caldi e geli simili corpi la Virtù dispone che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli. Matto è chi spera che nostra ragione possa trascorrer la infinita via che tiene una sustanza in tre persone. State contenti, umana gente, al quia; ché, se potuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria; e disïar vedeste sanza frutto tai che sarebbe lor disio quetato, ch’etternalmente è dato lor per lutto: io dico d’Aristotile e di Plato e di molt’altri»; e qui chinò la fronte, e più non disse, e rimase turbato. (vv. 25-45) Alle pendici del monte avviene il primo incontro con anime espianti, quelle degli scomunicati. Il loro incedere è tanto lento da essere impercettibile, come lento e tardivo fu il loro pentimento. E così come ribelli e protervi nei confronti della Chiesa, ora sono l’immagine della mitezza. Come le pecorelle escon del chiuso a una, a due, a tre, e l’altre stanno timidette atterrando l’occhio e ’l muso; e ciò che fa la prima, e l’altre fanno, addossandosi a lei, s’ella s’arresta, semplici e quete, e lo ’mperché non sanno; sì vid’ io muovere a venir la testa di quella mandra fortunata allotta, pudica in faccia e ne l’andare onesta. (vv. 79-87) 7B. NARDI, Il canto di Manfredi («Purgatorio» III) [1964], in ID., “Lecturae” e altri studi dante- schi, a c. di R. Abardo, Firenze, Le Lettere, 1990, pp. 91-103, a p. 93. LETTURADIPURGATORIOIII 83 Comparatiodomestica per i particolari realistici, ma suggerita dalla tradizionale iconografia cristiana che nelle pecore raffigura i fedeli e richiama a distanza il «pa- stor di Cosenza» (v. 124) inadeguato alla sua funzione perché incapace di leggere bene nel volto di Dio. Essendosi pentiti in punto di morte ritardano il loro ingresso nel purgatorio di trenta volte il tempo nel quale vissero in tale condizione. Non lieve pena, perché il numero è utilizzato nella letteratura romanza per indicare un numero indetermi- nato molto elevato, tanto che la donna «ch’è sul numer de le trenta», auspicata compagna di quella crociera sui generis con Guido e Lapo, potrebbe ancora ri- spondere al nome di Beatrice, essendo cioè ‘al di sopra di moltissime’ e non ‘col- locata al numero trenta’ del famoso e perduto serventese sulle donne più belle di Firenze in cui Beatrice occupava il numero nove8. Che la scomunica non precluda necessariamente, prima o poi, il paradiso non è nozione eretica, ma pacificamente accolta, sull’autorità dei dottori della Chiesa, a cominciare da Sant’Agostino (cfr. De correptione et gratiaXV,46) e dai teologi come ad esempio San Bonaventura (In IVSent.dist. XVIII, a. 1 q. 1 resp. ad 1) e San Tommaso (Summa theol.III, Suppl., q. XXI, a. 4). Non in tale affermazione sta la scandalosa portata dell’assunto del canto, ma nell’avere scelto come exemplum Manfredi, due volte scomunicato e autore, per sua stessa ammissione, di “orribili peccati”. Memorabile la presentazione: Io mi volsi ver lui e guardail fiso: biondo era e bello e di gentile aspetto, ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso. (vv. 106-08) Dietro le fattezze di Manfredi il lettore medievale riconosceva quelle di David, l’archetipo del re saggio, «rufus et pulcher adspectu decoraque facie» (1 Sam.16, 12)9. Davide, il «cantor che per doglia / del fallo disse “Miserere mei”» (Par.XXXII, 11-12) condivide con Manfredi non pochi aspetti, perché è re, è bello, è peccatore ed infine penitente e, perché no, in quanto autore dei Salmi, dedito alla musica come pare fosse il re svevo10. Manfredi nacque nel 1232 e morì nel 1266. Dante, che non fece in tempo a ve- derlo di persona, lo immagina dunque a trentaquattro anni nel pieno della gioventù e con le fattezze che i cronisti gli attribuivano. «[F]ue bello del corpo come il padre», ci racconta il Malispini e conferma Saba Malaspina, che assicura anche che fosse biondo, come del resto si addiceva al suo sangue normanno ereditato 8R. MANETTI,Dall’edizione di Francesco di Vannozzo (con una postilla su “trenta” come numero indeterminato), in «Studi di Filologia Italiana», LXIV(2006), pp. 51-64, alle pp. 60-64. 9A meno che non sia una formula generica in stile epigrafico, come mostra il riscontro in una la- pide medievale addotto da S. CARRAI, Dante e l’antico. L’emulazione dei classici nella «Commedia», Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2012, pp. 57-58. Si veda anche, come luogo parallelo, Chanson de Roland, v. 2278 «bels fut e forz e de grand vasselage». 10Pone in evidenza le analogie A. CASSATACONTIN, Le ferite di Manfredi: un’ipotesi, in «Giornale storico della letteratura italiana», CLXXXIII(2006), pp. 96-130, di cui però non mi sembrano condivi- sibili le estreme conseguenze tratte dal parallelo. 84 SAVERIOBELLOMO dalla nonna Costanza d’Altavilla e tedesco degli Hohenstaufen: «Erat [...] homo flavus, amoena facie, aspectu placibilis, in maxillis rubeus, oculis sidereis, per totum niveus, statura mediocri»11. La congiunzione «ma» (v. 108) ha forte valore disgiuntivo: la ferita sull’occhio, che pare storicamente accertata12, deturpa il bel volto, ma, come l’altra in pieno petto non per caso ostentata dal re svevo, costitui- sce la prova d’una morte coraggiosa in battaglia. Quand’io mi fui umilmente disdetto d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»; e mostrommi una piaga a sommo ’l petto. (vv. 109-11) Manfredi era figlio illegittimo di Federico IIe di Bianca «bella donna de’ Mar- chesi Lancia di Lombardia». Come il padre possedeva una cultura vasta e raffinata ed era amante della musica in quanto «sonatore e cantatore»13. A lui si deve la pre- fazione del De arte venandi cum avibusdel padre e la traduzione dall’ebraico del Liber de pomo sive de morte Aristotelis, breve trattato sotto forma di cronaca della morte del filosofo sull’immortalità dell’anima e sul premio futuro. Dante reagisce alla propaganda guelfa che gli rinfacciava la nascita illegittima e lo chiama pro- vocatoriamente «benegenitus» nel De vulgari eloquentia. Inoltre indica lui e il padre come i principi mecenati per eccellenza: «illustres heroes [...] nobilitatem ac rectitudinem sue forme pandentes, donec fortuna permisit, humana secuti sunt, brutalia dedignantes. Propter quod corde nobiles atque gratiarum dotati inherere tantorum principum maiestati conati sunt, ita ut eorum tempore quicquid excel- lentes animi Latinorum enitebantur primitus in tantorum coronatorum aula prodi- bat; et quia regale solium erat Sicilia, factum est ut quicquid nostri predecessores vulgariter protulerunt, sicilianum vocaretur» (DveI.xii, 4). Non sfugge la particolarità, su cui torneremo, dell’autopresentazione di Man- fredi che indica la sua discendenza non dal padre, ma dalla nonna paterna, Costanza d’Altavilla, sposa di Enrico VIdi Svevia: Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi, nepote di Costanza imperadrice; ond’io ti priego che, quando tu riedi, vadi a mia bella figlia, genitrice de l’onor di Cicilia e d’Aragona, e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice». (vv. 112-17) «Altro» si diceva, eccome. Nessuno poteva pensare che i suoi “orribili peccati” sarebbero stati perdonati dal Padreterno per un estremo, ma sincero, atto di penti- mento. 11S. MALASPINA, Rerum sicularumIII, 13, in MGHXXXV. 12Cfr. BARTOLOMEODANICASTRO, Historia sicula, in RIS2XIII, p. 6 «telo percussus arundineo in oculo dextro prostatur». 13Storia fiorentina di Ricordano Malispini col seguito di Giacotto Malispini dall’edificazione di Firenze sino all’anno 1286. Ridotta a miglior lezione e con annotazioni illustrata da Vincenzio Follini [...], Firenze, Ricci, 1816, cap. CXLIV, p. 120.

Description:
John Scott, Claudia Villa, Tiziano Zanato. I collaboratori sono pregati Luca Fiorentini 132. Rec. a Dante Alighieri, Epistola a Cangrande, a c. di Luca.
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