Alain Danielou e l'Induismo "L'uomo deve sacrificarsi alla famiglia, deve sacrificare la famiglia alla casta, la casta al paese, il suo paese al mondo, e il mondo a se stesso" (Proverbio sanscrito) Alain Danièlou (19071994) nasce a Parigi da madre cattolica e da padre anticlericale. Trascorre gran parte dell'infanzia in campagna con dei precettori, una biblioteca ed un pianoforte. Impara subito ad amare la musica, più tardi si dedicherà alla pittura e alla danza. Alain Danièlou studia in Francia e negli Stati Uniti dove vende i suoi quadri e suona il pianoforte. Viaggia in Africa del nord, Medio Oriente, Cina, Giappone ed Indonesia. Nel 1949 è nominato professore incaricato di ricerche presso l'università di Benares, nel 1954 prende la direzione a Madras del Centro ricerche della biblioteca di Aydar (una delle più ricche dell'India). Nel 1956 è membro dell'istituto francese d'indologia di Pondichery, prosegue i suoi viaggi e le ricerche dall'Indocina all'Iran dove registra per la prima volta i più antichi monumenti della musica tradizionale. Diviene nel 1959 addetto alla Scuola francese d'Estremo Oriente a Parigi e nel 1960 consigliere del Consiglio Internazionale della Musica (UNESCO). Portando la sua attenzione in ogni cosa Alain Danièlou è in grado di svolgere bene 32 mestieri, conosce il Sanscrito, parla correntemente l'hindi, con la sua intelligenza poliedrica si applica sia agli studi che alle attività manuali. Proprio per questo Danièlou non è classificabile in nessun ruolo specifico. Schivo, misterioso e segreto Alain Danièlou pubblica le sue opere per il puro piacere della conoscenza, i suoi libri sono per pochi. A quelli che si rivolgono a lui come maestro il nostro Autore risponde che non è e non sarà mai un maestro, quello che colpisce di più in lui è, infatti, una voglia costante di scoprire cose nuove, un non sentirsi mai arrivato, il non salire in cattedra e, grazie alla libertà del suo spirito, il poter dire il contrario di quello che aveva sostenuto poco prima se una nuova conoscenza o ragione lo sfiora. Dopo un viaggio in Oriente con il suo amico fotografo Remon, nel 1932 Alain Danièlou si stabilisce a Benares. Dal terrazzo della sua casa vede i pellegrini che si bagnano nel Gange. Per anni legge solo sanscrito e, nella sua mente, fa tabula rasa di ogni apprendimento occidentale per poter entrare profondamente e totalmente nella cultura induista. Essendo straniero in India appartiene alla casta dei Lekka (barbari) quindi non può recitare i Veda né entrare nella casa dei Bramani, il suo maestro gli insegna i Mantra e viene soprannominato Shiva Sharami (il protetto di Shiva). Alain Danièlou vive tutto questo con estrema naturalezza e lascia che il destino compia per lui ciò che la vita ha stabilito. Alain Danièlou si dedica alla musica, ne è affascinato, perché la musica è intuitiva e comunica con le strutture sottili del mondo, basata su rapporti numerici che producono in noi emozioni e visioni, la musica è una chiave della conoscenza e del sapere. In particolare Alain Danièlou si dedica alla musica classica per conservarla per le generazioni future e non far naufragare la memoria, dona all'UNESCO la prima antologia di musica classica indiana. Danièlou sostiene che l'induismo può sconvolgere l'Occidente e portare un nuovo Rinascimento. Contrario al colonialismo, all'imperialismo, al comunismo ed alle religioni monoteiste Alain Danièlou riesce a mettere in evidenza tutti i limiti dell'Occidente nemico della natura e della creazione ed ostile verso la sessualità. Secondo il culto di Shiva il piacere e la sessualità sono indispensabili all'esistenza umana: realizzarsi nei giochi erotici è partecipare all'ordine naturale e raggiungere quindi la liberazione. Il piacere è tensione creatrice del Cosmo e del suo Creatore, condizione della vita. Lo sviluppo stesso dell'Umanità è un insieme di atti positivi: l'Amore rappresenta l'unione di due esseri in un'unione dei contrasti nel non essere. (Shiva e Shakti). Lo Shivaismo da cui derivano il culto di Bacco e quello di Dioniso è la religione originaria: è una religione naturistica e non morale che crea i punti di contatto fra i diversi stati dell'essere, corrisponde ai bisogni dell'uomo di oggi come a quello di ieri. Nell'universo tutto fa parte del Divino, non esiste sacro e profano, alto e basso, ecc. Il Cristianesimo, dopo San Paolo, snatura completamente il messaggio di Cristo, la chiesa diventa uno stato imperialista, e la religione cristiana una prigione dogmatica dove non si trova Dio. Quando il Gange si ritira e le acque si allontanano dalla sua casa, Alain Danièlou coglie ciò come un segno, lascia Benares e torna in Occidente. Egli non vuole assistere all' "evoluzione" dell'India. Tornato in Europa fonda a Berlino e Venezia l'Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati. In Occidente trova malessere, vuoto e rumore: siamo infatti nell'era del Kaliyuga (crepuscolo dell'umanità) quindi aumentano il disordine, le guerre, i conflitti. Il Kaliyuga è l'era del culto degli idoli dove imperano volgarità e violenza. L'umanità mostra la sua parte più corrotta, egoista e senza morale, si dice che il Kaliyuga si concluderà con un cataclisma perché tutto si ribella. Quel che si può fare è andare controcorrente, collaborare con la creazione, creando un Karma per riavvicinarsi a Dio. Riconoscere i propri limiti e cercare l'armonia del mondo rifiutando ogni dogmatismo. Ci piace riportare qualcosa del pensiero induista che tanto ha impegnato il nostro autore e che coinvolge I quattro sensi della vita " L'uomo deve sacrificarsi alla famiglia, deve sacrificare la famiglia alla casta, la casta al paese, il suo paese al mondo, e il mondo a se stesso." (Proverbio sanscrito) L'indù vive nell'eternità. La cultura induista percepisce in ogni cosa, in ogni destino, la presenza immediata delle forze divine e considera perciò la storia come l'evento delle relazioni fra gli dei, gli esseri permanenti, e il mondo effimero dei viventi. Secondo la teoria cosmologica indù la materia non è che un'apparenza. L'universo è formato da relazioni energetiche. Se andiamo al fondo di qualsivoglia cosa ritroviamo il rapporto di una forza centripeta che condensa, di una forza centrifuga che disperde e del loro equilibrio che dà nascita al movimento circolare che determina il movimento degli astri come quello degli atomi. Non vi è nulla che sia in sé grande o piccolo, un istante non ha in sé meno durata di alcuni millenni. La dimensione spaziale o temporale non esiste se non in rapporto a degli esseri viventi le cui percezioni determinano una dimensione dello spazio e i cui ritmi vitali forniscono una misura del tempo, che sono dunque interamente relativi. I quattro sensi della vita sono: Dharma il dovere, la virtù, la realizzazione di sè sul piano morale; Artha l'acquisizione del successo e della ricchezza, la realizzazione di sé sul piano materiale; Kama il piacere, la realizzazione di sé sul piano sensuale e Moksha, la liberazione finale, la realizzazione di sé sul piano spirituale. Corrispondono ai 4 periodi di evoluzione della vita umana: Dharma/Infanzia, Kama/Giovinezza, Artha/Maturità, Moksha/Vecchiaia. Anche l'evoluzione dell'umanità è divisa in 4 età che cominciano con l'età della verità (Satyayuga) o età dell'oro e finiscono nel KaliYuga età dei disordini e dei conflitti (attualmente siamo nel KaliYuga). Quando si trova in uno stato di equilibrio ogni società è ripartita in 4 gruppi principali, da questa ripartizione sono nate le caste: classe intellettuale, classe guerriera, classe agricola e mercantile, classe operaia. Secondo la tradizione indù vi sarebbero state 4 creazioni successive, che corrispondono alle 4 razze umane. Le diverse razze si situano dunque a differenti livelli di evoluzione corrispondenti alle età della vita. Razza bianca (la più antica) casta dei preti; razza rossa casta dei guerrieri, nobili e re; razza gialla degli agricoltori e commercianti, razza nera degli operai. Ogni gruppo ha i vantaggi, diritti e doveri inerenti alla sua natura, al suo stato sociale. Ogni essere che ha ricevuto il dono della vita ha il dovere di trasmetterla. Quindi per gli indù la sola ragione che fonda la sacralizzazione del matrimonio sta nel fatto che esso deve avere come unico scopo la perpetuazione di una specie, di una razza. L'incrocio delle razze è nefasto. La divisione della specie umana in differenti gruppi razziali e sociali, che hanno attitudini differenti, ideali di vita, modi di espressione religiosa, artistica, intellettuale distinti, è un fatto etnico che non possiamo modificare. Uno dei principali problemi del mondo sta quindi nel prendere atto della realtà delle razze, di aiutarle nel loro sviluppo, di permettere loro di coesistere e di cooperare, avendo cura di evitare il loro incrocio, di assegnare a ciascuno i privilegi necessari per la felicità, l'equilibrio e il progresso intellettuale e spirituale senza fornire questi stessi vantaggi ad altri ai quali sarebbero nocivi. I bisogni degli uomini differiscono come quelli degli uccelli, dei bovini e dei leoni. Al di fuori del sistema delle caste, che assicura l'equilibrio tra le funzioni di ogni società, non è mai esistito e non può esistere alcun sistema che non si risolva nella supremazia tirannica di una delle caste, di una delle categorie sociali. Sono 4 anche i sistemi di governo tirannico: dittatura del clero, dittatura aristocratica, dittatura borghese e dittatura del proletariato. In nessuna di queste forme di governo c'è realmente una legge al di sopra degli interessi, delle idee e delle credenze del gruppo al potere. Tutte vivono di propaganda, lavaggi del cervello, oppressione, prigioni, roghi. Nelle dittature borghesi (capitalismo) per esempio le prigioni sono piene di persone della casta operaia condannate per piccoli furtarelli o altri "crimini" insignificanti, mentre i grandi borghesi per delle "appropriazioni" più o meno legali (essendo la legge fatta da loro e per loro) sono trattati con considerazione per quanto una solo delle loro malversazioni possa superare quelle di migliaia di prigionieri operai messe insieme. L'istituzione delle caste, spesso presentata come una forma di tirannia, è il solo modo per permettere a determinate razze e a talune forme molto antiche di cultura e di religione di sopravvivere e prosperare in un mondo da esse differente. La triste storia della scomparsa di numerose razze (polinesiani, aborigeni dell'Australia, indiani d'America, ecc.) con facoltà di adattamento meno sviluppate di quelle dei loro conquistatori avrebbe potuto essere facilmente evitata se un sistema intelligente di caste avesse protetto i loro costumi, modo di vita, sistema sociale, religione e quant'altro, invece di pretendere di volerli assimilare a una civiltà che esige un livello di sviluppo differente dal loro. Solamente inserendo l'Uomo nell'insieme della Creazione possiamo realizzare il senso della sua vita. Noi percepiamo il mondo attraverso la durata, lo spazio, la dimensione, la coscienza, l'immaginazione, la deduzione, l'intuizione, la sensazione e la percezione sensoriale. La forma di espressione comune alle differenti nozioni che possiamo avere della natura del mondo o dell'apparenza è di ordine matematico. Il linguaggio matematico sembra infatti essere la forma di espressione la cui natura più si avvicina a quella attraverso la quale il pensiero dell'Essere Cosmico si esprime nella Creazione. Quando nel sostrato della Coscienza Universale, immobile e neutra, appare un vortice, una tendenza che si polarizza, si manifesta un'intenzione, una tensione orientata: la prima nozione che si forma nella coscienza latente che si sveglia è quella della paura. Ritroveremo sempre la paura come motivo di base di ogni azione, credenza, religione, di ogni presa di coscienza non solamente sul piano dell'umano, ove possiamo agevolmente osservarla, ma sul piano dell'intera creazione animata, vivente o inerte, cosciente o incosciente. E' da questa paura fondamentale che nasce la Coscienza Cosmica, il desiderio di pensare, di creare, di produrre altro da se stessa, di durare e non solamente di essere in uno stato neutro eternamente senza forma. Il pensiero, quando appare nella Coscienza Cosmica, dà vita all'Universo o, più esattamente, l'Universo non è distinto da questo pensiero. E' dalla vibrazione generata da una prima tensione nel sostrato cosmico che nasce il desiderio di creare, fonte del pensiero cosmico che è l'Universo e che percepiamo come realtà apparente del mondo. Qui interviene il ruolo dei microcosmi, degli esseri viventi, che sono degli antiuniversi in miniatura, dei piccoli cosmi pensanti e coscienti, ma rovesciati, le cui percezioni forniscono all'Universo una dimensione, un'apparenza di realtà, danno al pensiero cosmico l'illusione di una realtà materiale. Situato alla cima della scala degli esseri viventi nel settore dell'Universo che egli percepisce, l'uomo svolge quindi un ruolo essenziale nel gioco del pensiero creatore, che cessa allora di essere un sogno poiché viene percepito dall'esterno. Concepito in questo modo l'uomo trova la sua ragion d'essere. I limiti stessi delle percezioni umane danno all'Universo la forma che i suoi sensi trasmettono alla sua coscienza. Il sogno divino assume una forma indipendente, determinata dai limiti delle percezioni del testimone, e la Coscienza Cosmica può infine, attraverso di lui, attraverso l'illusione di centri di esistenza indipendenti, vedere il suo sogno fuori di se stessa. L'Universo esiste nell'uomo per l'Essere Cosmico, come esiste nell'Essere Cosmico per l'uomo. E' attraverso e grazie a questo dualismo che la Coscienza Universale si manifesta. La realtà di un Universo particolare risiede dunque solamente nei limiti delle percezioni che ne hanno le coscienze individuali separate apparentemente, ma soltanto apparentemente, dalla Coscienza Universale. Il ruolo degli dei, degli spiriti, delle diverse specie di uomini o di animali, è quello di recettori che, attraverso i differenti limiti delle loro percezioni, forniscono diverse sfaccettature al sogno cosmico la cui realtà diviene una e multipla. Essi sono la controparte necessaria dell'Essere Cosmico onnisciente, dunque cosciente dell'irrealtà del suo sogno nel gioco della creazione che ha bisogno di plasmare delle coscienze limitate per darsi l'illusione della propria realtà. Gli esseri, come l'Universo al quale forniscono la realtà, non esistono quindi che nella misura stessa della loro imperfezione. Non potrebbe esistere alcun essere che contemporaneamente esista e sia senza paraocchi. Un angelo, un Dio, se "esiste", non può essere onnisciente. Quali che siano la durata e l'ampiezza delle coscienze microcosmiche, quale che sia il destino finale dell'essere umano, immortale o perituro _ ed è inevitabilmente, su piani diversi, entrambe le cose , il suo ruolo in quanto testimone è la spiegazione della sua natura, la giustificazione della sua esistenza. L'insieme delle leggi secondo le quali il mondo è creato, precede inevitabilmente la sua nascita. Il Dharma che è la legge naturale del pensiero creatore è la natura morale che regge e regola la natura profonda delle cose e la loro evoluzione; è l'oggetto di ogni conoscenza e di ogni scienza. La metafisica, la psicologia, la sociologia, sono quindi scienze esatte come la fisica o la matematica, poiché, come esse, sono ricondotte ad una ricerca delle leggi che esistono in se stesse al di là di ogni soggettivismo. L'errore delle società moderne sembra proprio essere ignorare il ruolo dell'umanità nel suo insieme, formata, come la foresta, apparentemente da esseri individuali ma il cui ruolo nella creazione è collettivo, e di non rispettare la gerarchia delle specie e d'altro canto rigettare le mutazioni, gli esseri eccezionali che sono i punti di riferimento dell'evoluzione. (Parigi, 4 ottobre 1907Losanna, 27 gennaio 1994) E' scomparso il 27 gennaio 1994 in una clinica di Lonay, vicino Losanna (Svizzera), il più grande personaggio del secolo XX°, un genio multiforme degno (forse) di venire immediatamente dopo Goethe, Michelangelo e Leonardo. Secondo le sue ultime volontà, il suo corpo è stato cremato "senza riti né cerimonie e la sua morte è stata per tutti la sua ultima, grande lezione: malgrado le terribili umiliazioni che la malattia gli aveva imposto per lunghi mesi era voluto restare cosciente e lucido fino all'ultimo soffio di vita, e nella più grande serenità. Nato a Parigi il 4 ottobre del 1907. Alain Daniélou aveva studiato in Francia e negli Stati Uniti, occupandosi di danza con Legat, di canto con Panzera, di composizione con Max d'Olonne. Partecipò al raid automobilistico ParigiCalcutta (un'impresa memorabile, nel 1934). Si legò a Cocteau, Diaghilev, Max Jacob, Maurice Sachs. Poi approfondì il suo interesse per la musica viaggiando in Africa settentrionale, in Medio Oriente, in Cina, Giappone, Indonesia mettendo radici per moltissimi anni in India (legandosi con un profondo senso di amicizia al poeta Rabindranath Tagore), a Santiniketan e a Benares, dove continuò a studiare e imparò il sanscrito e l'hindi, oltre alla filosofia, nelle scuole tradizionali. In questo grande mondo a parte con radici che lo collegano al resto della nostra cultura occidentale, Daniélou penetrò dappertutto, informandosi, studiando, chiedendo, interpretando, traducendo, scrivendo. Diventò perfino consigliere del partito ortodosso, il Jana Sangh. Nel 1949 ricevette un incarico presso l'università di Benares. Nel '54, a Madras, diresse il Centro delle Ricerche e della biblioteca di Aydar. Nel '56 divenne membro dell'Istituto Francese di Indologia a Pondichéry. Dopo il '59 entrò a far parte della Scuola Francese dell'Estremo Oriente di Parigi e più tardi era membro del Consiglio Internazionale della Musica dell'Unesco. Diresse l'Istituto di Studi Comparativi della Musica a Berlino (dal 1963 al 1977) e a Venezia (dal 1')69 al 1982), l'Antologia Unesco della Musica dell'Oriente e l'Antologia Unesco delle Fonti Musicali. Tutte queste attività non gli impedirono di continuare a viaggiare in tutto il mondo e di scrivere decine e decine di libri che ne hanno imposto la figura di studioso a livello internazionale. Un semplice elenco delle sue opere prenderebbe troppo spazio. Limitiamoci a ricordare l'eccezionale "Shiva e Dioniso". La "Storia dell'lndia" (1')70), "Le Chemin du Labyrinthe" (che è la sua autobiografia), "Le Polithéisme Hindou". e le traduzioni in francese di ''Manimekhalai ou le scandale de la vertu" e del "KamaSutra". "Son apport en cette fin de siècle", comme a dit son ami le plus proche Jacques Cloarec, "en panne complète d'idéologies sinon d'idées tout simplement, est le point fort de son influence ce qui fait que je l'aurai rapproché plus de penseurs comme Marx que de Goethe". "Il suo contributo al finire di questo secolo", ha detto Jacques Cloarec, l'amico che gli era più vicino, "del tutto privo di ideologie se non addirittura di idee, è il punto forte della sua influenza a tal punto che l'ho avvicinato più al pensiero di un Marx che a quello di un Goethe". Alain Daniélou è stato e resterà per lungo tempo la fonte più autorevole, in tutto il mondo occidentale, alla quale rivolgersi per avere una conoscenza seria, informata, non folkloristica, della spiritualità e della religiosità hindu alla quale, del resto, si era convertito assumendo il nome di "Protetto di Shiva" ("Shiva Sharan''). Al momento di regalarmi una copia autografata del suo "Kama Sutra", mi chiese se volevo essere io ad occuparmi della traduzione in italiano. Diedi un'occhiata al volume: più di 600 pagine con centinaia di parole astruse (Ujjvala Nilamani, Chhanda Vedânga, Mudhadûtî...) e di concetti non facilmenle digeribili. Non me la sentivo proprio di assumermi una simile responsabilità, anche se mi aveva garantito ogni assistenza ed anche se la sua fiducia in me arrivava al punto di avermi ribattezzato "le Pape des Homosexuels"! Così, e con molto dispiacere, declinai l'offerta di quello che considero uno dei sette maestri più decisivi nella mia formazione. Il fratello di Alain era stato il cardinale di Parigi Jean Daniélou, che dal pulpito tuonava contro il desiderio di certi preti di sposarsi e che lui stesso, nel 1974, morì proprio mentre aveva un rapporto sessuale con una donna e lo scandalo scosse la Chiesa francese fin nelle sue fondamenta! Chiesi ad Alain, che considerava il cristianesimo responsabile di buona parte di mali che affliggono la nostra cultura e la nostra civiltà, cosa pensasse di quel suo fratello principe della Chiesa e morto in maniera così ipocrita. Sorrise, e con il suo fare bonario e sornione mentre si accendeva l'ennesima sigaretta (sì, il maestro di morale del XX° secolo fumava!), gorgogliò: "Mon frère était fou. Era matto. Come si può essere cristiani e, contemporaneamente, sani di mente? Era proprio matto..." Non bisogna dimenticare, infine, l'influenza che ebbe addirittura sulla sua stessa amatissima India. Non per niente James Kirkup, su "The Indipendent" del 4 febbraio 1993, sottolineava che fu Daniélou a fermare la furia distruttrice di Gandhi che si era messa a sfasciare tutte le millenarie statue erotiche conservate nei templi (ma in realtà si trattava di Tagore), a dimostrare (prove alla mano) che l'omosessualità non era un "infamante prodotto d'importazione occidentale" ma aveva le sue radici nel più profondo dell'anima indiana. E fu sempre Daniélou a scatenare un vero e proprio scandalo allorquando dichiarò che gli Inglesi avevano perso l'impero nel momento in cui le mogli avevano deciso di "interferire nei costumi sessuali che i nativi intrattenevano con gli Occidentali prima che le loro donne facessero il passaggio in India". Anche "Le Monde" (1 febbraio 1994, articolo di André Velter), ha ricordato come la sua "azione, che portava avanti in condizioni talvotla difficili, ebbe un'influenza considerevole: non soltanto permise la riscoperta della musica artistica asiatica in Occidente ma assicurò anche, per un effetto di rimbalzo, la presa in considerazione e la preservazione di queste musiche tradizionali sul loro stesso territorio". Nel 1980 si era ritirato definitivamente in Italia dove, non lontano da Roma, possedeva da tempo una meravigliosa abitazione immersa nel verde della campagna laziale che si era dilettato ad affrescare perché Daniélou (me ne stavo quasi per dimenticare) era anche un bravo pittore. Non mi sembra inutile ricordare che se una delle nostre tre più importanti pubblicazioni (dopo "Ompo" e ''Rome Gay "News"), si chiama "Sabazio", ciò è conseguenza di uno dei suoi libri più straordinari e di più profondo impatto: "Shiva e Dioniso". Ed il suo ultimo scritto è apparso proprio sul numero 12 di "Sabazio, con un intervento dal titolo "Eros in India" nel quale affrontava ampiamente il tema dell'omosessualità in questo grande paese asiatico. ALAIN DANIELOU, SHIVA ET DIONYSO UN INCONTRO CON ALAIN DANIELOU A PROPOSITO DEL SUO LIBRO: SHIVA ET DIONYSO l’intervista che pubblichiamo usci sulla rivista francese “REBIS revolution sexuelle et tradizion” nell’autunno del 1980. Nel corso di quest’anno Alain Danielou è stato pesantemente, volgarmente e meschinamente oltraggiato dal quotidiano cattolico “AVVENIRE”, ricordiamo che il quotidiano è l’organo di stampa della C.E.I. cioè della Conferenza Episcopale Italiana. Come al solito i monoteisti sono incapaci di rispondere e contraddire le affermazioni di chi non si piega alla miseria ed alla meschinità del Dio unico. I monoteisti, nella loro versione cattolica, non hanno esitato affermare che le sue tesi si possono considerare fonte di ispirazione per alcuni fatti di cronaca nera; non esiste neanche la necessità di rispondere a simile affermazioni. Conosciamo e ricordiamo benissimo la capacità degli inquisitori monoteisti di inventare accuse per il solo piacere di riscaldare il loro cuore alla vista di qualche rogo. Il nostro è un piccolo contributo alla conoscenza di Alain Danielou. Nato a Parigi nel 1907 , ALAIN DANIELOU e’ senza dubbio il francese che più' ha vissuto in famigliarità' con l'India e che la conosce meglio , per averci abitato per lungo tempo. Dopo gli studi in FRANCIA e negli STATI UNITI , egli si consacra prima alla musicologia, viaggia in AFRICA del NORD, nel vicino MEDIO ORIENTE, in CINA, GIAPPONE e INDONESIA , poi si stabilisce in INDIA, subito a SANTINIKEN, poi a BENARES , dove per più' di vent’anni egli studia il SANSCRITO, la musica e la filovia delle scuole d’insegnamento tradizionale. Conosce il sanscrito e parla correntemente l’hindi. Egli ha riunito una collezione unica di manoscritti sanscriti sulla musica. Nel 1949 e’ nominato professore incaricato di ricerche presso l'università' di BENARES. Nel 1954 prende la direzione a MADRAS del CENTRO RICERCHE DELLA BIBLIOTECA di AYDAR, una delle più' ricche dell'India. Nel 1956 e’ membro dell'istituto FRANCESE D’INDIOLOGIA DE PONDICHERY, prosegue i suoi viaggi e le ricerche dall'Indocina all'Iran , dove registra per la prima volta i più' antichi monumenti della musica tradizionale . Diviene nel 1959 , addetto alla scuola FRANCESE D’ESTREMO ORIENTE a PARIGI e, nel 1960, consigliere del CONSIGLIO INTERNAZIONALE DELLA MUSICA(UNESCO). Dirige per parecchi anni l’ISTITUTO degli STUDI CORPORATIVI della MUSICA a BERLINO e a VENEZIA, così' come le antologie UNESCO della musica dell’ORIENTE e delle origini musicali. Come e’ noto ha scritto : YOGA , METODO E REINTREGATION ( L’ARCHE 1952 e1973 ; POLYTHEISME HINDOU (Bouchetchastel , 1960 E 1975) ; L’EROTISME DIVINISE (Bouchetchastel, 1963) ; LA SCULPTURE EROTIQUE HINDOUE (Bouchetchastel, 1973) ;LES QUATRE SENS DE LA VITE (Bouchetchatel , 1976 ) ; LE TEMPLE HINDOU (Bouchetchestel, 1977 ) : GEORGES GODINET: Alain Danielou, perché' aver intitolato il vostro ultimo libro: “SHIVA E DIONYSOS”? Cosa avete cercato di dimostrare mettendo sullo stesso piano il shivaismo e il dionisismo? ALAIN DANIELOU: Questo titolo e’ l’espressione di una realtà' storica. Io sono, di formazione interamente indù'. Ho conosciuto e vissuto l’induismo e , in particolare , il shivaismo durante una gran parte della mia vita e , quando sono tornato in Occidente, sono stato molto sorpreso dagli evidenti parallelismi. Ciò' m’ha indotto a chiedermi da dove veniva cio’che questo significava. Sembrava che, praticamente, non ci fossero delle differenze in ciò' che avevano potuto essere le origini dei culti dionysiaci e in ciò' che e’ sopravvissuto del shivaismo indiano. C.G.: In questa occasione, avete aspramente denunciato ciò' che voi chiamate “l’illusione MONOTEISTA”. Per quale ragione? A.D. : Si tratta semplicemente d’una concezione che non corrisponde alla realtà' del mondo. Ci sono delle persone che sono giunte persino a presentare il monoteismo come la più' grande invenzione dello spirito umano. In fondo il MONOTEISMO e’ una specie di costruzione logica, semplicistica, che evita di provare e comprendere la natura del mondo e tutto ciò' che esiste come fenomeno tanto naturale come soprannaturale. E’ una semplificazione aberrante che ha avuto un effetto pericoloso e nefasto nella evoluzione dell'umanità'. G.G. : Questa azione molto nefasta appariva particolarmente nel dominio della sessualità'... A.D. : L’idea inverosimile d’un Signore con barba che avrebbe creato l’universo e che si interesserebbe a fare degli editti, delle restrizioni sul comportamento umano nei suoi bisogni più' essenziali, non mi pare una cosa molto seria . Tutto ciò' che e’ restrizione al piacere di vivere, agli istinti che ci hanno dato gli dei , emanati per delle ragioni sociali , convenzionali o come mezzo di dominio e tirannia , non ha niente a che vedere con una ricerca del divino ne’ delle comprensione del mondo . Noi sappiamo molto bene che tutte le tirannie sono fondamentalmente antierotiche . Non possono essere anti alimentari perché' i tiranni non avrebbero allora più' schiavi . Non si può' impedire alle persone di respirare , di mangiare, ma si può' loro impedire di avere una vita sessuale, di possedere il piacere . Perché' escludere l’amore , che e’ probabilmente l’espressione più' vicina agli aspetti superiori dell’esistenza , e ugualmente ciò' che c’e’ di più' fondamentale dal momento che , come dicono gli Indu’ , l’uomo non e’ che il portante (portatore) DEL SUO SESSO . In fondo tutto e’ organizzato nel mondo , attorno a questa funzione essenziale . Probabilmente e’ questa l’immagine più' vicina al creatore. G.G. : Voi avete parlato del vostro libro, sempre a proposito del monoteismo, di “TIRANNIA PATRIARCALE” , dove il proprio sarebbe la persecuzione della sessualità'. Ma lo shivaismo non ha una connotazione patriarcale o perlomeno, fortemente maschile?
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