Palaver Palaver 7 n.s. (2018), n. 1, 47-90 e-ISSN 2280-4250 DOI 10.1285/i22804250v7i1p47 http://siba-ese.unisalento.it, © 2018 Università del Salento Ugo Vuoso Ceic – Centro Etnografico Campano-Istituto di Studi Storici e Antropologici Neorealismo e antropologia: Visconti e De Martino in Lucania Qui niente è vero, e tutto è vero (Lo straniero di Luchino Visconti, 1967) Abstract In the late nineteen fifties in Lucania, an area that became symbolic as regards the peasant condition which would be redeemed and changed through new programmes and politics, Ernesto De Martino studies and records the ancient mythical and ritualistic performance of the “game of the sickle”. In the same period Luchino Visconti studies the location and makes a detailed anthropological research for “Rocco and his brothers”, one of the masterpieces of Italian neo-realism, released in Italy in 1960. That same year L. Del Fra presents “A passion for wheat”, a documentary based on the documents and archive material of the research conducted by De Martino. Visconti’s neo-realism and the anthropological studies in southern Italy are connected by the same methodology used and the creation of the paradigms of the first “anthropological cinema” or documentary which in Italy is, in its beginnings, the “meridional” cinema. Keywords: Italian anthropological cinema; meridional studies; neorealism; Ernesto De Martino; Luchino Visconti. 47 Ugo Vuoso Nel 1959 Ernesto De Martino trascorre il mese di giugno a San Giorgio Lucano, dove si reca con il fotografo Franco Pinna per studiare e documentare “il gioco della falce”, l’antico rito contadino che rievoca la cattura e la messa a morte dello “spirito del grano”. Alla rappresentazione mitico-rituale Lino Del Fra, l’anno dopo, dedicherà il film Passione del grano (1960). È, quello del 1959, l’ultimo viaggio che De Martino compie in Lucania. Dalla primavera successiva, infatti, il baricentro delle sue indagini sul campo si sposterà in Salento, la terra del rimorso. La scoperta della Lucania da parte di De Martino risale a un periodo compreso tra il 1949 ed il 1951, quando è ospite di Rocco Scotellaro a Tricarico1. 1 Guidato sul campo da Rocco Scotellaro, De Martino conduce un’inchiesta sulla miseria bracciantile per conto della CGL di Matera e raccoglie un certo numero di documenti biografici contadini che confluiscono nell’ Inchiesta sulla miseria del salariato agricolo, rimasta poi inedita. Pubblica invece su “Società” le Note lucane (1950) e l’altro saggio Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni (1953). Ma è nel 1952 che lo studioso progetta e realizza la prima ricerca sul campo-a cui ne seguiranno svariate altre- alla quale prendono parte, con Vittoria De Palma e Mario Venturoli, l’etnomusicologo Diego Carpitella e il fotografo Franco Pinna. Centocinquanta fotografie in bianco e nero (andate perdute) e 147 fra canti popolari e brani documentali su temi magico-religiosi, testimoniavano un mese di incontri, di osservazioni, di riflessioni a contatto con contadini, pastori, artigiani di Grottole, Pisticci, Colobraro, Matera e di altre nove località della Basilicata. Per un compendio delle ricerche sul campo di De Martino in Lucania, si veda Gallini C. , La ricerca sul campo in Lucania. Materiali dall’archivio De Martino, in “La ricerca folklorica”, n. 13, 1983, pp. 105-108 con un’esauriente bibliografia sul periodo. 48 Neorealismo e antropologia: Visconti e De Martino in Lucania. Le suggestioni letterarie e politiche del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi e l’umanesimo della grande stagione neorealista si intrecciavano con i programmi di studio e di esaltazione del “folklore progressivo” e, soprattutto, con le già marcate linee di una profonda riflessione sulla crisi dell’alta cultura europea e del suo rapporto con le società tradizionali, delle quali quella “arcaica” e “magica” della Lucania si rappresentava, evidentemente, come emblematica. Luogo nello stesso tempo mitico e reale, simbolo di una società arcaica e autocomunicante e di una condizione contadina letterariamente quasi sospesa nel tempo e nello spazio, ma insieme emblema di un Mezzogiorno da riscattare e trasformare profondamente attraverso politiche di segno differente, la «Lucania magica e desolata» divenne negli anni Cinquanta del ’900 una sorta di laboratorio etnografico dove poter sperimentare metodiche e tecniche d’indagine elaborate all’interno di scuole di vario orientamento e diversa provenienza2. La fine degli anni Cinquanta segna, nel rapporto fra De Martino e la Lucania, un confine significativo. Per lo studioso di origine napoletana si chiude un decennio di intensa attività di ricerca e di studio, di innovazione metodologica, di impegno politico e culturale in cui la Lucania ha sempre rivestito un ruolo fondamentale e simbolico, quello di una sorta di “patria culturale” in cui, attraverso l’osservazione partecipante della 2 Mirizzi F., La Basilicata dopo Levi, laboratorio e centro propulsivo di studi demoetnoantropologici, in "Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia. Università degli Studi della Basilicata", 2000, pp. 177-207. 49 Ugo Vuoso “ricerca sul campo” era stato possibile sperimentare e documentare tratti e manifestazioni magico-religiose sopravviventi nell’arcaicità del mondo contadino tradizionale. Queste esperienze di ricerca e di studio erano state poste alla base di saggi come Morte e pianto rituale nel mondo antico (1958) e Sud e magia (1959), forse il più noto fra i lavori demartiniani. Nel dicembre di quel 1959 Luchino Visconti ed i suoi collaboratori effettuano un viaggio nel materano per documentare la cultura d’origine dei cinque fratelli Parondi e della loro madre, protagonisti del nuovo film del regista milanese, Rocco e i suoi fratelli, le cui riprese inizieranno a Milano il 22 febbraio 19603. 3 Due allestimenti teatrali, uno di prosa (Figli d’arte) e uno lirico (Il Duca di Alba), precedono l’inizio delle riprese di Rocco e i suoi fratelli, che Visconti presenta alla Mostra veneziana del 1960, ancora una volta non vincendo “malgrado il suo film sia di gran lunga il migliore in concorso”. Parzialmente ispirato a “Il ponte della Ghisolfa” di Giovanni Testori, Rocco e i suoi fratelli è la storia di cinque fratelli lucani emigrati a Milano con la loro madre; del loro disperdersi nella metropoli, chi cercando recuperi in una disponibile bontà (Rocco), chi compensazioni in una crudele violenza (Simone), chi imborghesendosi (Vincenzo), chi riuscendo a salvarsi con una relativa chiarezza di prospettive (Ciro), chi sperando un giorno di fare ritorno nella terra dei padri (Luca). Il film assume tonalità tragiche quando Simone accoltella Nadia, una prostituta che si rifiuta di continuare a stare con lui (perchè innamorata di Rocco). Le vicissitudini censorie di Rocco e poi quelle dell’Arialda, esasperano Visconti al punto che il regista si trasferisce a Parigi, dove mette in scena, protagonista Romy Schneider, un’edizione francese del dramma elisabettiano Peccato che sia una puttana. Al suo ritorno in Italia, il moralismo dei 50 Neorealismo e antropologia: Visconti e De Martino in Lucania. In quella Lucania, due importanti Autori - diversi per estrazione, formazione e lavoro ma accomunati dal medesimo orientamento sociopolitico e “meridionalista”-, si alternano sullo stesso campo per documentare ed interpretare una umanità altra, esclusa e muta, lontana nella sua arcaicità ma immanente nella sua soggettività storica. Il cinema realista viscontiano e gli studi antropologici nell’ Italia meridionale si incontrano nella comunanza metodologica degli “studi d’ambiente”, dell’ osservazione partecipante, nella costruzione dei paradigmi del primo “cinema antropologico” o documentaristico che in Italia nasce come cinema meridionalista. benpensanti è nuovamente urtato dall’allestimento della Salomè al Festival di Spoleto. Rocco e i suoi fratelli Regia di Luchino Visconti; Aiuto regista: Rinaldo Ricci; Assistenti alla regia: Jerry Macc e Lucio Orlandini; Soggetto di Luchino Visconti, Vasco Pratolini e Suso Cecchi d'Amico, ispirato al libro Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori; Sceneggiatura di Luchino Visconti, Suso Cecchi d'Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa ed Enrico Medioli. Musica di Nino Rota; Scenografia di Mario Garbuglia; Costumi di Piero Tosi; Fotografia di Giuseppe Rotunno; Montaggio di Mario Serandrei; Prodotto da Goffredo Lombardo per la Titanus, Roma, e Les Films Marceau, Paris; Proiettato in pubblico per la prima volta al Festival di Venezia nel 1960. Interpreti: Alain Delon (Rocco), Renato Salvatori (Simone), Annie Girardot (Nadia), Katina Paxinou (Rosaria), Roger Hanin (Morini), Paolo Stoppa (Cecchi), Suzy Delair (Luisa), Claudia Cardinale (Ginetta), Spiros Focas (Vincenzo), Max Cartier (Ciro), Rocco Vidolazzi (Luca), Corrado Pani (Ivo), Alessandra Panaro (La fidanzata di Ciro), Claudia Mori e Adriana Asti (Le ragazze della Locandiera). 51 Ugo Vuoso Nel 1953 Jean Rouch, scrivendo sul rapporto cinema documentario/di finzione, affermava: La cinematografia infatti, nel suo insieme, ci appare come una specie di biblioteca di romanzi e di scienze, una finzione da cui ogni sincerità è quasi del tutto esclusa: il documento è respinto nel corto metraggio che fa da ‘complemento’ agli spettacoli, e il documentario etnografico appare ai più soltanto come una pellicola noiosa che non è prudente diffondere. Ora, il film etnografico non è nient’altro che un film dell’uomo: al rigore della osservazione lega l’arte della realizzazione cinematografica. Purtroppo dobbiamo riconoscere che queste due condizioni sono raramente raggiunte insieme ed appieno: quando i cineasti fanno dei film etnografici, nascono dei veri film, che non sono però etnografici; e quando gli etnografi fanno dei film, le loro opere sono etnografiche, ma non sono dei film. Saremmo dunque ad un punto morto, se qualche realizzazione esemplare non ci dimostrasse che una soluzione c’è, ed è una soluzione assai semplice4. Il film di Visconti La terra trema (1947) è stata una di quelle soluzioni, un’opera che è diventata un elemento di confronto e di ispirazione per molte cinematografie sperimentali europee5. 4 Rouch J., Rinascita del film etnografico, in “La Lapa” , a. I nr. 2, dic. 1953, pp. 34-35. 5 Su La terra trema si vedano: Micciché L., Visconti e il neorealismo: Ossessione, La terra trema, Bellissima, Venezia, Marsilio 1998; Id. (a cura di), La terra trema di Luchino Visconti. Analisi di un capolavoro, Torino, Lindau 1993; Gesù S. (a cura di), “La terra trema” un film di Luchino Visconti, Lipari, Centro Studi Lipari 2006. 52 Neorealismo e antropologia: Visconti e De Martino in Lucania. Ha notato acutamente S. Bernardi: A differenza del realismo nel cinema classico, che Metz avrebbe chiamato ‘illusione di realtà diegetica’, prodotta dalla continuità del racconto, dalla coerenza della messa in scena e dal montaggio trasparente, il realismo de La terra trema è basato sugli effetti del reale. Non sulla continuità, ma sulla frammentazione, non sulla costruzione e sulla reinvenzione di un mondo immaginario, ma sulla fotografia di luoghi e persone reali che interpretano una storia per noi. È uno dei primi casi nella storia del cinema in cui la rappresentazione dispiega i suoi mezzi sotto i nostri occhi: siamo davanti a una scrittura rotta, appunto, per eccesso di precisione, che persegue non l’integrazione dello spettatore dentro la finzione, ma un tipo di coinvolgimento più forte. Il punto di vista è sempre sdoppiato: il tanto discusso atteggiamento estetico, o secondo alcuni addirittura estatico, con cui Visconti guarda i suoi personaggi, e che dispiacque alla critica italiana per molti anni ancora dopo l’uscita del film, fa parte di questa differenza fra osservatore e osservato, fra uno sguardo intriso di cultura e un mondo che tuttavia emerge forte e sicuro, autonomo rispetto all’osservatore. Tutto quindi è semplice e nello stesso tempo tutto è complesso”6. Il rigore metodologico, la cura formale, il realismo, lo spessore contenutistico che caratterizzano l’opera artistica di 6 Bernardi S., “Il mito, il teatro, la storia”, in Ravadelli P. (a cura di), Il cinema di Luchino Visconti, Biblioteca di Bianco e Nero, Venezia 2000, p.73. 53 Ugo Vuoso Visconti e quella scientifica di De Martino, la critica le riscontra nelle esemplari sintesi di alcuni autori cinematografici. La lezione viscontiana, articolata anche in una pratica formativa che ha riguardato decine di giovani attori e di aiutanti registi, di tecnici e di organizzatori della produzione cine- teatrale dell’Italia neorepubblicana, è stata interiorizzata e praticata da gruppi di esordienti registi che si sono dedicati al documentario (Vittorio De Seta, Vito Pandolfi, Giuseppe Ferraro, Luigi Di Gianni, Gianfranco Mingozzi, Cecilia Mangini, Lino Del Fra per citarne alcuni) ma anche ad una cinematografia che ha avuto per protagonisti contadini o pastori. Nella stagione 1961-62 escono film come Banditi a Orgosolo di De Seta, Il brigante di Renato Castellari e Salvatore Giuliano di Francesco Rosi (aiuto regista di Visconti ne La terra trema). Sono film che si realizzano “dopo un accuratissimo studio d’ambiente”, applicando quasi alla lettera l’esempio di De Martino, tanto che Tullio Kezich li indica come una triade filmica in cui viene raggiunta la “consapevolezza antropologica”. La correlazione fra il neorealismo (il “cinema totale” viscontiano), l’antropologia e il cinema documentaristico è implicitamente riconosciuta da Luigi Di Gianni il quale, in una intervista del 1991 afferma, parlando della sua collaborazione con De Martino: … mi parlò semplicemente di questo paese, dove era stato un mese con la sua equipe e aveva fatto degli studi. Io cercavo proprio un caso limite come fatto emblematico del mondo remoto che ancora sopravviveva nel Sud. Ma cercavo anche un episodio di denuncia sociale. Così, sulla base di queste 54 Neorealismo e antropologia: Visconti e De Martino in Lucania. notizie, mi avviai in questa nuova avventura e realizzai il secondo documentario. Dopo la prima esperienza con De Martino, girai il secondo con Lino Del Fra e Gianfranco Mingozzi (che poi girò la Taranta, ma in epoca successiva). Così, mentre il primo documentario seguiva di più certe tracce scientifiche di De Martino, anche con momenti di espansione e di invenzione, il secondo aveva un carattere più extrascientifico. Anche se ho avuto suggerimenti da personaggi importanti come De Martino, ed altri, i miei documentari non hanno mai preteso di essere delle opere scientifiche. Se poi hanno un valore scientifico, lo hanno acquistato a posteriori, in quanto sono dei documenti. Ma io ho sempre cercato di muovermi in una dimensione personale, alla ricerca, non tanto del dato obbiettivo, nel quale non credo (perché è assolutamente inafferrabile), ma di una soggettività, di un modo di affrontare, con la mia sensibilità, vicende, paesaggi, gente, un modo di vita. La mia ricerca tendeva, più che al cinema scientifico, ad un cinema che voleva esprimere dall’interno una condizione umana. E questo intento viene più chiaramente fuori nel secondo documentario. È da tener presente un’altra cosa: sia Magia lucana che Nascita e morte nel meridione non si basavano su documenti. Era tutto ricostruito; costruito, però, secondo una maniera classica di costruire sulla base di certe verità accertabili e accertate. Naturalmente, poi, la sensibilità soggettiva spinge più in un senso che in un altro. Si prendevano dei personaggi, dei contadini e si ponevano nelle loro case, o in case che rispondessero a certe esigenze visive, specifiche, 55 Ugo Vuoso cinematografiche, che avessero un certo spessore di immagine, e si facevano recitare. Però recitavano se stessi, la loro vita vista in termini essenziali. È qui la differenza tra finzione e documentario; perché il documentario era l’essenzialità della vita e del gesto, senza orpelli, addirittura un’essenzialità tale che qualcuno, anche persone ragguardevoli nel campo del cinema, avanzavano critiche di questo genere: -Come mai nessuno si soffia il naso?- Ma a me questo naturalismo non interessa. La realtà è vista nella sua essenzialità emblematica, non in termini naturalistici, tendendo di più verso l’immagine che verso una ricostruzione naturalistica del dettaglio7. È in Lucania, vero e proprio loro luogo comune, che il regista e l’etnologo si sfiorano, mancando un incontro che non è mai stato cercato e che ci lascia intendere le manifeste distanze che intercorrevano fra i due, oltre alle loro possibili similitudini operative, alle convergenze ideologiche, alle consonanze di vedute. Sud e magia da una parte e Rocco e i suoi fratelli dall’altra, ancorché prodotti culturali fra loro diversi, si completano e si integrano in una serie cospicua di rimandi e di correlazioni: la Lucania proiettata nel suo passato tradizionale e quella trasmigrata nella metropoli del Nord, l’immobilità dell’arcaismo 7 In: Iaccio P., Il Mezzogiorno tra cinema e storia. Ricordi e testimonianze, Napoli, Liguori 2002, p. 141. Sul nr. 19 di “Filmcritica” del 1952 De Martino pubblicò un articolo dal titolo Realismo e folklore nel cinema italiano, ora riportato in Martelli S., Il crepuscolo dell’identità. Letteratura e dibattito culturale negli anni ‘50, Salerno, Laveglia 1988, pp. 140-141. 56
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