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storie locali nell'abruzzo di età moderna PDF

449 Pages·2012·5.44 MB·Italian
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE Dottorato di Ricerca in Storia: Culture e Strutture delle Aree di Frontiera Ciclo XXIV S L TORIE OCALI ‘A E (1504-1806) NELL BRUZZO DI TÀ MODERNA Dottoranda Cristina Ciccarelli Relatore Chiar.ma Prof.ssa Laura Casella ANNO ACCADEMICO 2010/2011 Tesi di dottorato di Cristina Ciccarelli, discussa presso l‟Università degli Studi di Udine INDICE Tavola delle abbreviazioni p. IV Introduzione p. 1 I. L’Abruzzo moderno (1504-1806) 1. Percezione e rappresentazione dell‘Abruzzo in Antico Regime p. 9 2. Le città abruzzesi sotto la dominazione spagnola p . 13 3. La Chiesa locale dopo il Concilio di Trento p. 23 4. L‘economia abruzzese p. 29 5. Tra moti rivoluzionari e crisi economica p. 33 6. Il Settecento abruzzese p. 37 7. Il 1799 ed oltre p. 42 II. La memoria e la storia locale 1. Le tradizioni memorialistiche p . 4 9 1.1 Le storie cittadine p. 58 1.2 Le storie di popoli p. 66 1.3 Le storie regionali p. 69 1.4 Le storie di uomini illustri p. 75 1.5 Le storie di famiglie p. 82 2. Il paratesto p. 96 2.1 La dedica al signore p. 96 2.2 Il libro come dono dell‘autore alla città e ai suoi governanti p. 100 2.3 I lettori delle storie locali e le prove di stima all‘autore p. 105 2.4 L‘offerta del libro al re p. 108 Tabella 1: Gli autori, le opere, le dediche p. 113 Tabella 2: Luoghi di edizione delle opere stampate in età moderna p. 118 II Tesi di dottorato di Cristina Ciccarelli, discussa presso l‟Università degli Studi di Udine III. Nei testi. Autori, luoghi e temi dalla leggenda alla storia 1. Il mito di fondazione p. 122 1.1 Il mito delle origini p. 122 1.2 Annio e le città abruzzesi: Cittaducale e Penne p. 125 1.3 Il mito troiano: Sulmona, Lanciano, Vasto, Chieti p. 139 1.4 L‘Aquila e i suoi miti p. 158 2. Costruire la storia p . 1 6 7 2.1. Il Seicento abruzzese tra «storia sacra» e «storia profana» p. 167 - Muzio Febonio e la storia dei Marsi p. 171 - Teate e Chieti nell‘opera di Lucio Camarra p. 175 - Gli studi di storia a Chieti tra antico, sacro e presente p. 180 - L‘eco dei moti masanelliani e la nobiltà sulmonese p. 186 2.2. Il Settecento tra antiche e nuove tendenze p. 192 - La storia dei Frentani tra vero e falso p. 193 - Lo studio delle antichità e il «Dovere di buon Patrizio» p. 200 - Il clima culturale di metà secolo p. 205 - Antonio Ludovico Antinori p. 208 - Sulla scia di Antinori. Scelte metodologiche diverse nella seconda metà del secolo: Giovenazzi e Romanelli p. 215 Conclusioni p. 225 Appendice Censimento delle storie locali. Premessa p. 231 Schede analitiche delle storie locali abruzzesi p. 233 Elenco delle storie locali edite e manoscritte p. 397 Fonti manoscritte p. 403 Fonti edite p. 405 Bibliografia citata p. 412 III Tesi di dottorato di Cristina Ciccarelli, discussa presso l‟Università degli Studi di Udine TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI ACA Archivio Comunale, Atessa ACAq Archivio privato barone Cappa, L‘Aquila ACLA Archivio privato Casamarte-Bassino, Loreto Aprutino ADL Archivio Diocesano, Lanciano AGL Archivio privato prof. Emiliano Giancristofaro, Lanciano APPF Archivio dei Padri Passionisti, Fossacesia ASAq Archivio di Stato dell‘Aquila ASN Archivio di Stato di Napoli ASP Archivio di Stato di Parma ASV Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano ASVa Archivio Storico Comunale ―Casa Rossetti‖, Vasto BAV Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano BAM Biblioteca Ambrosiana, Milano BCL Biblioteca Comunale ―Raffaele Liberatore‖, Lanciano BCO Biblioteca Comunale, Ortona BCPe Biblioteca Comunale ―V. Colonna‖, Pescara BCR Biblioteca Comunale, Rieti BCS Biblioteca Comunale ―Ovidio‖, Sulmona BDNAq Biblioteca privata barone Angelo De Nardis, L‘Aquila BEU Biblioteca Estense Universitaria, Modena BISS Biblioteca dell‘Istituto Storico Spagnolo, Roma BMV Biblioteca Marciana, Venezia BNCF Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze BNCR Biblioteca Nazionale Centrale ―V. Emanuele II‖, Roma BnF Bibliothèque nationale de France, Paris BNN Biblioteca Nazionale ―V. Emanuele III‖, Napoli BPAq Biblioteca Provinciale ―S. Tommasi‖, L‘Aquila BPAv Biblioteca Provinciale, Avellino BPCh Biblioteca Provinciale ―C. De Meis‖, Chieti BPFR Biblioteca dei Padri Filippini, Roma BPTe Biblioteca Provinciale ―M. Delfico‖, Teramo BSNSP Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, Napoli BVR Biblioteca Vallicelliana, Roma RBL Raccolta privata Battistella, Lanciano IV Tesi di dottorato di Cristina Ciccarelli, discussa presso l‟Università degli Studi di Udine ASPN «Archivio Storico per le Province Napoletane» BDASP, già «Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia BSSPA Patria»; già «Bollettino della Società di Storia Patria Anton Ludovico Antinori Negli Abruzzi» (1889-1909); «Bullettino della Regia Deputazione Abruzzese di Storia Patria» (1910-1944) CIL T. MOMMSEN, Corpus Inscriptionum Latinarum, Berlino 1883 DASP Deputazione Abruzzese di Storia Patria DBI Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell‘Enciclopedia Italiana, Roma 1960- QFIAB «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken» RivAbrTeramo «Rivista Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arte», Teramo 1886-1919 V Tesi di dottorato di Cristina Ciccarelli, discussa presso l‟Università degli Studi di Udine Introduzione L‘«alleanza tra potere e memoria»1 costituisce un filo rosso che caratterizza ogni società, dalle epoche più antiche ad oggi. La volontà di ricostruire la storia del passato, di assicurare primogeniture risponde, da sempre, alla necessità di fissare le coordinate del presente e di definirne l‘ordine sociale e politico. Ogni qualvolta un soggetto istituzionale, un‘autorità, un‘élite di governo abbia voluto consolidare il proprio potere, è divenuto necessario cercare nel passato momenti particolari nei quali individuare le proprie conferme. Si tratta di produrre il domani costruendo uno ieri, di «plasmare il nuovo inventando una tradizione»2; così facendo il potere si impossessa non solo del passato, ma anche del futuro. Spetta alla cultura il compito di elaborare dispositivi discorsivi adeguati, creando o reiterando emblemi, ricostruendo storie, selezionando scenari e ideali del passato. Tenendo conto delle sollecitazioni che gli studi storici hanno offerto in questi ultimi anni su alcune aree italiane3, questo lavoro offre una prima ricognizione di un preciso filone della memorialistica – quello delle storie locali – e della sua diffusione nella regione abruzzese nel corso dell‘età moderna, proponendosi come un tentativo di leggere in maniera complessiva la memoria culturale di una regione dell‘Italia di Antico Regime. Il censimento delle storie locali, edite e manoscritte, che sono state prese in considerazione – e schedate nell‘Appendice – ha portato alla luce un insieme di scritti ampio e variegato, che trova le ragioni della sua eterogeneità in più di una motivazione. Innanzi tutto, l‘esistenza di differenti forme di scrittura legate alla memoria collettiva testimonia la complessità di una società come quella di Antico Regime, in cui i singoli attori – gli uomini di potere, i casati nobiliari, gli uomini di Chiesa – richiedono la redazione delle storie locali per esporsi – o imporsi – nella società, locale o più ampiamente statale che sia. Interrogarsi sull‘identità dei soggetti che hanno contribuito a costruire le tradizioni storiche, mediante ―invenzioni‖ e ricerche più o meno attendibili, consentirà di considerare le storie locali sotto una prospettiva diversa e di risalire al contesto e alle ragioni storiche – le lotte per il potere, la dialettica politica, la difesa dei propri privilegi – che si celano dietro l‘impegno dell‘erudizione. L‘arco cronologico considerato è molto esteso e ha una sua ragion d‘essere: il 1504 è l‘anno in cui la regione entra a far parte, in maniera definitiva, dei domini spagnoli di Ferdinando il Cattolico, all‘indomani della completa occupazione del Regno napoletano. È 1 J. ASSMANN, La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle civiltà antiche, Einaudi, Torino 1977, p. 43. 2 M. D‘ERAMO, Introduzione a B. R. ANDERSON, Comunità immaginate. Origini e diffusione dei nazionalismi, Manifestolibri, Roma 1996, p. 8. 3 Mi riferisco, in particolare, a due lavori: A. LERRA (a cura di), Il libro e la piazza. Le storie locali dei Regni di Napoli e di Sicilia in età moderna, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2004, e F. BENIGNO – N. BAZZANO (a cura di), Uso e reinvenzione dell‟antico nella politica di età moderna (secoli XVI-XIX), Lacaita, Roma-Bari-Manduria 2006. Tesi di dottorato di Cristina Ciccarelli, discussa presso l‟Università degli Studi di Udine questo il termine dal quale prende avvio la ricognizione dei testi, anche se non ho tralasciato di fornire un quadro sommario delle scritture precedenti. Le ultime storie censite nella ricerca, invece, risalgono ai primi anni dell‘Ottocento, all‘esordio del Decennio francese (1806). Nel corso di questi tre secoli, la società abruzzese vive vicende alterne: lo svolgersi degli avvenimenti storici che sono il frutto del gioco di forze locali, ma anche delle politiche centrali nonché riflesso di un più ampio scenario di equilibri italiani ed europei verrà affrontato nel primo capitolo e costituirà lo sfondo economico e culturale in cui le storie locali vengono elaborate. Accanto all‘arco cronologico identificato, anche la scelta di delimitare lo spazio a cui la ricerca fa riferimento va giustificata. L‘Abruzzo rappresenta, infatti, una delle realtà più significative del Mezzogiorno. Sono notevoli le differenze4 che intercorrono tra il volto odierno della regione abruzzese e quello che essa acquisisce nel basso medioevo e mantiene per tutta l‘età moderna, sino agli anni dell‘unificazione italiana5. L‘Abruzzo allora costituiva la più ampia regione del Mezzogiorno, estendendosi a sud, fino alla città di Agnone, e comprendendo, verso occidente, l‘intero circondario di Cittaducale, ceduto solo nel 1927 alla neocostituita provincia di Rieti. Sul versante settentrionale i confini della regione coincidevano con il perimetro del Regno di Napoli: quel termine era stato definito nel triennio 1140-1143, «con la completa occupazione militare dell‘Abruzzo, fino al confine segnato dal fiume Tronto»6. Tuttavia esso costituiva un confine talmente labile che 4 Nel corso delle epoche, la penisola italiana ha conosciuto una riscrittura dei confini, con cui i diversi governi hanno cercato di rispondere alle necessità di controllo e di amministrazione del territorio, tenendo in considerazione solo relativamente i sentimenti di appartenenza alle realtà locali. Artefici di queste ―invenzioni‖ sono state le molteplici ―regionalizzazioni‖ che, rivisitate nel corso delle diverse epoche e rimaneggiate ancora fino al secolo scorso, non hanno ancora oggi risposto adeguatamente alla complessa situazione di identità locali plurime della penisola, per quanto abbiano cercato di rispondere alle esigenze amministrative e politiche del momento. I dibattiti più accesi si sarebbero avuti negli anni della unificazione italiana, e soprattutto nei decenni a seguire quando l‘esigenza di decentrare il potere e di garantire un controllo delle singole aree ha posto l‘attenzione sulla necessità di costruire una mappa non eccessivamente frammentata della penisola e ha portato all‘ideazione dell‘attuale assetto nazionale. Si tratta di operazioni, volute dai vertici della politica, «di cui lo stato si è servito per dare organicità e uniformità istituzionale ai complessi umani - territorialmente definiti in entità di diversa origine storica - che lo formano, alle energie e quindi alle produzioni che ciascuno di loro è in grado di metter in opera, e ai rapporti fra loro» (L. GAMBI, Le «regioni» italiane come problema storico, in «Quaderni Storici», 34, 1977, p. 276). Si veda, inoltre, L. GAMBI, L‟«invenzione» delle regioni italiane, in Identità territoriali e cultura politica nella prima età moderna / Territoriale Identität und politische Kultur in der Frühen Neuzeit, a cura di / hrsg. Von M. BELLABARBA – R. STAUBER, Il Mulino - Duncker & Humblot, Bologna - Berlin 1998, pp. 375-380. 5 L‘unico cambiamento significativo si ha nel Decennio francese con la legge 132 Sulla divisione ed amministrazione delle province del Regno, varata l‘8 agosto del 1806 – che soppresse definitivamente il sistema dei Giustizierati – e di una serie di decreti regi, emanati tra il 1806 e il 1811, che avrebbero completato l‘iter istitutivo delle nuove province con la nuova definizione dei limiti territoriali e delle denominazioni di distretti e circondari in cui venivano suddivise le province. L‘Abruzzo Ultra fu diviso in due parti: l‘Abruzzo Ultra I, comprendente l‘attuale provincia aquilana e diciassette comuni oggi appartenenti alla provincia di Rieti, e l‘Abruzzo Ultra II, che si estendeva sul territorio compreso tra i fiumi Tronto e Pescara e chiuso ad ovest dalla catena del Gran Sasso. 6 G. BRANCACCIO, In Provincia. Strutture e dinamiche in Abruzzo Citra in età moderna, ESI, Napoli 2001, p. 8. 2 Tesi di dottorato di Cristina Ciccarelli, discussa presso l‟Università degli Studi di Udine per secoli avrebbe visto «transitare da una sponda all‘altra del Tronto popolazioni, merci e armenti in cerca di sistemazioni migliori quali poteva offrire il territorio ascolano»7. Si trattava di una fascia territoriale in cui convergevano molteplici interessi, e questo contribuì a rendere complessa, meno organica l‘identità di questa regione e di quelle limitrofe8. Il rapporto dialettico con le realtà locali adiacenti era andato infatti a privilegiare il rafforzamento, tra l‘età medievale e le epoche successive, la coesione sociale, culturale, economica di una vasta area sovraregionale che scavalcava i limiti politici del Regno napoletano e dello Stato pontificio e coinvolgeva i territori delle Marche, dell‘Umbria, dell‘Abruzzo e del Lazio. Si trattava, dunque, di una vera e propria frontiera zonale, da intendersi come spazio fluido, molle, mobile, in cui coesistevano le tendenze antitetiche alla ―compenetrazione‖ e alla ―distinzione‖, operanti nei rapporti tra popolazioni vicine9. Allo stesso modo, un‘altra forza centrifuga aveva costantemente proiettato verso l‘esterno i 7 B. RUCCI, Gli sconfinamenti nel “Regno” nell‟attività normativa del comune di Ascoli nel „700, in R. RICCI – A. ANSELMI (a cura di), Il confine nel tempo, Atti del convegno, Ancarano 22-24 Maggio 2000, Colacchi, L‘Aquila 2005, p. 659. 8 Ascoli, a causa della sua posizione al di sotto del fiume, aveva da sempre proiettato il proprio sguardo verso il Regno e gli stessi re napoletani, per mantenere la salvaguardia dei confini, avevano assegnato allo Stato adiacente numerosi centri e territori posti a sud del Tronto. Per quattordicimila ducati Carlo III, nel 1385, aveva infatti venduto agli ascolani i castelli di Colonnella, Nereto, Gabbiano, Torre del Tronto e Montorio, «porzione territoriale che si andrà tuttavia assottigliando nei secoli successivi» (Ivi, p. 660) a causa del riassorbimento di Colonnella e Nereto. La prima, infatti, avrebbe percorso, al pari di numerose altre città di confine, la strada dell‘infeudamento. Concessa a Benedetto Rosales da Carlo V nel 1535 come azione punitiva contro le sommosse sollevate dagli Ascolani, Colonnella sarebbe stata acquisita ai primi del XVII secolo al duca di Atri, Andrea Matteo Acquaviva, e più tardi, nel 1640, a Diana Di Capua. Nereto, invece, rimase ascolana fino al XVIII secolo quando, oggetto di ostinate opposizioni e resistenze per venticinque anni, nel 1735 fu definitivamente riassorbita dal Regno di Napoli. 9 Sono numerosi i contributi che, nel corso degli ultimi cento-centocinquant‘anni, hanno tentato di definire i concetti di confine e frontiera, in un approccio interdisciplinare che ha coinvolto principalmente storici, antropologi, geografi, sociologi, economisti. Nel campo della geografia i primi a rivolgere l‘attenzione al concetto di ―frontiera‖ come realtà mobile, fluida, lontana dalla linearità propria del confine, sono gli studiosi francesi che tra la fine dell‘Ottocento e i primi decenni del Novecento offrono importanti spunti per gli approfondimenti che verranno messi in atto negli anni successivi. Considerate l‘ampiezza del tema e la lunga tradizione di studi ad esso dedicati, sembra importante ricordare un gruppo di lavori recenti e coordinati, quali: C. DONATI (a cura di), Alle frontiere della Lombardia. Politica, guerra e religione nell'età moderna, Franco Angeli, Milano 2006; M. AMBROSOLI – F. BIANCO (a cura di), Comunità e questioni di confini in Italia settentrionale (XVI-XIX sec.), Franco Angeli, Milano 2007; A. PASTORE (a cura di), Confini e frontiere nell‟età moderna. Un confronto tra discipline, Franco Angeli, Milano 2007; B. A. RAVIOLA (a cura di), Cartografia del Monferrato. Geografia, spazi interni e confini in un piccolo Stato italiano tra Medioevo e Ottocento, Franco Angeli, Milano 2007; E. FASANO GUARINI – P. VOLPINI (a cura di), Frontiere di terra, frontiere di mare. La Toscana moderna nello spazio mediterraneo, Franco Angeli, Milano 2008; W. PANCIERA (a cura di), Questioni di confine e terre di frontiera in area veneta. Secoli XVI-XVIII, Franco Angeli, Milano 2009. Non si possono trascurare i contributi presentati in: M. BELLABARBA – R. STAUBER (a cura di/hrsg. von), Identità territoriale e cultura politica nella prima età moderna / Territoriale Identität und politiche Kultur in der Frühen Neuzeit, cit.; E. HUBERT, Une région frontalière au Moyen Âge: les vallées du Turano et du Salto entre Sabine et Abruzzes / sous la direction d'Etienne Hubert, École française de Rome, Roma 2000; P. MARCHETTI, De iure finium. Diritto e confini tra tardo medioevo ed età moderna, Giuffrè, Milano 2001; E. IVETIC – D. ROKSANDIC (edited by), Tolerance and intolerance on the triplex confinium. Approaching the “Other” on the Borderlands Eastern Adriatic and beyond -1500-1800-, Libreria Editrice Università di Padova, Padova 2007; P. GUGLIELMOTTI, Visti dal Medioevo, «Rivista Storica Italiana», CXXI (2009), 1, pp. 176-183; L. BLANCO, Confini e territori in età moderna: spunti di riflessione, «Rivista Storica Italiana», CXXI (2009), 1, pp. 184-192; B. A. RAVIOLA, Frontiere regionali, nazionali e storiografiche: bilancio di un progetto di ricerca e ipotesi di un suo sviluppo, «Rivista Storica Italiana», CXXI (2009), 1, pp. 193-202. 3 Tesi di dottorato di Cristina Ciccarelli, discussa presso l‟Università degli Studi di Udine singoli centri abruzzesi, impegnati a coltivare un dialogo vivace con le grandi capitali del commercio, della politica, della cultura italiana, in particolar modo con Roma e Napoli. Compreso tra il Mare Adriatico e la catena appenninica che per larga parte lo attraversa, l‘Abruzzo costituiva, dunque, una ―cerniera‖ chiusa nei confronti dell‘esterno, in quanto prima terra del Regno di Napoli esposta alle invasioni dei soldati stranieri, vulnerabile agli attacchi via mare dei Turchi, e quindi terra da difendere, con fortezze sulle coste e mura che proteggessero le città; ma era anche una «cerniera aperta»10 allo scambio economico e al confronto sociale e culturale. Le popolazioni italiche, che sin dall‘età antica si erano insediate nella regione storico- geografica del Sannio, avevano dovuto adattarsi ad un ambiente impervio, occupato in buona parte dalla catena montuosa dell‘Appennino. Il loro stanziamento si era sviluppato in una miriade di comunità arroccate sui pendii dei massicci montuosi. Quello stesso policentrismo, che aveva caratterizzato i popoli italici, prefigurava la frammentarietà di una regione che anche in età moderna continuava a rimanere tale. Mancando, infatti, un centro urbano preminente sul resto del territorio, ci si trovava di fronte ad un quadro regionale caratterizzato da un alto numero di cittadine medio-piccole e talora minuscole, orgogliose della propria individualità, affiancate da una miriade di villae e di castra, arroccate su ―rocche‖ e ―pizzi‖, fino alle altitudini più elevate. Il policentrismo, la frammentarietà che contraddistingue gli insediamenti si riverbera anche sulle relazioni politiche tra centri. Tra le singole città abruzzesi si era instaurata, nel tempo, una complessa rete di relazioni, caratterizzata da alleanze, contese e rivendicazioni. A ciò si aggiunge il fatto che le singole comunità avevano intrattenuto con il potere centrale relazioni asimmetriche, cosa che acuiva ulteriormente le differenze tra esse: per buona parte dell‘epoca moderna, infatti, la storia aquilana fu segnata dall‘opposizione alla capitale, mentre città come Chieti furono costantemente impegnate a rafforzare il proprio ruolo nella macchina del Regno. Va inoltre considerata l‘influenza delle istituzioni ecclesiastiche, così come anche la presenza di illustri casati ―stranieri‖, che s‘insediarono nella regione acquisendo città e feudi, dai quali trarre una rendita a lungo termine. Dunque, sul territorio le forze locali erano tutte concentrate a consolidare il proprio potere sulle singole città e sui contadi, e preferivano sottostare al predominio di un‘autorità esterna, pur di salvaguardare i propri interessi. In una condizione, come questa, di accentuata disomogeneità economica e politica, caratterizzata da progettualità diverse e a volte divergenti, faticava ad affermarsi una autopercezione ―abruzzese‖: l‘erudizione avrebbe tardato a concepire l‘identità regionale nella sua unitarietà e avrebbe preferito sostenere i più forti particolarismi cittadini o sub-regionali. Con questa ricerca ci proponiamo quindi di analizzare le diverse scritture storiche che hanno contribuito a disegnare, nel corso dell‘età moderna, le diverse idee di appartenenza, 10 L‘espressione è usata da Lucien Febvre per definire il ruolo dell‘Appennino nella penisola (L. FEBVRE, La terra e l‟evoluzione umana. Introduzione geografica alla storia (1922), Einaudi, Torino 1980, pp. 351- 352). 4 Tesi di dottorato di Cristina Ciccarelli, discussa presso l‟Università degli Studi di Udine attraverso la ―riscoperta‖ ed il riuso, anche in termini politici, di caratteri che già la storiografia antica aveva individuato. Nel secondo capitolo verrà messo in luce come in questa ricca produzione sia possibile individuare alcuni filoni memorialistici ricorrenti, quali le storie di città, le storie di popoli, le storie della regione, le storie di uomini e le storie di casati illustri. Ciascuna di queste pratiche erudite testimonia una precisa immagine identitaria che si intende fissare nello scenario culturale coevo. Date le premesse, è facile comprendere perché solamente due eruditi abruzzesi, uno quasi a metà ‗600, l‘altro nel secolo successivo, abbiano voluto ricostruire la storia della regione, quando invece i letterati di altre aree della penisola rivendicarono molto prima la propria autocoscienza regionale. In Abruzzo prevalgono le storie cittadine, a dimostrazione del fatto che il terreno privilegiato su cui costruire il senso appartenenza è legato alla singola comunità, la ―Madre patria‖. Le prime pubblicazioni appaiono nella seconda metà del Cinquecento, quando l‘erudizione partenopea è impegnata a costruire l‘immagine storiografica del Regno, focalizzando completamente la propria attenzione sulla capitale, Napoli, polo d‘attrazione del Mezzogiorno, in cui gravitano i principali interessi politici, economici e culturali del Regno. In quel periodo la scrittura delle storie locali diventa un fenomeno che tende ad accomunare gran parte delle città meridionali, le cui élites di governo affidano la redazione delle memorie patrie a professionisti della scrittura, sollecitati, in più di un‘occasione, anche dall‘avvio di progetti editoriali di portata sovranazionale. I rappresentanti del potere locale intendono affermare infatti la propria presenza nell‘impianto politico del Regno e difendere la propria autonomia, anche mediante la pratica culturale. Il binomio ―identità patrizie‖ – ―coscienza cittadina‖11 tende, quindi, a proporsi come uno dei leitmotiv che animano una cospicua parte della produzione memorialistica abruzzese. L‘appartenenza allo spazio locale, in cui la comunità ha affondato ormai da secoli le proprie radici, favorisce la costruzione dell‘identità cittadina che ingloba in sé le identità dei diversi gruppi sociali, in particolare quella patrizia, legata ad un gruppo sociale e politico che di generazione in generazione condivide valori, norme, ideologie12. Grazie alla stessa posizione dominante che occupa nella comunità, l‘élite di governo è interessata a garantire il consolidamento dell‘identità collettiva e a saldare il legame tra l‘autocoscienza cittadina e quella nobiliare. Le memorie patrie diventano, dunque, lo strumento attraverso il quale fissare questo vincolo, oltre che conservare il prestigio nobiliare. Per questo motivo, accanto alle storie cittadine si riscontra la diffusione di un altro nucleo di testi memorialistici, specificamente legati ai casati locali. Le storie di famiglia vengono elaborate tra Sei e Settecento per soddisfare le istanze di legittimazione 11 L‘espressione è tratta da un importante contributo di Francesco Campennì, che nell‘introduzione al testo descrive in maniera esaustiva la relazione che intercorre tra questi due elementi: si veda La patria e il sangue. Città, patriziati e potere nella Calabria moderna, Lacaita, Manduria-Roma-Bari 2004, p. 27. 12 P. PRODI, Introduzione: evoluzione metamorfosi delle identità collettive, in P. PRODI – W. REINHARD (a cura di), Identità collettive tra Medioevo ed Età Moderna, Convegno internazionale di studio, Università di Bologna, Clueb, Bologna 2002, pp. 9-27. 5 Tesi di dottorato di Cristina Ciccarelli, discussa presso l‟Università degli Studi di Udine

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Percezione e rappresentazione dell'Abruzzo in Antico Regime. 2. Comitiis Imperatorum di Panuinio e traccia il profilo di Berardo Re d'Italia, Pipino
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