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Bianco Americano PDF

530 Pages·2007·2.01 MB·Italian
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STEPHEN L. CARTER BIANCO AMERICANO (New England White, 2007) A Annette Windom Perché se la prendono tutti con gli economisti, se delle ultime cinque recessioni ne hanno predette correttamente tredici? CLASSICA BATTUTA DELL'AMBIENTE UNIVERSITARIO Prologo LANDING IN ESTATE Le chiacchiere corrono dietro ai morti come mosche, e noi persone per- bene le seguiamo. Nessuno di noi è pettegolo, ma a tutti piace ascoltare chi lo è. E se qualcuno fosse capitato nella cittadina di Tyler's Landing nelle prime settimane dopo la fine delle indagini, quando anche gli ultimi croni- sti erano tornati a casa, e si fosse fermato da Cookie's Place in Main Street a comprare l'uvetta ricoperta di cioccolato, specialità della casa, avrebbe avuto modo di sentire dalla voce della paffuta Vera Brightwood di chi era, di chi non era e di chi non era mai stata la colpa. Secondo Vera, tutto il pasticcio cominciò non a novembre, quando quel docente di colore si fece ammazzare, ma nove mesi prima - diciamo a feb- braio -, in una sera d'inverno inaspettatamente soffocante, quando la bella Vanessa Carlyle, sedici anni anagrafici e cinquanta effettivi, per i maligni, incendiò la Mercedes blu notte del padre nel parco municipale. Sì, proprio così, fa Vera, proprio quel Carlyle, quello che stando a Joe Vaux dell'uffi- cio postale riceve lettere indirizzate al "Magnifico": incredibile quante arie si dia certa gente al giorno d'oggi. Tu, l'interlocutore, sorridi e ascolti, go- dendoti l'estate luminosa del New England dalla grande vetrina del nego- zio. La parola che viene in mente ascoltando Vera Brightwood è "garrula". Per lei un lamento tira l'altro, e anche se ti assicura subito di non avere nul- la contro i Carlyle, sono sei anni che va dicendo in giro - e adesso lo dice a te - che il Municipio non avrebbe mai dovuto autorizzarli a costruire quella casa gigantesca sul terreno dei Patterson. Il che la riporta all'incendio. D'accordo, nel suo racconto c'è qualche particolare che non quadra. Per e- sempio, è stato definitivamente accertato che Vanessa quella sera non par- lò affatto con il professore, anche se si dà il caso che entrambi siano di co- lore, precisa Vera. Ma Vera è fatta così. Per lei i racconti sono come i dol- ciumi: bisogna renderli più appetitosi di quelli del negozio accanto, altri- menti si perde la clientela. La sua tecnica collaudata consiste nell'enfatiz- zare un piccolo dettaglio qui, aggiungere una chiacchiera più succulenta lì e, voilà!, ecco una prelibatezza pronta da decorare alla grande. Magari Ve- ra non sarà sempre precisa, ma non è mai noiosa. E comunque, che male c'è ad ascoltare? Cookie's Place è la versione locale del Café de la Régence a Parigi, e quello che si diceva del secondo vale spesso per il primo: presto o tardi, chiunque conti qualcosa un salto ce lo fa. Bene o male è conosciuto in mezzo Stato, non solo fra le tremila anime della cittadina. Corre voce che parecchio tempo fa Woody Allen ci abbia girato qualche scena di un film; Vera però non ne parla, quindi probabilmente non è vero. Ma forse sì. All'interno, i ripiani sono di marmo bianco lucido, screziato di verde, e l'insegna rosso brillante della Coca-Cola risale agli anni Cinquanta. Il ne- gozio è composto da un unico locale che sembra sconfinato ma non sarà più di sei metri per nove; il resto è solo l'effetto ottico degli specchi. I dol- ciumi sono tutti sistemati dentro vasi e vetrine: bastoncini di menta di vari colori, lecca lecca con lunghe volute rosse, centinaia di caramelle dal cuore di gelatina, tartufi, pastiglie, stecche, mou, e poi distributori di mentine a forma di cassette della posta, di piccole Statue della Libertà e di Ford T, tubetti di caramelle, spiedini di caramelle e caramelle a forma di animale, otto gusti diversi di cioccolatini e tutto quello che un drogato di cacao può desiderare, fra cui un elegante intruglio antidietetico, invenzione di Vera, detto "cioccolata di mirtilli". C'è sempre qualche novità. I profumi deliziosi ti fanno quasi perdere la testa, com'è giusto che sia. E tu, goloso o no, senti l'acquolina in bocca, preso dal desiderio di piaceri peccaminosi, e in men che non si dica stai già ordinando di tutto. Vera, donna di floridezza mostruosa, dalle guanciotte gonfie e rosee, con i capelli quasi bianchi ordinatamente raccolti in due crocchie, misura a occhio mezzo chilo di uvetta ricoperta di cioccolato e nel frattempo ti massacra i timpani, spiegando con quella sua voce roca da fumatrice come mai la casa dei Carlyle sia un problema. Quanto a te, a- scolti il racconto perché in realtà vuoi mettere le mani sull'uvetta. Vera parla della casa. Ha buone e fondate ragioni per dire che non a- vrebbero mai dovuto autorizzarne la costruzione: sarebbe stato meglio la- sciare il prato com'era, per i ragazzini che giocavano a softball; la casa ro- vina il panorama della vallata sotto la strada. E in ogni caso è troppo gran- de e pretenziosa, tutta spigoli e vetrate che riflettono il sole; addirittura, quando ci passi davanti sembra ammiccare, specie se la guardi con atten- zione (Vera, che abita oltre il laghetto artificiale da così tanto tempo da o- diare qualsiasi costruzione sorta nel raggio di chilometri, lo fa più spesso di quanto non voglia ammettere). A questo punto Vera ha un attimo d'esi- tazione, e sotto quella delicata pelle di porcellana qualcosa arde di rabbia. Convinto di avere a che fare con una pazza, cominci piano piano ad av- vicinarti alla porta, stringendo nelle grinfie l'uvetta ricoperta di cioccolato, ma Vera ti blocca con una parola. E la macchina? domanda. Allora ripensi alla storia della ragazza - come si chiamava? - Vanessa. Vuole sapere com'è andata? chiede lei. Certo, rispondi tu. Vera è ben contenta di raccontarti tutto, ma prima non gradisce anche dei cioccolatini? Quelli al burro e rum, con o senza noci, sono un'altra spe- cialità di Cookie's. Mentre lega intorno alla scatola verde brillante il carat- teristico nastro di stoffa intonato: nossignore, da lei niente scotch! esclama Vera. Ah, a proposito, deve essersi scordata di dire che mentre la macchina bruciava la bella Vanessa aveva tentato di tagliarsi le vene con un coltelli- no. Quando il racconto finisce, magari non sai ancora cosa pensare, però è certo che il tuo cuore palpita per Vanessa, e ovviamente per i suoi genitori, la sorella e i due fratelli. Vera parla tanto da lasciarti stordito, ma ha il do- no, sempre, di animare le sue storie, così che alla fine vedi tutto come se fossi stato presente: la Mercedes blu scintillante, nuova di zecca, presa in leasing da tre mesi, poco più di tremila chilometri percorsi, trasformata in una pira ruggente al calare di una sera d'inverno sul viale di cemento che porta al municipio di mattoni rossi e, da un lato, la ragazza scura, alta e magra, il bel viso seminascosto sotto un intrico di trecce, che sta tranquil- lamente seduta su una panchina di legno ad armeggiare con il coltellino, lavorando con impegno sulla pelle che rifiuta di spaccarsi. Povera piccola, conclude Vera, con una lacrima nell'occhio buono. Tu sei propenso a darle ragione. E sa una cosa? aggiunge sottovoce, cercando nel frattempo di farti com- prare un po' di Jelly Belly insieme all'uvetta, con tutto che la gente dell'u- niversità sta acquistando a più non posso perché ha deciso che ristrutturare una fattoria fa chic, in città ci sono solo cinque famiglie di colore. Sorpreso, tu chiedi se la gente tenga conto di queste cose. Lei ti domanda quali cose. Tu stai attento a formulare bene l'obiezione. Il numero delle famiglie a- froamericane che abitano qui, spieghi. Veramente ne tenete conto? Qualcuno di noi lo fa, sì, risponde Vera. E perché? Vera si piega verso di te. Ha l'alito acido, come se stesse fermentando dentro, e alza il suo sguardo giallognolo verso la porta, per controllare che non entri uno di quei liberal. Per i soldi, risponde in un bisbiglio. Ne te- niamo conto per i soldi. Non che abbiamo niente contro di loro, sia chiaro, ma ultimamente il mercato immobiliare da queste parti è piuttosto fiacco, e non s'è mai sentito di un posto dove il valore dell'immobile aumenta se si hanno dei vicini di colore. Lei mi faccia vedere un posto così e giuro che sarò la prima a sostenere quella storia dell'integrazione. Ah, e Vanessa a- vrebbero dovuto spedirla in prigione dopo l'incendio della macchina. Vera non ne può più dei favoritismi verso la gente di colore. Allibito, tenti di ribattere, ma Vera rifiuta di sentirsi in colpa. Dice che hai capito male, lei non ha né ha mai avuto nulla contro di loro, neanche all'epoca in cui davano fuoco a tutto e per farli smettere Lyndon B. Jo- hnson, pace all'anima sua, dovette chiamare la Guardia Nazionale. È quella stupida casa che non le va giù. Teste di rapa, dice fra i denti, ma non è chiaro a chi si riferisca. Decidi che è ora di andare. Ti lasci Vera alle spalle ed esci dal negozio, stordito dallo sfolgorante sole estivo, mentre le sue invettive ti ronzano ancora nelle orecchie. Sai so- lo che vuoi scappare il più lontano possibile da Landing. Trovi la macchi- na, sbatti gli occhi per schiarirti la vista e fili via rombando dalla cittadina; al diavolo il limite di velocità, quella donna è pazza. Sicuramente ci sarà un poliziotto nascosto dietro qualche cartellone pubblicitario, ma tu decidi di correre il rischio, perché dopo il racconto di Vera ti senti scosso e teme- rario. E magari la fai franca, perché la polizia locale non ha più i nervi a fior di pelle come qualche mese fa. La situazione ora è tranquilla quasi com'era a novembre - un interregno congelato -, quando l'incendio di Va- nessa era cosa passata e gli omicidi cosa futura, prima che il tempo facesse dietrofront e la storia entrasse a Landing a passo di marcia, gridando ven- detta: la seconda settimana di novembre, quando tutta la popolazione della ridente cittadina bianca di Tyler's Landing si sentiva "sicura". Da lì in poi le cose hanno preso un'altra piega. Prima parte MASSIMIZZARE L'UTILITÀ Funzione di utilità: in economia, misura delle preferenze del con- sumatore espressa dalla quantità di soddisfazione che egli riceve dal consumo di un insieme di beni o di servizi. Questa teoria si basa sul presupposto che le persone compiano uno sforzo raziona- le per massimizzare la propria utilità. Talvolta l'utilità di una per- sona dipende dall'utilità di un'altra. 1 SCORCIATOIA I Quel venerdì scomparve la gatta, arrivò una telefonata dalla Casa Bianca e la febbre di Jeannie - riferì la baby-sitter quando Julia chiamò dall'atrio di marmo pieno di echi di Lombard Hall, dove insieme al marito stava o- maggiando alcuni ambigui ex alunni dell'ateneo, due dei quali sotto inchie- sta e la cui unica virtù erano i soldi a palate - salì a trentanove e mezzo. Dopodiché, le cose andarono di peggio in peggio, come diceva nonna Vee; ma i modi di dire di Harlem che usava la nonna, nati al ritmo di un'epoca in cui la razza possedeva un elegante senso dell'umorismo, non sarebbero stati ben visti a Landing, e Julia Carlyle aveva da tempo imparato a evitar- li. Quello della gatta era il problema minore, anche se poi si rivelò un catti- vo auspicio. Rainbow Coalition, la puzzolente felina meticcia dei ragazzi, era già sparita altre volte, e di solito tornava; ogni tanto, però, capitava che prolungasse l'assenza, e allora veniva puntualmente sostituita da un'altra spaventosa creatura con lo stesso nome. La Casa Bianca era un altro paio di maniche. Il vecchio compagno d'università ed ex coinquilino di Lema- ster che ora occupava lo Studio Ovale telefonava almeno una volta al me- se, di norma per scambiare due chiacchiere, e Julia non aveva mai pensato che un presidente degli Stati Uniti d'America potesse fare una cosa del ge- nere. Quanto a Jeannie, be', la bimba viveva da otto anni buoni un'infanzia febbrile; era l'ultima di quattro figli, e sua madre ormai non si precipitava più a casa a ogni sbalzo del termometro. Il Tylenol e gli impacchi freddi avevano sconfitto qualsiasi virus si fosse azzardato ad attaccarla e avrebbe- ro fermato anche quello. Julia diede alla baby-sitter la tabella di marcia e tornò all'interminabile cena in tempo per sentire le battute conclusive di Lemaster. Mancavano undici minuti alle ventidue del secondo venerdì di novembre dell'anno del Signore 2003. La neve era arrivata presto intorno a Lombard Hall; era già alta cinque centimetri, e si prevedevano altre nevi- cate. Secondo la ricostruzione dei fatti di quella sera, effettuata successi- vamente dalla polizia, a quell'ora il professor Kellen Zant era già morto, mentre si dirigeva in città a bordo della sua automobile. II Continuavano a cadere grossi, soffici fiocchi di neve. Julia e Lemaster correvano a tutto gas lungo Four Mile Road, nella Cadillac Escalade nera d'ordinanza, dotata di tutti gli optional, che si confaceva al loro ruolo di coppia più prestigiosa del solitario avamposto afroamericano della contea di Harbor. Questa, almeno, era la visione che Julia aveva ancora di sé e del marito a sei anni dal trasloco in quello che il sagace Lemaster definiva il "cuore del biancore". Dopo il matrimonio, i Carlyle avevano quasi sempre abitato a Elm Harbor, la città più grande della contea, sede dell'ateneo di- retto dal marito. Avrebbero già dovuto esserci tornati, ma i lavori di ristrut- turazione della vecchia villa piena di spifferi che l'università riservava al rettore, fermamente imposti da Lemaster prima di accettare l'incarico, era- no tuttora in corso. Gli amministratori fiduciari dell'ateneo avevano temuto che spendere tanto per una residenza in un momento in cui era difficile trovare fondi per risanare le aule avrebbe suscitato reazioni negative; Le- master, però, come faceva sempre con il suo pubblico, si era dimostrato a un tempo ragionevole e irremovibile. "La gente ti apprezza maggiormente" aveva spiegato alla moglie "se per averti deve pagare più del previsto." "Oppure ti odia" aveva obiettato Julia. Ma Lemaster non aveva ceduto; perché, in famiglia, era il classico maschio antillano, cioè irremovibile. L'automobile correva. Davanti al parabrezza mulinavano quei fiocchi enormi, soffici e voluminosi da cui gli abitanti del posto capiscono che la tempesta sta avanzando lentamente e che il peggio deve ancora arrivare. Julia, sul sedile di pelle scura, era imbronciata e pensierosa perché aveva scambiato i nomi di due ex alunni, e per buona parte della serata aveva continuato a chiamare Charlotte una signora di nome Carlotta, che poi - con quel suo tono da ricca yankee - l'aveva rassicurata: non preoccuparti, cara, è un errore che fanno tutti. Lemaster, che in vita sua non aveva mai dimenticato un nome, aveva indotto tutti al sorriso grazie al suo fascino; ma come sa chiunque abbia mai provato a raccogliere fondi tra i ricchi, una minuscola scheggia d'offesa rischia di dimezzare una potenziale dona- zione, se non peggio, e, fra quella gente, metà poteva significare una som- ma a otto cifre. «Vanessa ha smesso di fare la piromane» disse Julia. Vanessa, ultimo anno delle scuole superiori, era la seconda dei loro quattro figli. Il primo e il terzo - i due maschi - studiavano entrambi in un'altra città. «Grazie per stasera» disse il marito. «Hai sentito cos'ho detto?» «Certo, amore mio.» Poche parole venate di incredulità e cariche di un'i- ronia non proprio britannica, ma quasi. «E tu hai sentito?» Con una sterza- ta leggera ma veloce evitò un animale che gli era guizzato davanti. «Lo so che detesti queste incombenze. Giuro che te ne farò sorbire il meno possi- bile.» «Andiamo, Lemmie, sono stata pietosa. Raccoglierai più soldi se mi la- sci a casa.» «Ti sbagli, Jules. Cameron Knowland mi ha detto di aver talmente ap- prezzato la tua compagnia che vuole aumentare il contributo di altri cinque milioni.» Quando era di cattivo umore, essere rassicurata era l'ultima cosa che Ju- lia voleva. Una tormenta in novembre era una cosa strana, e lei si domandò cosa presagisse. Sotto la sferza del vento, la neve formava cerchi concen- trici di biancore davanti ai fari, creando l'illusione che un gorgo stesse ri- succhiando la grossa automobile. Four Mile Road non era la via più breve per tornare a casa da Elm Harbor, ma i Carlyle avevano intenzione di pas- sare alla multisala a prendere Vanessa, che per la prima volta dopo parec- chio tempo era uscita con il suo ragazzo, "Quel Casey", come lo chiamava Lemaster. Dallo schermo del GPS sul cruscotto risultava che erano ben lontani dalla strada, segno che il navigatore non aveva mai sentito parlare di una via ufficialmente inesistente come Four Mile. Ma Lemaster non a- vrebbe rinunciato a una delle sue scorciatoie predilette neanche sotto la bu- fera, e le stradine di campagna che non figuravano sulle carte erano le sue preferite. «Cameron Knowland è un maiale» commentò Julia scandendo le parole. Il marito attese. «Sono contenta che la Commissione di controllo della Borsa gli stia con il fiato sul collo. Spero che finisca in galera.» «Non controllano lui, Jules. Controllano la società.» Detto con quel tono di lieve rettifica professorale che Lemaster prediligeva e che una volta, tanto tempo prima, amava anche lei. «Al massimo gli faranno una multa.» «Io so solo che continuava a guardarmi il décolleté.» «Dovevi dargli un ceffone.» Lei si voltò sorpresa, con una vaga sensa- zione di gratitudine. Lemaster rise. «Così Cameron avrebbe ritirato il suo contributo, ma Carlotta lo avrebbe raddoppiato.» Un breve silenzio coniugale, in cui Julia si sentì dolorosamente consa- pevole di aver malriposto in pieno, quella sera, la delicata e tutto sommato casta nonchalance che un quarto di secolo prima aveva fatto di lei la ragaz- za più ammirata del suo liceo nel New Hampshire. Come il marito, Julia era di statura appena più bassa della media, ma la sua pelle era di parecchie sfumature più chiara rispetto a quella nerofumo di lui, perché suo padre, che lei non aveva mai conosciuto, era un caucasico, come Lemaster si o- stinava a definirlo. Per la sua statura minuta, gli occhi grigi erano singo- larmente grandi. Una graziosa fossetta ingentiliva il mento appena un po' sporgente. Le labbra erano leggermente incurvate, in modo seducente: quando sorrideva, la metà sinistra della grande bocca si sollevava un po' più della destra, a riprova dei suoi taciti sentimenti progressisti, amava dire Lemaster. Julia aveva fama di riscuotere facilmente simpatie, ma c'erano giorni in cui tutto le sembrava finto, forzato. Era l'ambiente universitario a farle quell'effetto. Quando Lemaster era tornato da Washington per dirige- re l'ateneo, Julia era vicepreside della facoltà di teologia da quasi tre anni, e l'ascesa del marito aveva in qualche modo rafforzato in lei la sensazione di non appartenere a quell'ambiente. Nell'anno e mezzo in. cui Lemaster aveva lavorato a Washington come consulente della Casa Bianca, Julia e i figli erano rimasti a Landing. Lui si faceva in quattro per passare il fine settimana a casa, e la gente, per spiegare la sua assenza, inventava chiac- chiere spassose, nessuna delle quali era vera; ma, come ripeteva sempre nonna Vee, la verità conta solo se tu vuoi che conti. «Sei proprio uno sciocco» disse Julia, anche se il marito era tutto meno che uno sciocco, cosa che la metteva spesso a disagio. Guardò fuori dal fi- nestrino. Accanto alla macchina sfrecciavano alberi imbiancati, perlopiù conifere; la neve era arrivata presto. Non era ancora inverno, anzi, non era ancora niente se non la lunga e gelida stagione pre-Ringraziamento in cui i negozi dichiaravano che il Natale era alle porte ma tutti sapevano che fa- ceva freddo e basta. Avendo trascorso la maggior parte dell'infanzia a Ha- nover, nel New Hampshire, dove la madre insegnava nell'ateneo di Dar- tmouth, Julia era abituata alla neve precoce; ma quella era un'assurdità. «Possiamo parlare di Vanessa?» «Cioè?» «Cioè degli incendi. Ha smesso, Lemmie.» Silenzio. Lemaster armeggiò con la radio satellitare e senza chiedere il suo parere cambiò stazione, passando dai musical di Broadway che le pia- cevano tanto - nonna Vee li adorava, e quindi li adorava anche lei - alla sua passione segreta: la frangia più ribelle, inquieta e meno commerciale dell'hip-hop. Il display informò Julia con lettere verdi e brillanti che la ma- gniloquenza licenziosa e furibonda che stava assaltando i suoi timpani da nove casse acustiche apparteneva a tali Goodie Mob. «E come fai a sapere che ha smesso?» le domandò lui. «Be', intanto è un anno che non dà più fuoco a niente. E poi lo dice an- che il dottor Brady.» «Sono nove mesi» precisò Lemaster. «E Vanessa non è figlia di Vincent Brady» aggiunse, stringendo leggermente le dita affusolate intorno al vo- lante, per prudenza, non per collera, Perché il tempo, da abominevole che era, stava diventando atroce. Julia gli lanciò un'occhiata e abbassò la musi- ca martellante, sperando che una volta tanto il marito avesse voglia di par- lare; ma lui aveva allungato il collo nel tentativo di vedere meglio, perché la neve stava scendendo a fiocchi pesanti, troppo velocemente per i tergi- cristalli. Lemaster portava un paio d'occhiali con la montatura di metallo, e i baffi e il pizzetto erano talmente curati che sarebbero rimasti invisibili sulla sua levigata pelle d'ebano se non fosse stato per i mille puntini grigi che si spostavano con la mascella ogni volta che apriva bocca. «Che sba- glio» disse, ma Julia ci mise un po' a capire che il marito si riferiva allo psichiatra e non a uno dei tanti nemici che sorprendentemente, senza nes- suno sforzo, aveva già collezionato in sei mesi di rettorato. Julia era rimasta di sasso quando il giudice aveva ordinato di scegliere fra una terapia intensiva o la condanna al carcere. Vanessa si era allegra- mente offerta di scontare la pena - "Non si può dire che non me la sia meri- tata" -, ma Julia, che aveva fatto volontariato nel locale istituto di correzio- ne per minori, sapeva come funzionava. Sua figlia - artistica, intelligente, svagata - non sarebbe sopravvissuta più di due giorni in mezzo a adole- scenti dalla scorza dura, pizzicate sulla strada e scaricate là dentro. Come diceva sua nonna, ci sono i nostri neri e ci sono gli altri, e in cuor suo Julia ci aveva sempre creduto. Perciò Lemaster aveva scelto Brady, un docente della facoltà di medicina ritenuto uno dei migliori psichiatri dell'età evolu- tiva di tutto il paese, e Julia, che come Vanessa avrebbe preferito una don- na, o perlomeno un esponente della nazione scura, non aveva fiatato. Vent'anni prima non avrebbe mai immaginato di poter diventare una mo- glie del genere. Vent'anni prima non avrebbe mai immaginato tante cose. «Cameron mi ha parlato di un fatto interessante» proseguì Lemaster, de- cidendo che Julia era rimasta sulle spine a sufficienza. Passarono davanti a due cavalli grigi chiusi in un recinto, con una coperta sulla groppa, che guardavano con occhi scintillanti lo scarso traffico notturno senza preoc- cuparsi delle condizioni atmosferiche. «Un paio di settimane fa ha ricevuto una telefonata stranissima.» Una risata sicura, controllata, la mano solleva- ta dal volante con enfasi, lo sguardo gongolante diretto verso Julia. Lema- ster adorava portarsi in vantaggio su chiunque gli stesse intorno, e non fa- ceva eccezioni per sua moglie. «Da un tuo vecchio amico, fra l'altro. A quanto pare...» «Lemmie, attento! Attento!» Troppo tardi. III Nel New England tutti sanno che di notte nei boschi innevati c'è rumore. Strida di animali, il fischio del vento, scricchiolii di rami spezzati: nor- malmente c'è parecchio da sentire. Le cose cambiano se la tua Escalade è finita in un fosso, con il motore che sibila e scoppietta senza posa, mentre i Goodie Mob stanno ancora hip-hoppando dalle nove casse acustiche. Julia si tirò fuori da sotto l'airbag, la mano tesa del marito pronta ad aiutarla, e guardò con un brivido, su e giù, il solco nella neve che era Four Mile Road. Lemaster le copriva il viso con le mani. Confusa, lei le scansò con uno schiaffo. Lui, pazientemente, la costrinse a girarsi, e Julia si rese conto che le stava chiedendo se stesse bene. Lemaster aveva del sangue, molto sangue, sulla fronte e in bocca. Ora toccava a lei fargli la stessa domanda, e a lui rassicurarla. Provarono entrambi i cellulari: niente campo. «E adesso che facciamo?» disse Julia, tremando per tanti ottimi motivi. Stava cercando di decidere se doveva arrabbiarsi con lui per aver distolto lo sguardo dalla strada subito prima di una curva stretta che in sei anni non si era mai spostata. «Aspettiamo la prossima macchina.» «Ma tu sei l'unico a prendere questa scorciatoia.» Dal fosso, Lemaster era risalito sulla carreggiata. «In dieci minuti ab-

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