Turpiter barbarizant gli esiti di cons. + l nei dialetti italiani meridionali e in napoletano antico Autor(en): Barbato, Marcello Objekttyp: Article Zeitschrift: Revue de linguistique romane Band (Jahr): 69 (2005) Heft 275-276 PDF erstellt am: 15.03.2023 Persistenter Link: http://doi.org/10.5169/seals-400102 Nutzungsbedingungen Die ETH-Bibliothek ist Anbieterin der digitalisierten Zeitschriften. Sie besitzt keine Urheberrechte an den Inhalten der Zeitschriften. Die Rechte liegen in der Regel bei den Herausgebern. Die auf der Plattform e-periodica veröffentlichten Dokumente stehen für nicht-kommerzielle Zwecke in Lehre und Forschung sowie für die private Nutzung frei zur Verfügung. Einzelne Dateien oder Ausdrucke aus diesem Angebot können zusammen mit diesen Nutzungsbedingungen und den korrekten Herkunftsbezeichnungen weitergegeben werden. Das Veröffentlichen von Bildern in Print- und Online-Publikationen ist nur mit vorheriger Genehmigung der Rechteinhaber erlaubt. 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Mentre una piccola area ha conservato i nessi inalterati (o con un'alterazione secondaria), le altre parlate hanno spinto all'estremo quel processo di palatalizzazione che si è verificato, in misura diversa, in varie aree romanze. La situazione dialettale moderna si può riassumere nel quadro seguente*1): - Un'areola abruzzese ha conservato i nessi, salvo che per lo più la laterale si è rotacizzata: abr. [prana] < planu, [framma]< flamma, [brarjga] < *blancu. - Del resto, in quasi tutta l'area meridionale gli esiti di pl si sono confusi con quelli di cl, realizzandosi per lo più come occlusiva palatale: es. nap., pugl. planu > [cana], clave > [cava]*2). In una (*) Le abbreviazioni non risolte sono quelle del LEI. Per le trascrizioni uso l'alfa¬ beto IPA senza indicare la lunghezza vocalica e l'accento nei monosillabi e nei parossitoni, e rappresentando la lunghezza consonantica con la reduplicazione del simbolo. Si tenga presente che le forme che si riferiscono non a una località precisa ma un tipo dialettale possono essere leggermente idealizzate. Ringrazio Martin Glessgen e Michele Loporcaro per l'attenzione e l'aiuto che mi hanno generosamente prestato. Voglio inoltre manifestare il mio debito 'a distanza' verso Livio Petrucci e Edward Tuttle. Il presente articolo si basa in gran parte sulle ricerche di questi due studiosi: chi vi trovasse qualcosa di buono, attribuisca loro anche gran parte del merito. (1) Cfr. Merlo 1919, 248 sqq.; Rohlfs §§ 176 sqq. e 247 sqq.; Giacomelli 1970; Tuttle 1975; Montuori 2002. (2) Considero equivalenti le trascrizioni [kj] [c] [kç] da una parte e [gj] [j] [gj] dall'altra. In questi casi, infatti, la differenza tra l'occlusiva e l'affricata è convenzionale, dato l'inevitabile strascico di rumore che segue un'occlusione palatale (Lausberg 1971, § 55; Loporcaro 2001, 213 n. 8). Inoltre, pur impie- 406 MARCELLO BARBATO zona estesa tra Lazio e Campania e in Sicilia sud-orientale l'esito è, invece, un'affricata palato-alveolare: es. sic. [tjanu], [tjavipt. - Nella stessa area in cui pl si è confuso con cl, bl ha dato [j]: [janka], [janku]. - Gli esiti di fl conoscono una diffrazione maggiore. Nella maggior parte dell'area settentrionale e occidentale si ha una fricativa palatoalveolare: es. nap. flore > [Jora]*4). In una zona a cavallo tra Molise, Capitanata e Campania, nelle isole napoletane di Ischia e Precida, e in alcune località cilentane, calabresi e siciliane si ha una realizzazione pienamente palatale: es. sic. [curi]. In Puglia, in Salento e in Lucania, in parte del Cilento e della Calabria e in un'area isolata siciliana fl invece converge con bl in [j] (cfr. carta 1): es. pugl. [jora]. Al di là delle realizzazioni concrete possiamo dunque distinguere con Tuttle (1975) tre figure: CL *¦ PL * BL * FL area conservativa abruzzese CL PL ï BL* FL Abruzzi. Campania. Capitanata. Cilento. Calabria. Sicilia cl PLï bl fl Puglia. Lucania. Salento. parte di Cilento. Calabria. Sicilia A questo quadro relativamente ben noto vanno aggiunte alcune precisazioni: - In quasi tutta l'Italia meridionale i nessi GL (iniziale e intervocalico) e bl intervocalico sono confluiti con gli esiti di lj: *glanda > [ÁÁanda], neb(u)la > [neÄÄa]. Tuttavia -bl- è tenuto distinto da GL/-LJ- non solo nella zona conservativa abruzzese [nebbie], ma anche in un'area intermedia tra questa e quella napoletano-pugliese, tra basso Lazio, Molise e Capitanata: [nejja] ^ [aÁÁu] "aglio"*5). gando la trascrizione [kj] [gj], Loporcaro (1988. 94 e n.) nondimeno avverte dell'avanzamento del punto di articolazione, della turbolenza del rilascio e della desonorizzazione dell'elemento semivocalico. Per il carattere monofonematico di [kj] [gj] cfr. lo stesso Loporcaro (1988. 214). (3) Secondo la Giacomelli (1970, 138 e 142) in alcune località siciliane questo esito rimane distinto da quello di cei. (4) Distinta dal fonema intrinsecamente lungo derivato da scel. -x-. -ssj-: es. nap. [Jors] '"fiore"'vs ['JJennara] "scendere". (5) Cfr. AIS 365 e 1369; cfr. anche, per Sora e Arpiño, Merlo (1919, 249). La man¬ cata confusione di -bl- e -lj- si verifica anche più a Sud a Picerno (p. 732): [neja] vs [aAs]. Stessa situazione nel vicino paese di Avigliano anch'esso di origine galloitalica (Noie 2004. 43). TURPITER BARBARIZANT 407 ^v Nflpolia-;, Mb, •i; .--•.. QPotenia •• TJ'•« f •• •"< • 7 \ ; -.: FL>j/fj Tiff T 7•eS l >*££ J>J r^ ^ TJ OA t'A—<^^—J ¿ c. 1 (fonti: AIS 429, 740, 1357) L'esito di bl iniziale mostra quasi ovunque una variazione [j]/[j¿] a seconda della posizione debole o forte*6): [jarjka] "bianco", [e j^arjka] "è bianco". Tuttavia in un'area che si sovrappone in parte a quella appena menzionata (cfr. carta 2) si ha [j-j.] in tutte le posizioni*7). (6) Per la variazione fonologica in Italia meridionale e per i contesti che innescano la variante forte e quella debole cfr. Fanciullo (1997). Per rendere meglio conto della variazione allofonica [j]/[jj] rappresenteremo come fricativo /j/ anziché come approssimante /j/ il fonema corrispondente. (7) Cfr. AIS 1575. Di contro, sia a Picerno (p. 732) che ad Avigliano (Noie 2004, 24) *blancu > [jangs]. 408 MARCELLO BARBATO 630 63i .-... -\ ¦:i-i ftomafO)fl b ¦ / Si* .-* S4 -... \ 706 • 4" ...•• ^ "../ Prosinone 1 Campobasso y-7 O Foggiai Latina ;17 Î/5 BoriWrJ5> ¦-'.- ::/ s :.'- .: Napol tsi ; \..--- O • •-.. it : OPotenza ftO7J6 ;.; Salerno 2i -7 BL->j ;ii :¿¿ BL-* LJ : ::i ï :u c. 2 (fonti: AIS 365, 1369, 1575) fl - Sia in Puglia che in Salento iniziale presenta frequentemente esiti in [fj] (cfr. AIS 167, 429, 1357). In Salento talvolta l'esito tanto di bl quanto di fl è una laterale palatale: [ÁÁarjku], [AÁetta] < *flecta [aXXu] "aglio" (AIS 1575, 98, 1369, p. 739). - In posizione interna il nesso fl ha dato spesso degli esiti inattesi. In salent, "perdere il fiato" è [scatare]. Il tipo [ac'ca] < afflare è lue, pugl., salent., con delle propaggini campane (LEI 1, 1241 sqq.); negli esiti di conflare l'alternanza tra i tipi [uf/are] e [uncare] è praticamente panmeridionale*8). - In Sicilia sud-orientale può accadere che gli esiti di cl pl non si distinguano da quelli di fl: [Jummu] "piombo" [Jumi] "fiume" (Repetti/Tuttle 1987, 97). Nel § 2, inserendo nel più generale panorama romanzo le vicende dell'Italia meridionale, cercheremo di ricostruire come sia avvenuto qui il processo di palatalizzazione dei nessi latini, e proveremo a spiegare in una cornice unitaria anche gli esiti apparentemente anomali. Nel § 3 ci volge- (8) Cfr. sic. [ufjari]/[uncari] VS. cal. [guç'ça]/[gun'cari] NDC, lue. [yuç'ça]/[yun'.ja] Lausberg. TURPITER BARBARIZANT 409 remo invece ai testi antichi, che ci offrono, relativamente ai gruppi in questione, un quadro parzialmente diverso da quello dei dialetti moderni. Come risulta dal prezioso spoglio di Livio Petrucci (1993, 61 sqq.), infatti, nei testi napoletani del periodo angioino (fine sec. XlII-inizio sec. XV) i fl nessi pl bl presentano tre soluzioni: 1. <pl>, <bl>, <fl> (sinteticamente <C1>), con la variante <pr>, <br>, <fr>; 2. <pi>, <bi>, <fi> o <py>. <by>, <fy> (sinteticamente <Ci>); 3. le grafie rispecchianti gli esiti del dialetto moderno (es. Caracciolo chumbo "piombo", Hist. Tr. chyno "pieno", Romanzo chiostre "piastre"). La soluzione 1) è considerata solitamente una 'grafia di copertura' dell'esito locale; la soluzione 2) è attribuita concordemente alla pressione del toscano (cfr. § 3.2). In questo articolo intendo, di contro, sostenere l'ipotesi che la scripta antica rifletta una variazione, almeno fino a un certo momento e in una certa misura, indigena in napoletano. A questa posizione inducono le seguenti considerazioni: - La ricostruzione linguistica mostra che il napoletano deve aver attraversato una fase [pj], [bj] [fj] (in sintesi [Cj]) nel passaggio tra la fase [pi] [bl] [fl] (in sintesi [CI]) e gli esiti moderni. - Che stadi diversi di evoluzione fonetica possano convivere sincrónicamente è un fatto riconosciuto per ogni situazione storico-linguistica. A maggior ragione, dunque, questa possibilità andrà ammessa per il volgare antico che - a differenza del dialetto moderno, relegato agli usi bassi dalla lingua standard - doveva coprire da solo tutto lo spettro della variazione sociolinguistica, o una parte ben più consistente di esso. - Se è vero che ad ogni scripta si possono applicare le conclusioni di Louis Remacle sull'antico vallone - che appare «comme la composante de forces diverses, l'une verticale, celle de la tradition, les autres horizontales: l'influence du parler local, sans cesse décroissante; l'influence du dialect central [....] sans cesse croissante» (Remacle 1948, 178) -, allora, nel caso specifico, accanto alle dinamiche orizzontali (la pressione del toscano sul napoletano) bisognerà tenere conto anche di quelle verticali (la viscosità della tradizione locale). 410 MARCELLO BARBATO 2. La ricostruzione 2.1. Uno sguardo alla Romanian C'è consenso diffuso sul fatto che il processo di palatalizzazione di [Cl] si sia verificato nella Romania dapprima e di preferenza nei nessi cl gl, dove aveva ragioni organiche. Nei nessi con velare, infatti, «the posture of the back of the tongue, raised against the soft palate to produce an occlusion k or g, caused the tip to be in a retracted position (to the rear of the alveola in the palatal area) when it was allowed to make contact with the roof of the mouth to produce the lateral resonant» (Tuttle 1975, 404 sq.). Se il passaggio [kl] [gl] > [kl)] [gli] appare perfettamente naturale, come osservava l'abate Rousselot (1891, 199), «On ne voit pas les mêmes raisons pour le mouillement de 17 après les labiales. Mais, le mouvement une fois commencé, on conçoit [sic] qu'il se soit propagé à toutes les / placées après une consonne». Nella generalizzazione avrà agito la maggiore frequenza dei gruppi con velare (Meyer-Lübke 1934, 47: «das häufigere kl', gl' das seltenere pl, bl, fl nach sich gezogen hätte»), e una tendenza universale alla parificazione degli allofoni (Tuttle 1975, 408). Le varietà romanze riflettono diversi stadi di generalizzazione del fenomeno: CL GL PL BL FL 0. nessuna palatalizzazione kl gl Pi bl fl 1. palatalizzazione dopo velare kU g" P' bl fl 2. palatalizzazione diffusa kl) gli Pli bli fl) Lo stadio 0. si è conservato in dalmatico (plaker, blasmar, kluf), in friulano, in ladino, in romancio, in francese, occitano, catalano e (di solito con alterazione secondaria [1] > [r]) in gran parte del sardo (crae, pròere, fròri) e nella menzionata area abruzzese. Lo stadio 1. è rappresentato dal rumeno (chele, ghinda contro placea, blestemá, floare) e da alcune varietà galloromanze: il limosino, il franco- (9) Cfr. per quanto segue Meyer-Lübke (1934. 45 sqq.): Lausberg (1971, § 340 sqq.); Giacomelli (1970, 136); Tuttle (1975, 403); Repetti/Tuttle (1987, 57 sqq.); Jänicke (1997. 3 e 93). I dati di Evolène e Delémont sono stati raccolti sul campo nell'ambito di un'inchiesta organizzata da Martin Glessgen e Michele Loporcaro e cofinanziata dall'Università di Zurigo (giugno 2005). TURPITER BARBARIZANT 411 provenzale di Lione, della Bresse, dell'Alto Delfinato, del Valiese (Evolène [floxJ] "fiori" vs [kl'a] "chiave')*10). Lo stadio 2. si è affermato in alcuni dialetti dall'uno e dall'altro lato dei Pirenei (guasc. flhamou, blhat, plheja, arag. filiamo, bllau, plloure); in spagnolo e portoghese; in una fascia che unisce i dialetti oitanici occidentali con quelli orientali sconfinando in Alvernia in territorio occitanico; nella grandissima parte del territorio italo-romanzo. Questa ricostruzione appare ampiamente condivisa. Ci sono tuttavia dei punti disputati. - Secondo Tuttle (1975, 403 n. 3) e Repetti/Tuttle (1987, 80) l'abruzzese non rispecchierebbe lo stadio 0. ma lo stadio 1. di palatalizzazione. E vero che i casi moderni di conservazione di cl e gl sono rari e non certissimi, ed è vero anche che gli Statuti tardoquattrocenteschi di Ascoli hanno sempre <chi> e alternanza <bl>/<bi>. <fl>/<fi>, <pl>/<pi>. Ma i testi più antichi conservano tutti i nessi indifferentemente (cfr. § 3.1). - Secondo Repetti/Tuttle (1987. 69 sqq.) anche il galloromanzo e il catalano partirebbero dalla fase 1. con successiva regressione della palatalizzazione dopo velare all'inizio di parola: non si spiegherebbe altrimenti la palatalizzazione di (-c'l- >) -g'l- in casi come macula > maille, vigilare > veiller, coagulare > cailler. Tuttavia preferisco attenermi all'opinione tradizionale che vede in questi casi un fenomeno di origine più antica e di natura diversa, in cui la palatalizzazione non è dovuta all'azione della laterale sulla consonante precedente ma alla vocalizzazione di quest'ultima: [yl] > [jl] > [A] (cfr. Laus- berg 1971, § 422; Jänicke 1997, 100), in modo del tutto analogo all'evoluzione del nesso gn > [yn] > [jn] > [ji], - Secondo Lausberg (1971, § 342) bl e gl iniziali non hanno preso parte alla palatalizzazione in spagn. e port, (lastimar, lande). Così anche Wireback (1997, 78). Secondo Repetti/Tuttle (1987. 97 sqq.), invece, l'iniziale palatalizzazione sarebbe stata eliminata «in favor of a more conservative, less vernacular pair of articulations, gl- and bl-» (p. 100). Raramente, come si vede, le varietà romanze hanno conservato l'articolazione originaria [CD]: la «articolatory ponderousness of these clusters» (Tuttle 1975, 409) si prestava facilmente a riduzione. La laterale palatale si conserva ancora in diverse varietà galloromanze, nei dialetti pirenaici e in macedo-rumeno (kljae), mentre si è vocalizzata in daco-rumeno, nella maggior parte d'Italia e in altre varietà galloromanze (cfr. a Delémont- Jura [el pj0] "piove"). Altrove (spagnolo, portoghese, franco-provenzale, ligure, lombardo alpino, italiano meridionale) il processo di palatalizzazione è andato oltre, intaccando la consonante precedente. (10) L'asimmetria negli esiti di cl gl da una parte, e pl bl fl dall'altra, fa pensare che anche i volgari italiani settentrionali antichi fossero attestati alla fase 1. (Rohlfs § 179: Repetti/Tuttle 1987. 65 sqq.). 412 MARCELLO BARBATO 2.2. L'ipotesi Tuttle In un articolo fondamentale Tuttle (1975) ha tentato un'interpretazione complessiva dell'evoluzione dei nessi nei dialetti meridionali. Qui, prima ancora della vocalizzazione della laterale, sarebbero avvenuti due processi capitali: la confusione di gl e -bl-, e quella di cl e pl. Infatti i nessi gl e -bl- (che, come abbiamo detto, si sono confusi in quasi tutta l'Italia meridionale) probabilmente non sono passati per lo stadio [Cj], ma hanno subito una più antica e radicale palatalizzazione (Tuttle 1975, 419; Repetti/Tuttle 1987, 55): *glanda > [ylJanda] > [Manda], neb(u)la > [neßlia] > [neÄÄa]*1'). Quanto alla confusione di pl e cl, la causa scatenante secondo Tuttle sarebbe stata la lenizione di b. L'evoluzione [blJ] > [vIj] avrebbe indebolito pl privandolo del suo corrispettivo sonoro. Il nesso dunque, interpretato «simply as an occlusion or obstruency followed by a palatal lateral release» (Tuttle 1975, 409), si sarebbe fuso con cl*12). A questo punto si disegna una frattura. In una parte della nostra area fl l'ulteriore lenizione [vj] > [j] avrebbe privato del suo corrispettivo labiale spingendo a una «friction more homorganic with /, thereby effecting a gain in articulatory economy with no loss in distinctivess or phonemic clarity» (Tuttle 1975, 430). In altri dialetti invece la sonorizzazione di f- (di cui si forniscono alcuni riscontri) avrebbe prodotto la confusione di fl e bl (Tuttle 1975, 421). La maggiore resistenza della laterale avrebbe determinato la differenza fonetica tra il tipo pugliese e il tipo salentino, strutturalmente identici: CL PL BL FL tipo napoletano e j Ç tipo pugliese e j tipo salentino e A (11) Per il mancato raddoppiamento di BL cfr. il trattamento meridionale di br: labru > lavro, febre > *fievre > freve. (12) Per l'ipotesi del carattere monofonematico dei gruppi con laterale cfr. Tuttle (1975. 429): «Where p occurred in such a cluster, the relative significance of its labiality feature might be diminished in the larger bundle of features making up the distinctive profile of the new phonemically-unified onset. Then, in the face of articulatory pressure for simplification, the less integrated labial feature of /*pX/ (with a relatively low functional yield into the bargain) might succumb in the South in a way that it did not in Tuscany. Umbria, and the upper Abruzzi». TURPITER BARBARIZANT 413 L'ipotesi di Tuttle ha il vantaggio di spiegare in un quadro unitario tutta la fenomenologia degli esiti dialettali, è supportata da argomenti geolinguistici (Tuttle 1975, 430 sq.) e, come vedremo (§ 3.3), sembrerebbe anche avere il sostegno di dati testuali. Essa ha inoltre il pregio di essere priva del ideologismo che viene oggi imputato agli argomenti funziona- listici: il mutamento fonetico, infatti, non è visto come una strategia terapeutica attuata allo scopo di mantenere delle distinzioni, ma come un adattamento all'evoluzione. Questa ricostruzione è stata ribadita in seguito ed estesa ad altre situazioni romanze. Secondo Repetti/Tuttle (1987, 56 sq.) il passaggio [pj] > [e] e [fj] > [çj] nei dialetti meridionali non è spiegabile in semplici termini articolatori ma è dovuto al fatto che la lenizione negli esiti di bl ha lasciato fl e pl non integrate «and thus more subject to shifting in favor of a more compact, more nearly homorganic articulation». Analogamente gli stessi autori (1987, 92) escludono per il ligure e il portoghese l'ipotesi di una palatalizzazione graduale e pensano a «a more abrupt or sudden phonologic reanalysis, shifting pjlbjlfj directly to kj/gj/xj (or sj)». Tuttavia l'ipotesi Tuttle' lascia aperte alcune questioni di ordine strutturale (a), cronologico (b) e areale (e): a) Il carattere monofonematico dei nessi è difficilmente dimostrabile, in uno scenario in cui è ancora possibile la commutazione, da un lato, tra [pli] [kl)] [ili], dall'altro tra [CU] e [Cr]. Ci si potrebbe dunque chiedere perché la lenizione di B dovrebbe avere investito con conseguenze catastrofiche solo i casi di [pU] e non invece tutti i casi di [p], portando in altre parole alla scomparsa totale del fonema /p/. b) Tuttle attribuisce a chiare lettere il fenomeno della palatalizza¬ zione dei gruppi con L al «late spoken Latin». Ciò è coerente con l'idea che in Italia meridionale la causa scatenante sia stata la lenizione di B, fenomeno notoriamente tardo-antico. Ma tanto la documentazione quanto degli argomenti di cronologia relativa inducono a credere che siamo di fronte a un fenomeno romanzo e anche piuttosto tardo*13). (13) Si osservi che il gruppo cl non prende parte alla prima palatalizzazione (brac- ciolvrazzu vs occhio) salvo nei casi in cui. seguito da j, è stato precocemente ridotto: cochlea > *[koklja] > *[kokkja] > coccia/cozza, nucleu > nuzzolnoc- cio(lo). Cfr. anche Castellani (1980. I 119 sqq.) e vedi oltre §§ 2.3 e 3.1. Anche per quanto riguarda la Penisola iberica, perché la spiegazione funzioni è necessario ipotizzare che il processo sia avvenuto quando la sonorizzazione, non fonologizzata, era ancora in un regime di variazione.
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