Università di Pisa Facoltà di Lettere e Filosofia Laurea specialistica in Lingua e Letteratura Italiana Tra empatia e antropologia. La letteratura sociale di Gatti, Moresco, Saviano. Candidato Relatori Renato Marvaso Prof.ssa Carla Benedetti Prof.re Fabio Dei 1 Agli affetti ritrovati e alla lotta politica. 2 Indice Introduzione 4 1. La trappola mediatica 1. Sul fronte della parola, al centro della lotta 9 2. La realtà che sopravvive 15 3. Bilal: Gatti contro le «omissioni» di verità 19 4. L’orrore mediatico 29 5. I maiali 48 2. Letteratura e antropologia 1. L’ottica letteraria in antropologia 62 2. Breve storia dell’antropologia culturale 68 3. La prospettiva antropologica in letteratura 74 4. Perché Gomorra è un’etnografia 103 5. Le mille forme di Bilal 138 6. L’unità della specie 160 3. La parola a chi scrive 1. Parzialità delle rappresentazione culturali e modellamento della soggettività 171 2. Intervista a Fabrizio Gatti 189 3. Intervista ad Antonio Moresco 192 4. Conlusioni 196 5. Bibliografia 205 3 Introduzione Lo studio che qui intendo presentare parte dall’osservazione dei libri di Gatti, Moresco e Saviano, essendo queste delle ottime occasioni testuali per sviluppare un ragionamento sullo stato di una parte della letteratura italiana contemporanea. La caratteristica che accomuna Bilal, Zingari di merda e Gomorra e che ci permette di fare un unico ed estendibile ragionamento su una parte della letteratura italiana, è che questi testi si occupano, con modi non convenzionalizzabili nel sistema dei generi letterari, di fenomeni economici e sociali reali e devastanti. Quest’aspetto mi ha permesso di avanzare un’ipotesi - sviluppata nel secondo capitolo di questa tesi – sulla vicinanza di questi tre libri al genere etnografico. Pure, il rapporto tra antropologia e letteratura non costituisce il solo oggetto del mio studio ma è funzionale all’apertura di una serie di riflessioni sulla presenza di una soggettività autoriale nel testo, sull’approccio degli autori ai contesti sociali osservati, infine sui modi in cui un’opera letteraria può nascere e prendere corpo. A dimostrazione della varietà dei contenuti di questo studio, nel primo capitolo è analizzato il rapporto tra la rappresentazione della realtà propagandata dai media e le raffigurazioni letterarie con lo scopo, da parte mia, di descrivere l’atteggiamento degli autori rispetto alla narrazione mediatica del presente. Come verrà specificato e approfondito nelle conclusioni, uno fra gli obiettivi che gli autori si sono posti è demistificare alcune rappresentazioni culturali e sociali limtanti e restrittive, in modo che le figure del camorrista o del giovane di periferia, quelle del 4 clandestino e del rom non siano più silhouettes su cui affibbiare epiteti negativi e qualità corrosive e anti-sociali. Nel secondo paragrafo del primo capitolo si evidenzia come, a cavallo tra fiction e non-fiction, in questi tre libri l’esperienza soggettiva venga messa a servizio del lettore e si accompagni a una serie di dati e informazioni di carattere oggettivo – statistiche, dichiarazioni di politici, testimonianze rese sul campo, racconti personali. I differenti punti di vista degli autori sull’azione dei media sono prima rintracciati nei testi e poi discussi nel quarto, quinto e sesto paragrafo del primo capitolo. I dati del reale, le sue proporzioni e i suoi conflitti si sovrappongono, o si sottopongono, alla narrazione dell’esperienza dell’autore. In ciò crediamo di avere espresso un primo punto a sostegno della tesi che «sostenere che tutto è già stato ripreso è come mettere un cubo di cemento attorno all’universo».1 Perché non è mica vero che “tutto è già stato ripreso”, altrimenti l’occhio dello scrittore non potrebbe trattare la realtà svelandone i trucchi e gli occultamenti. A questo proposito, sempre nelle conclusioni, si parlerà del processo di defigurazione come di una prassi letteraria dagli esiti stranianti. Nel secondo capitolo a essere oggetto di studio è proprio l’esperienza “sul campo” dei vari autori. Nel primo paragrafo viene formulata la prospettiva attraverso la quale abbiamo rapportato il contenuto dei testi con le teorizzazioni della disciplina antropologica, mentre nel secondo paragrafo è brevemente riassunto il bisecolare sviluppo dell’antropologia culturale fino alle recenti considerazioni del gruppo di Writing Culture sull’importanza dei procedimenti letterari in etnografia. Questa necessaria parte introduttiva sulla relazione fra testi letterari e antropologia, ci è stata utile per focalizzarci, sempre nel secondo paragrafo, sull’aspetto soggettivo del racconto: il soggetto scrivente che riporta i dati raccolti sul campo non si eclissa nel testo a favore di un presunto oggettivismo del racconto, dato che è fondamentale che la storicità dell’incontro etnografico, oltreché le modalità dell’approccio e l’atteggiamento mantenuto dall’osservatore nel corso dell’esperienza antropologica, si manifestino. E’ solo dal terzo paragrafo del secondo capitolo che il nostro discorso entra nello specifico, spostando l’attenzione sulle potenzialità che hanno alcuni testi di travalicare le cosiddette convenzioni di genere, incorporando diversi tratti classici del “processo” e del “prodotto etnografico”. I contenuti e le tecniche testuali che ci suggeriscono la rilevanza antropologica di Bilal, Zingari di merda e Gomorra sono perciò genericamente riassunti in quattro sezioni: 1) esperienza diretta degli autori sul campo 2) mediazione culturale e divulgazione 3) contesti sociali d’interesse antropologico 4) auto-riflessività, ossia la percezione che il protagonista ha di se stesso e che verrà accostata all’auto-riflessività richiesta all’etnografo. Questi quattro campi di intervento verranno sviluppati nei paragrafi successivi in rapporto alle singole opere, senza per questo eliminare intuizioni o spunti innovativi. Ad esempio, per Gomorra 1 C. Benedetti, Disumane lettere, Laterza, Roma-Bari, 2011, p.22. 5 ci siamo avvalsi di altri quattro testi (un romanzo, un’etnografia, un’inchiesta, un saggio) in grado di far risaltare, per contrasto, le sue caratteristiche etnografiche. Mettendo a paragone il libro di Saviano con l’etnografia di Thomas Belmonte La Fontana rotta, ci siamo accorti che la sia struttura del testo costruita intorno a una serie di exempla situazionali, sia l’apporto soggettivo del protagonista e autore, costituissero per entrambi i testi degli elementi condivisi davvero determinanti al fine di stabilire una comune appartenenza a uno stesso genere, l’etnografia. Nel terzo capitolo, la nostra scelta è stata quella di introdurre le interviste a Fabrizio Gatti e Antonio Moresco con un breve presentazione che si occupasse, in maniera più concettuale, dell’esistenza di finzioni sia in letteratura che in antropologia. Le considerazioni di James Clifford sulla parzialità di ogni rappresentazione e sui procedimenti in grado di forgiare la soggettività in un testo ci hanno consentito di ancorare a queste due formulazioni la dipendenza di Bilal, Gomorra e Zingari di merda dalla realtà. Nelle conclusioni quest’aspetto verrà ulteriormente sviluppato e si collegherà, dopo aver fatto cenno dell’eredità del realismo in letteratura, alle nuove prospettive che il confronto con la realtà ci offre. Renato Marvaso 6 7 8 1. La trappola mediatica 1. Sul fronte della parola, al centro della lotta. Gomorra, Bilal e Zingari di merda si occupano rispettivamente di immigrazione clandestina, mafia ed emigrazione ma sono soprattutto tre esempi di come sia possibile esprimersi su dei fenomeni sociali, legati all’attualità, partendo da un punto di vista soggettivo e privo di autorevolezza. In questo primo capitolo ci occuperemo del rapporto che gli autori intrattengono con la rappresentazione mediatica e, necessariamente, siamo costretti a operare una semplificazione rispetto al quadro generale dell’informazione. Infatti identificare con il termine “media” un insieme composito di operatori della comunicazione può apparire come una scelta riduttiva, che però ci ha permesso di focalizzarci al meglio sui singoli punti di vista dei tre autori. Una società mediatizzata come quella occidentale subisce un’influenza mediatica costante ma differenziata al suo interno – giornali, televisione, Internet, social networks – e così i giornali, cartacei o online, le agenzie di stampa, i giornalisti televisivi, sono gli attori di un perenne movimento di informazioni verso il soggetto, la persona. Già nel 1936, l’emergente impatto mediatico aveva destato l’attenzione di Walter Benjamin che nel famoso saggio Il narratore, prendendo spunto dall’opera di Nikola Leskov, tentò di contestualizzare l’arte della narrazione nell’epoca dell’informazione globale: Se l’arte di narrare si è fatta sempre più rara, la diffusione dell’informazione ha in ciò una parte decisiva. Ogni mattina ci informa delle novità di tutto il pianeta. E con ciò difettiamo di storie singolari e significative. Ciò accade perché non ci raggiunge più alcun evento che non sia già infarcito di spiegazioni. In altri termini 9 quasi più nulla di ciò che avviene torna a vantaggio della narrazione, quasi tutto a vantaggio dell’informazione.2 Rispetto a questo movimento di informazioni, i tre autori si sono dovuti confrontare, avendo come comune proposito quello di ricostruire la realtà secondo schemi di un realismo che comprendesse al suo interno finanche gli effetti perturbanti della disinformazione. Nel trattare i testi di Gatti, Saviano e Moresco dobbiamo perciò fare una piccola premessa: ciò che essi hanno prodotto, dopo un periodo di presenza sul “campo”, è innanzitutto l’esito di doppia sfida. Una sfida ai rischi corsi per documentare la faccia nascosta della realtà e una sfida vinta nei confronti di coloro che, per dovere d’informazione, avrebbero dovuto occupare quei vuoti che invece sono stati coperti dall’azione coraggiosa degli autori. Come ci ricorda Benjamin però, l’informazione spesso contrasta con l’intento narrativo e con il racconto di «storie singolari e significative». Il pensiero corre inevitabilmente alle tante semplificazioni e mistificazioni create ad hoc sul fenomeno migratorio, così come è d’obbligo il richiamo alle generalizzazioni frequenti operate nei confronti dei sottoproletari dei quartieri napoletani o verso gli appartenenti alle comunità rom. In ogni caso si tratta della costruzione di “figurine” che, come si avrà modo di dire nella parte finale di questa tesi, i tre autori coraggiosamente contrastano con una narrazione al limite dell’etnografia e tortalmente fuori dalle poetiche sia postmoderne che moderniste o neorealiste. Tuttavia, nonostante l’uso distorto e populista dei mezzi mediatici, l’informazione, così importante per la formazione dell’opinione pubblica, costituisce un elemento obbligatorio di confronto per chi - come Gatti, Moresco e Saviano - ha accettato di raccontare in maniera più approfondita e completa la realtà taciuta dei quartieri napoletani, dei viaggi clandestini che partono dall’Africa o le emigrazioni che dalla Romania portano fino a a un campo rom nel Nord Italia. Fatte queste poche ma necessarie premesse, la prima questione da porsi - se si vuole analizzare il rapporto tra la rappresentazione della realtà propagandata dai media e le raffigurazioni letterarie - è il problema della credibilità di chi racconta. Infatti, con una società talmente influenzata e corrotta dall’influenza dei media, come è possibile rendersi credibili ed efficaci ribaltando i punti di vista e le strutture di pensiero? Con quali mezzi e forme questo è ancora possibile? Facendo un passo indietro negli anni, la querelle tra Pasolini e il giornale vaticanense ”L’Osservatore Romano” fu esplicativa del problema dell’autorevolezza e della credibilità di chi scrive. Pasolini aveva risposto ad alcuni articoli de 2 W. Benjamin, Angelus novus, Einaudi, 1962, p. 241. 10
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