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L'archivio segreto di Mussolini PDF

56 Pages·1997·0.25 MB·Italian
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ARRIGO PETACCO. RISERVATO PER IL DUCE.txt ARRIGO PETACCO RISERVATO PER IL DUCE I segreti del regime conservati nell'archivio personale di Mussolini Editore: Edizione Club degli Editori, su licenza della Arnoldo Mondadori Editore, 1979. AVVERTENZA Questo libro è nato in maniera diversa dagli altri miei; non è il frutto di una ricerca su un preciso argomento, ma della lettura attenta, ma anche curiosa, discontinua e stimolante di appunti, rapporti, spiate, lettere personali e anonime, denunce, pettegolezzi, calunnie e intercettazioni che Benito Mussolini conservò gelosamente per vent'anni fra le carte segrete del suo archivio personale. Mussolini era un uomo preciso fino al limite della pignoleria. Per esempio, usò sempre lo stesso tipo di pennino a punta quadra e lo stesso tipo di matita rossoblù (marca Faber). Non buttò mai via nulla di quanto passava sul suo tavolo di Capo del Governo, neppure un invito a pranzo o una partecipazione di nozze. Tutto ciò che lui leggeva e annotava veniva accuratamente conservato in appositi fascicoli dal capo della Segreteria Particolare del Duce (nella carica si succedettero nell'ordine: Alessandro Chiavolini, Osvaldo Sebastiani e Nicolò De Cesare); cosicché, allo scadere improvviso del suo mandato (25 luglio 1943) il suo archivio personale occupava molti scaffali. Regolandosi in questo modo Mussolini aveva obbedito, consapevolmente o no, a una disposizione di legge che prescrive siano conservate (e a suo tempo affidate all'Archivio Generale dello Stato) tutte le carte del Capo del Governo in carica: dai documenti più delicati alle scartoffie più insignificanti, compresi i calendari e le agende personali. Nessun altro Capo del Governo, a quanto mi risulta, è stato finora tanto preciso quanto lui. È vero, si dirà, che la caduta del regime fascista è stata così repentina e verticale da impedirgli l'eliminazione delle carte più compromettenti; resta comunque il fatto che esse sono ora a completa disposizione degli studiosi. Come ho già detto, nei dossier di Mussolini c'è di tutto, e riferire dei loro contenuti in maniera organica sarebbe impresa estremamente complessa, e anche un po' noiosa. Ho perciò preferito piluccare qua e là le carte che più stuzzicavano il mio interesse e la mia curiosità: come le "informative" di polizia che riassumevano quotidianamente, per uso esclusivo del Capo del Governo, le voci, le mormorazioni, le denunce e anche le calunnie sull'attività politico-erotico-canagliesca di certi gerarchi del regime; o come certe inedite testimonianze sulla vita privata del Duce, dai suoi ricordi di scuola alle bozze degli articoli e dei romanzi d'appendice che egli scriveva in gioventù quando stentava a legare il pranzo con la cena; o come, ancora, certe sconosciute lettere d'amore che gli scriveva una ragazzina di quattordici anni, di nome Claretta Petacci... Ed ora qualche informazione. L'archivio personale del Duce scomparve da Palazzo Venezia subito dopo il 25 luglio 1943 e venne ritrovato per caso, nel febbraio del 1944, nella stazione ferroviaria di Milano chiuso in molte casse abbandonate al deposito bagagli. Dalle indagini svolte dalla polizia della RSI, risultò che il materiale era stato spedito da Roma verso la fine dell'agosto del 1943 per ordine del governo Badoglio. Probabilmente era destinato in Svizzera, ma gli eventi bellici avevano bloccato a Milano la spedizione. Dopo il ricupero, per espressa decisione di Mussolini, le casse furono inviate a Gargnano dove egli allora risiedeva, e lì rimasero fino all'arrivo degli americani che le sequestrarono. Quando l'archivio fu restituito al governo italiano, si notò subito che risultava mancante tutta la parte dedicata agli alti gradi delle Forze Armate. Chi l'avrà fatta sparire? Gli stessi militari che si occuparono dell'imballaggio o i servizi segreti alleati? Mistero. Più tardi vennero tolte anche tutte le carte che riguardavano Galeazzo Ciano, che furono infatti restituite alla vedova per ordine del Tribunale. Quello che restava fu quindi affidato al Ministero dell'Interno che lo tenne fino al 1957, anno in cui, finalmente, il carteggio venne depositato nell'Archivio Generale dello Stato (dove appunto, grazie alla cortesia del personale e alla preziosa assistenza di Renato Grispo, Gaetano Pagina 1 ARRIGO PETACCO. RISERVATO PER IL DUCE.txt Contini, Pia Rinaldi Mariani e Mario Missori, ho potuto svolgere le mie ricerche). Ora, considerando tutte queste sue peripezie, mi pare inutile sottolineare che l'archivio del Duce deve avere subito più di un saccheggio. Tuttavia, ciò che è rimasto è sufficiente per tratteggiare una panoramica, sia pure lacunosa e discontinua, del sottogoverno fascista e anche un profilo, incompleto quanto volete, di quel Mussolini intimo che pochi hanno conosciuto. Ed è quanto ho tentato di fare scrivendo questo libro. A.P. Portovenere, maggio 1979. Parte prima TANTO VA LA GATTA AL LARDO... I STRAZIAMI MA DI BACI SAZIAMI Lui: Devo gettarmi ai tuoi piedi per rivederti? Lei: Sì. Lui: Così mi renderò ancor più ridicolo... Allora solo se mi prostro faresti quella cosa... Lei: Il fatto è che andiamo d'accordo in un punto solo: quello voluto dalla natura. Qui la cosa è divina, perfetta. Ma altro campo non c'è. Lui: E io che credevo di avere trovato un'anima, oltre che un corpo! Ma te la farò pagare. Ora soffro io, ma domani... Lei: Ho fatto male a telefonarti. Lui: Tutte le volte che parli con me mi umili, mi schiaffeggi e non ti giustifichi per ciò che mi hai fatto. Lei: Non devo giustificare nulla. Lui: Ma se me ne hai fatte più di Bertoldo! Lo sanno tutti ormai. E questo mi strazia, mi addolora. Dio quanto mi fai soffrirei Nessuno oserebbe farmi quello che mi hai fatto tu. Lei: Io non ti ho fatto nulla. Lui: Crepa, vigliacca. Il brano che avete letto non è stato tolto dal copione di una commedia amorosa degli anni Trenta, ma dal testo di una delle tante intercettazioni telefoniche eseguite dagli agenti dell'OVRA, la polizia segreta fascista, e conservate nel voluminoso archivio riservato della Segreteria Particolare del Duce (già allora lo spionaggio telefonico era molto diffuso, solo che non c'erano ancora i registratori: lavoravano gli stenografi). Lui è Roberto Farinacci, il ras di Cremona, il più duro fra i gerarchi fascisti. Lei è Gianna Pederzini, famosa cantante lirica e bellissima donna, che fu legata sentimentalmente per alcuni anni all'uomo che venne considerato, a suo tempo, il numero due del regime. Mussolini, infatti, non si accontentava di far sorvegliare i suoi gerarchi per controllare la loro attività politica. Di essi voleva sapere tutto: amori, tradimenti, intrallazzi e ricatti. All'inizio di ogni giorno gli giungevano, col mattinale, decine di rapporti di polizia, relazioni riservate, suppliche e lettere anonime. Lui leggeva tutto ed era di una precisione meticolosa: sottolineava le frasi più significative e annotava sullo stesso foglio i suoi commenti, o le eventuali risposte, usando la matita rossoblù. Dal contenuto di questi dossier, e tenuto conto dei saccheggi che devono avere subito, si ha l'impressione che Mussolini conservasse proprio tutto. Mescolate fra documenti di grande valore storico, si trovano infatti molte carte di nessuna importanza che chiunque altro avrebbe senza dubbio cestinato. In appositi fascicoli sono, per esempio, conservate le 642 lettere d'amore che una grafomane bolognese, di nome Maria Teresa Bellardelli, gli scrisse nell'arco di cinque anni chiedendogli insistentemente un incontro amoroso. Ma ci sono anche lettere di tutt'altro tenore, come quella che gli scrisse il 3 ottobre 1935 Vittorio Emanuele Orlando, quando l'ex Presidente della Vittoria tentò inutilmente di riavvicinarsi al regime che dapprima aveva combattuto. Per la verità, già da qualche anno l'illustre uomo politico liberale cercava di stabilire un contatto col Duce. C'è, per esempio, nel suo fascicolo, una nota informativa del 19 gennaio 1931 nella quale viene segnalato a Mussolini che "S.E. Orlando ha detto a un nostro informatore che i fuoriusciti si ritengono tanto sicuri di tornare in Italia entro il 1931 che già stanno litigando fra di loro per la divisione dei portafogli". Il rapporto così prosegue: "Secondo S.E. Pagina 2 ARRIGO PETACCO. RISERVATO PER IL DUCE.txt Orlando essi sono in errore perché lui, pur non essendo fascista, è convinto che Mussolini, se riuscirà a soffocare l'opposizione interna al Fascismo, potrà vincere e resistere ancora per molti anni. Vi sembrerà strano, ha detto ancora Orlando, di sentirmi parlare così, ma io sono convinto che se dovesse cadere il Fascismo andremmo incontro al bolscevismo: e di fronte a tanto pericolo, io mi sento dieci volte Fascista. D'altra parte, ha concluso Orlando, io non posso davvero lagnarmi del Regime". La lettera inviata da Orlando a Mussolini il 3 ottobre 1935 dice: "Eccellenza, nel momento attuale ogni italiano deve essere presente, per servire. Se l'opera mia, nella pura forma del servizio, potesse essere utile, voglia l'E.V. disporne". Vittorio Emanuele Orlando, l'uomo che molti anni dopo accuserà certi intellettuali dell'Italia democratica di cupidigia di servire, ora è evidentemente di opinione diversa. Tuttavia, Mussolini non ha alcuna necessità dei servizi dell'uomo politico siciliano, gli serve invece la sua lettera per ovvi motivi propagandistici. Così la passa immediatamente ai giornali affinché la pubblichino con grande evidenza. Poi, per giustificare la sua scorrettezza, scrive all'ex Presidente: "Eccellenza, ho creduto opportuno rendere di pubblica ragione la sua lettera. Le affermazioni in - essa contenute - e delle quali nessuno avrebbe potuto dubitare - sono già un servizio reso al Paese". La pubblicazione della lettera, avverte un'altra nota riservata, "ha avuto larga risonanza fra i detriti dei disciolti partiti politici". L'agente N. 40 riferisce al Duce che: "l'ex deputato cattolico, Umberto Tupini, avrebbe detto che la mossa di Orlando, spontanea o provocata, è arrivata comunque in ritardo". E che invece la signora Argentina Altobelli avrebbe detto che "la lettera di Orlando è stata un'abile mossa del Duce per dimostrare alla Corona e all'estero che il Regime Fascista ha anche l'appoggio dei liberali e che quindi non è isolato". In un altro fascicolo, Mussolini si occupa della costituzione dell'IRI (siamo nel 1933). Un agente che si firma Piemonte segnala una flessione generale delle Borse e consensi generali per la nomina di Beneduce alla presidenza dell'IRI. Alla pratica è unito il sunto di una registrazione telefonica relativa a una conversazione fra il senatore Giovanni Agnelli e il professor Vittorio Valletta, amministratore delegato della FIAT. In essa si afferma che il senatore Agnelli sconsiglia di acquistare le azioni dell'IRI perché "le obbligazioni sono per aiutare gli industriali, e noi dovremmo essere piuttosto dall'altra parte. E poi, fin che fosse farsi imprestar soldi dal Governo bene, ma prestarne noi al Governo è un po' troppo! Non le pare caro Valletta?". Roberto Farinacci è il nome che appare più di frequente fra le carte segrete del Duce (e lo incontreremo molto spesso in questo libro). Violento, rude, cinico, sgrammaticato e coraggioso, egli spunta fuori ad ogni occasione. Fra i gerarchi è forse il più corrotto, ma recita spregiudicatamente la parte dell'incorruttibile. Sempre pronto all'accusa, tempesta Mussolini di lettere minacciose che risultano tanto numerose quante sono le denunce a suo carico. Mussolini, che probabilmente lo teme, usa con lui il metodo del bastone e della carota: ora gli risponde per le rime, ora si limita a sottolineare con la matita rossa i suoi svarioni grammaticali e sintattici (come quello contenuto in un suo telegramma dei tempi della Marcia su Roma: Cremona e Mantova non può rinviare). Una prima traccia della lotta fra i due la si ritrova in un fascicolo del 1925. A quell'epoca Farinacci è segretario del partito e non pare affatto rassegnato all'idea di mettere il manganello in soffitta e di indossare il doppio-petto come vorrebbe Mussolini, ormai saldo al potere come Capo del Governo. In quei giorni, infatti, gli squadristi farinacciani ne combinano di tutti i colori. Episodi di violenza vengono segnalati da quasi tutte le città del Nord e, dalle informative riservate che giungono sul tavolo del Duce, appare più che evidente il disegno di Farinacci si sostituirsi all'ormai imborghesito Mussolini quale capo del movimento squadristico. Si segnala, per esempio, da Trieste che gli squadristi, in risposta all'invito di ristabilire l'ordine, cantano una canzone i cui versi sono sottolineati da Mussolini: Ma che ordine / che disciplina: / carneficina / carneficina. E ancora: Vogliamo una repubblica di stracci, ma governata da Roberto Farinacci. Giungono pure a Mussolini dei manifesti spiegazzati (evidentemente staccati dai muri sui quali erano stati affissi) contenenti affermazioni per lui piuttosto allarmanti. Uno dice: Per Farinacci solo e vero Duce del Fascismo, Eja, eja, Alalà! Un altro definisce Farinacci colui che ha salvato il Fascismo dopo la crisi Matteotti. Indispettito e sdegnato, Mussolini chiede telegraficamente spiegazioni a Pagina 3 ARRIGO PETACCO. RISERVATO PER IL DUCE.txt Farinacci, e l'altro gli risponde ribaldo: "Caro Presidente, di quei manifesti ho la stessa responsabilità di quanta ne hai tu quando gridano Viva Mussolini Re". La rottura fra i due si verifica verso la fine del 1925. Lo testimonia un lungo telegramma riservato che Mussolini, per dare maggior ufficialità a quanto scrive, indirizza al Prefetto di Cremona: "Voglia comunicare all'on. Farinacci quanto segue: Ho dato ordine tassativo di emanare entro oggi decreto di scioglimento delle squadre, fra le quali sono molti di dubbia fama, come recenti cronache criminali documentano ampiamente... I miei ordini non si votano, si accettano senza riserve. Poiché quando è in gioco il prestigio del governo sono indiscutibili. Mio ordine è preciso: tutte le formazioni squadristiche, a cominciare dai "corsari neri" del troppo loquace Castelli, saranno sciolte a qualunque costo, dico a qualunque costo. È gran tempo di fare separazione necessaria: i fascisti con i fascisti, i delinquenti con i delinquenti, i profittatori con i profittatori...". Pochi mesi dopo, Roberto Farinacci (che nella doppia veste di segretario del partito e di avvocato ha ottenuto dal Tribunale di Chieti una sentenza vergognosa per gli assassini di Matteotti) sarà esonerato da ogni incarico politico. Alla segreteria del partito è chiamato Augusto Turati; lui si ritira nella sua Cremona e aspetta. Aspetta, ma non demorde. Dalle colonne del suo giornale "Il Regime Fascista" se la prende con tutti: attacca il neo segretario Turati, attacca Italo Balbo, attacca il ministro dell'Interno, Federzoni, e polemizza addirittura con l'organo ufficiale del PNF "Il Popolo d'Italia" del quale è direttore Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. Anche al Duce, Farinacci scrive lettere di fuoco in cui ora lo accusa di volerlo assassinare moralmente e politicamente e ora si lamenta della sua nera ingratitudine. Mussolini per qualche tempo tace, poi, il 10 giugno 1926 gli invia questa lettera personale: Caro Farinacci, alla tua lettera sfogo rispondo molto brevemente e semplicemente quanto segue: a) non è vero che io ti voglia assassinare moralmente e politicamente. Frasi grosse e grottesche. Il vero è piuttosto il contrario. Io da tre mesi faccio il possibile per salvarti politicamente e moralmente. Ma tu non sei stato a posto. Dopo le tue dimissioni da Segretario Generale del Partito hai dimostrato di non saper stare tranquillo nei ranghi, ma hai assunto arie le quali hanno sollevato un disagio abbastanza notevole nel Partito e speranze eccessive in tutti gli avversari. b) Nel mio atteggiamento verso di te dal gennaio del 1926 in poi non giocano affatto i motivi cui alludi - alcuni dei quali assolutamente ridicoli - bensì la tua campagna contro il Ministero dell'Interno; campagna che ritengo profondamente ingiusta e dannosa al regime non fosse altro per le soddisfazioni e speranze che regala agli avversari. c) La nera ingratitudine non esiste né verso di te né verso chicchessia; né oggi, né nel secondo semestre del '24, né mai. Può darsi che io debba qualche cosa a qualcuno, te compreso; ma gli altri mi debbono un'infinita gratitudine, te compreso. Io sono di gran lunga creditore di tutti, indiscutibilmente. Tutti in Italia e fuori sanno (te compreso) che se il Regime vive e vincerà le tremende battaglie alle quali va incontro gli è perché io vivo e lavoro sedici ore al giorno come un negro. Lasciamo stare il tasto dell'ingratitudine! E ricorda piuttosto che io ti chiamai a reggere il Partito quaranta giorni dopo il mio discorso del 3 gennaio, appunto per darti una prova solenne di riconoscimento per quanto avevi fatto per il Partito nel periodo quartarellaro. E ricorda che l'ordine del giorno del Gran Consiglio del 30 marzo '26 di plauso alla tua opera fu dettato da me. Tale riconoscimento confermo oggi, aggiungendo però che da sei mesi tu non cammini più sul retto sentiero della disciplina. Da tre mesi ti ripeto queste parole. S.E. Teruzzi può testimoniarlo. d) Negare l'esistenza del fattaccio bancario di Parma è un colmo! Per ciò che riguarda il Popolo d'Italia ti hanno venduto del fumo. Ricordo perfettamente che durante il processo Candiani il Conte L. fece un'offerta al mio giornale, ma ricordo altrettanto perfettamente che io - proprio io - pregai l'avvocato intermediario di restituire la somma - ventimila lire - al signor Conte. Il Regime, cioè il Governo, e se vuoi il sottoscritto, non si occupa affatto della tua professione. Ho veramente altro da fare io, specie in questo momento nel quale tutto il mondo dell'antifascismo è in agguato nella speranza vaga di far tracollare il regime sul terreno economico-finanziario. e) Il disagio nel Partito è originato in gran parte dal tuo atteggiamento di indisciplina spirituale, di monopolizzatore della purezza e della salvezza del Pagina 4 ARRIGO PETACCO. RISERVATO PER IL DUCE.txt Partito, dal tuo continuo lanciare accuse generiche alle quali non fai seguire precisazioni concrete, dai tuoi contatti e dai tuoi discorsi (anche sul treno Milano-Genova) ma soprattutto dai discorsi dei tuoi amici i quali hanno la lingua troppo lunga. Ancora una volta, ed è l'ultima, ti ripeto: "Obbedisci a Turati" e, smettendo quell'aria di antipapa che aspetta o fa credere di aspettare la sua ora, riconciliati con Federzoni che non ha rancori di sorta verso di te e che non merita i tuoi sospetti e che è un servitore devoto del Regime; riconciliati con Balbo che ha anche lui meriti indiscutibili verso il Partito e che fu durante il periodo quartarellaro particolarmente preso di mira dagli avversari del Regime; e fa la polemica soltanto contro i nemici del Fascismo. E soprattutto evita la Massoneria. L'atmosfera si chiarirà; l'avvenire ti sarà aperto e gli avversari non avranno la gioia di vederti bandito dalla vita politica. Ricordati che chiunque esce dal Partito decade e muore. Cordiali saluti fr. Mussolini II SIAMO UN POPOLO D'EROI "Siamo un popolo d'eroi", diceva una nota canzone fascista. Per dimostrare la verità di questa asserzione, i gerarchi del regime ne inventarono di tutti i colori. D'altra parte, l'arditismo in guerra era allora più importante della cultura e una medaglia, non importa se onestamente guadagnata, valeva quanto un titolo di studio. Logico dunque che i gerarchi brigassero attivamente per costituirsi un immaginario passato eroico. Mussolini, da parte sua, non era restio a decorare i suoi prodi: il regime aveva un gran bisogno di eroi. Tuttavia, almeno in privato, voleva vederci chiaro. Lui, che eroe non era mai stato, era piuttosto scettico sull'eroismo dei suoi camerati e forse anche invidioso. Per questo, fin dai primi anni del suo governo, si adoperò per scoprire cosa si celasse di vero dietro la retorica delle motivazioni ufficiali pubblicate sull'albo d'oro. Mussolini godeva malignamente nello scoprire gli incredibili sotterfugi escogitati dai falsi eroi che lo circondavano. Il dossier, diciamo così, delle medaglie malguadagnate, inizia con un appunto del 1930. Si tratta di una segnalazione del capo della polizia al quale il Duce aveva affidato il compito di controllare il "passato eroico" di Italo Balbo, quadrumviro del regime. Dice: "Per prima cosa bisognerebbe rivedere il processo celebrato contro S.E. Balbo al Tribunale Militare di Firenze. Come è noto, egli fu accusato di diserzione per essere fuggito dalla caserma di Moncalieri (dove seguiva un corso per pilota aviatore) subito dopo la ritirata di Caporetto. È altresì noto che S.E. Balbo fu assolto con formula piena in quanto dimostrò che non aveva abbandonato la caserma per disertare, bensì per correre al fronte onde contribuire ad arrestare l'avanzata del nemico. Tutto questo è falso: S.E. Balbo, in effetti, fuggì da Moncalieri e raggiunse la sua casa a Ferrara dove rimase nascosto alcuni giorni. Solo per le rampogne del padre si ripresentò alle armi nella zona di Padova". "Risulta ancora", prosegue la segnalazione "che la promozione di Italo Balbo a capitano, per meriti di guerra, è ingiustificata. Il suo "merito" consistette infatti nell'obbligare un ufficiale austriaco prigioniero a togliersi gli stivali." La scheda dedicata a Roberto Farinacci è più complessa. Una prima segnalazione relativa all'attività da lui svolta durante la prima guerra mondiale, così riferisce: "Fatte le opportune ricerche risulta che la terza compagnia del 30 reggimento Genio telegrafisti di cui faceva parte S.E. Farinacci, salvo compiti speciali (impianti di linee telegrafiche e telefoniche) non ha mai partecipato a fatti d'arme. Infatti, l'unica località considerata zona di guerra in cui detta compagnia ha operato è quella di Caviola che si trovava a oltre sei chilometri dalla prima linea. Risulta ancora che S.E. Farinacci lasciò detta compagnia il 29 marzo 1917 perché comandato presso le Ferrovie dello Stato" (quest'ultima frase è sottolineata in rosso da Mussolini). Un intero fascicolo è poi dedicato alla mutilazione del braccio destro subita da Farinacci durante la campagna d'Etiopia. La motivazione ufficiale spiega che il gerarca "è rimasto ferito mentre istruiva volontariamente i legionari nell'uso delle bombe a mano". C'è anche una lettera del mutilato nella quale egli chiede a Mussolini di essere compensato per tanto eroismo, con l'ordine militare di Savoia. Seguono decine di telegrammi esaltanti l'arditismo del "ras" di Cremona e il suo sprezzo del pericolo. Uno di questi, scritto da Ettore Farinacci, fratello dell'"eroe", dice testualmente: "Duce! Mio fratello ha, perduto il braccio destro nel compimento del proprio dovere. È nello stile fascista: quando Pagina 5 ARRIGO PETACCO. RISERVATO PER IL DUCE.txt un braccio viene meno nella lotta, un altro lo sostituisca. Eccolo, Duce. Metto a vostra disposizione il mio braccio destro". A dare tono grottesco all'intera faccenda c'è infine il rapporto riservato di un maresciallo dell'Arma che afferma: "S.E. Farinacci non si è sfracellato la mano durante una esercitazione volontaria, ma si è ferito mentre si dilettava a pescare di frodo con delle bombe a mano in un laghetto presso Dessié. Per questa ragione Ettore Muti ha soprannominato S.E. Farinacci il "Martin Pescatore"...". Il mutilato non avrà l'Ordine militare di Savoia: dovrà accontentarsi di una medaglia d'argento. Le richieste di decorazioni si accavallano nel dossier alle proteste dei non decorati. "Duce", telegrafa il maresciallo De Bono da Tripoli, "ho letto che hanno dato il Gran Cordone a Teruzzi. Ora diranno tutti che De Bono è il solo fesso della compagnia". In calce a una lettera del fascista bolognese Arconovaldo Bonaccorsi, che chiede medaglie per il suo "eroico comportamento" nella guerra civile spagnola, è appuntata la seguente segnalazione dell'OVRA: "Il comandante dell'aeronautica spagnola sostiene che il comportamento di Arconovaldo Bonaccorsi, alias "Conte Rossi", è orribile. Non fa altro che ammazzare prigionieri. Si parla di duemila uccisioni". Bonaccorsi sarà decorato lo stesso. Anche la guerra d'Albania contribuisce a rimpinguare il "dossier degli eroi". Scrive Farinacci da Tirana: "Duce, apprendo che hanno concesso l'Ordine militare di Savoia al generale Agostinucci che non si è mai mosso da Tirana. Hanno decorato Bottai, Ricci, Cianetti, Del Giudice, Pavolini, Riccardi... A me niente, eppure sono anche mutilato. È bene comunque che tu sappia che il clima d'Albania ha procurato un neuroma al moncherino del mio braccio...". Alla lettera di Farinacci è unita la seguente segnalazione: "Tirana. S.E. Farinacci fa continuamente la spola fra Tirana e Bari per raggiungere la cantante Gianna Pederzini impegnata colà per una serie di recite". Un'altra nota da Tirana riguarda invece Bottai: "Il ministro dell'Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, si è recato oggi al fronte a bordo di una macchina con autista". Il dossier, oltre a una quantità infinita di richieste e di medaglie, contiene anche un curioso carteggio fra Mussolini e Italo Balbo. Risale al 1934, quando il giovane maresciallo dell'Aria sostituì Emilio De Bono come governatore della Libia. Eccolo: Caro Balbo, ho notizia che intendi monumentare De Bono sulle dune. Non lo fare. Si presterebbe al ridicolo. Mussolini. Caro Duce. Ormai il bozzetto è pronto, ma prima di collocare il monumento sulle dune verrò a parlarti. Tuttavia, quanto alla serietà della cosa, penso possa passare. D'altra parte, qui a Tripoli abbiamo già la galleria De Bono, Il Lungomare De Bono, la via De Bono, Il Castel De Bono, la scuola De Sono, e perfino il nome di De Bono, a caratteri cubitali, sulla volta dell'orribile teatro Miramare. Monumentando il camerata si potrebbero sostituire gli altri nomi. Balbo. Caro Balbo. Il monumentabile De Bono non vuole saperne di essere monumentato. Dice che, fra l'altro, porta iella. Mussolini. Caro Duce. Proprio ieri ho rescisso il contratto con lo scultore. Ci rimarrà il bozzetto per l'avvenire... Saluti fascisti. Italo Balbo. III LO "SCHIAFFO" A TOSCANINI Arturo Toscanini fu considerato un buon italiano fino al 1931, anno IX dell'era fascista. Il maestro, per la verità, ostentava da tempo un completo distacco per la politica del regime, tuttavia il ricordo della sua adesione al "listone" del '19 autorizzava i fascisti a pensarla così. In quell'anno le cose cambiarono: Toscanini passò nell'elenco dei "sovversivi" e il commendator Chiavolini, infaticabile schedatore del Capo del Governo, gli dedicò un dossier che, con il passare del tempo, si sarebbe sempre più ingrossato. Ma ecco come andarono le cose. Il 14 maggio 1931, annunciato in prima pagina dal "Carlino", doveva avere luogo nel teatro comunale di Bologna una serata di gala in memoria del maestro Giuseppe Martucci. Direttore d'orchestra: Arturo Toscanini, reduce dai successi in ogni parte del mondo. Ospiti d'onore: il concittadino Leandro Arpinati, sottosegretario all'Interno, e Galeazzo Ciano, "genero del regime". Pagina 6 ARRIGO PETACCO. RISERVATO PER IL DUCE.txt Avvenimento importante, dunque. Ma, per renderlo ancora più solenne, i fascisti bolognesi ebbero un'alzata di ingegno: delegarono il vicepodestà, professor Lipparini, a recarsi dal grande maestro per invitarlo a intonare l'inno fascista Giovinezza al momento dell'ingresso dei due gerarchi nel teatro. Non sappiamo con quale animo il professor Lipparini si sia recato all'Hotel Brun per assolvere la sua missione. Il rapporto del prefetto Guadagni al Duce riferisce soltanto la risposta del maestro, che fu questa: "Voi siete pazzo! Neanche i re, davanti ai quali mi sono esibito, hanno mai preteso tanto. Io suono soltanto musica seria.". Poi, forse intenerito dall'espressione del Lipparini, aggiunse: "Non avete, qui a Bologna, la banda comunale? Bene: mettetela fuori dal teatro e fatele suonare quel che vi pare. Io eseguirò solo il programma prestabilito". Un'ora dopo, alla federazione fascista bolognese, spirava già aria di azione punitiva. Il federale Ghinelli era fuori dai gangheri. "Gliela faremo vedere noi a quel rammollito!", gridava per i corridoi. "Il manganello ci vuole!". Per il resto della giornata Toscanini continuò a respingere fermamente le pretese dei fascisti, rispose di no anche quando, con una certa abilità, dalla federazione gli fecero sapere che erano disposti a sostituire Giovinezza con la Marcia Reale. Arpinati, messo al corrente dei fatti, sembra che propendesse per una soluzione blanda. Rifiutò di sospendere la manifestazione. "Faccia pure quello che vuole", concluse. "Io però al teatro non ci vado". A teatro, puntuale come sempre, ci andò invece Toscanini, ma non riuscì ad entrare. Contrariamente alla leggenda che vuole sia stato lo stesso Arpinati a schiaffeggiarlo sul podio, il maestro non riuscì neppure a entrare. Una squadra di fascisti lo fermò davanti all'ingresso. Gli fu chiesto, fra le grida minacciose degli astanti, se era disposto a suonare Giovinezza e lui, ancora una volta, rispose di no. Per questo rifiuto non si prese soltanto uno schiaffo, come fu detto, ma calci e pugni a ripetizione, come testimonia il prefetto Guadagni nel suo rapporto a Mussolini. L'intervento dei carabinieri evitò il peggio. Lo spettacolo, naturalmente, non ci fu. Toscanini, assediato dai fascisti all'Hotel Brun, riuscì a partire per Milano soltanto all'1,20, scortato dai militi dell'Arma. Di questo episodio i giornali italiani non parlarono. Soltanto il "Carlino" fu autorizzato da Arpinati a pubblicare una notizia di 22 righe. Ma la cosa si riseppe ugualmente. Il dossier del Duce conserva numerosi telegrammi di protesta per il rifiuto "sacrilego". Come quello di Raffaele Paolucci, l'affondatore, con Rossetti, della Viribus Unitis, che dice: "Duce. Appreso rifiuto di costui a eseguire inni patriottici, mi auguro vorrete impedirgli di recarsi all'estero". Il dossier contiene però anche le segnalazioni di polizia relative alle coraggiose manifestazioni di solidarietà tributate al maestro: "Il 17 maggio, durante un concerto alla Scala, si è levato dal loggione il grido Viva Toscanini!, e il pubblico ha applaudito fragorosamente. La stessa sera, decine di studenti hanno percorso le strade di Milano inneggiando a Toscanini e distribuendo manifestini antifascisti. Alcuni di essi sono stati identificati e arrestati. Si tratta di Ernesto Bedrone, Roberto Missiroli, Carlo Gilli, Carlo Pertinucci, Eugenio Giovanardi, Aldo Arienti e Aldo Valcarenghi. Risultano essere stati allievi del liceo Berchet e aderenti di Giustizia e Libertà...". Da parte loro, i fascisti organizzano gazzarre davanti all'abitazione dei Toscanini. I numerosissimi milanesi che si recano a visitare il maestro sono percossi, insultati, schedati. Da Roma, dove si teme che il maestro intenda trasferirsi all'estero, giungono ordini precisi. Già dal 15 maggio la polizia ha provveduto a ritirare i passaporti di Toscanini, della moglie Carlotta De Martino e dei figli Wanda e Walter. "Non è stato possibile ritirare quello della figlia Wally," telegrafa il prefetto Fornaciari, "perché si trova all'estero". Il 17 maggio, Bocchini, capo della polizia, gli ordina: "Con abili espedienti tergiversi circa restituzioni passaporti ai Toscanini". E alcuni giorni dopo: "Consegni, se necessario, passaporto a Toscanini, ma non ai suoi familiari". Il prefetto esegue. Provvede anche a inviare a Mussolini un rapporto per spiegare la posizione politica del maestro sovversivo: "Sebbene vicino al partito nel 1919, quando fu candidato della lista fascista, Toscanini si è poi fatto catturare dal più pericoloso antifascismo: quello liberal-albertiniano". Alcuni mesi dopo tutti i Toscanini riavranno i passaporti e potranno partire per l'America. Il maestro tornerà comunque in Italia un paio di volte, sempre seguito a ogni passo dagli agenti dell'OVRA. Ecco, per esempio, una delle sue telefonate intercettate, trascritte e fatte pervenire a Mussolini. Milano, novembre 1935. XIII E.F. Telefonata di Toscanini a certo "Aldo". Pagina 7 ARRIGO PETACCO. RISERVATO PER IL DUCE.txt Aldo: Hai visto che sono stati proibiti tutti i giornali stranieri? Toscanini: È una vera porcheria mettere il paese in queste condizioni. È inaudito che una persona non possa leggere il giornale che vuole. Non è neppure una cosa intelligente costringere il popolo italiano col nodo scorsoio alla gola... Aldo: ... e la benda sugli occhi. Toscanini: Si deve leggere solo quello che vogliono loro. Questo non è vivere. Aldo: Nemmeno in Russia... Toscanini: Non vedo l'ora di andarmene. Mi urtano queste cose. Vedere la gente schiava in questo modo! Si parla di schiavi neri. Noi siamo schiavi bianchi! Qui ti strozzano. La devi pensare per forza come la pensa quello là... Ma io non la penserò mai come lui! Non l'ho mai pensato. Solo una volta, per un momento, ho avuto la debolezza... ora me ne vergogno. Dopo un'ultima visita in Italia nel 1938, il maestro Toscanini si stabilì definitivamente in America. Tornerà in patria a guerra finita per inaugurare la Scala risorta. IV I "RILIEVI A CARICO" I dossier di Mussolini dedicati alle malefatte dei gerarchi, che Alessandro Chiavolini, segretario particolare del Duce, aggiornava con puntigliosità burocratica, appaiono oggi i più saccheggiati. I cosiddetti "rilievi a carico" sono tuttavia ancora numerosi e interessano soprattutto i gerarchi del regime. Ce n'è per tutti, insomma. Ecco un breve campionario di quelli relativi a Italo Balbo: Risulta che all'età di 17 anni, S.E. Balbo tentò di ricattare il cavalier Santini di Ferrara. Scoperto, evitò il processo e il carcere per intervento dei genitori che appianarono le cose col Santini. Roma. Per ottenere il brevetto di pilota, S.E. Balbo ha fatto spendere alla Regia Aeronautica la somma di 300 mila lire mentre, in media, ogni allievo non costa più di 5000 lire. Ferrara. Ecco come sono pagati i fedelissimi di S.E. Balbo: console Divisi, stipendio da console, da ispettore nazionale zuccherieri, da consigliere della Società dei Gas e di altre tre società. Totale L. 150.000 annue (il Divisi ha anche sistemato molto bene i suoi dieci fratelli). Generale Gaggioli: stipendi da generale, da redattore capo del "Padano", da consigliere delegato di cooperative. Totale L. 150.000 annue. Tutti gli altri fedelissimi guadagnano in media L. 10.000 al mese. (Per avere un'idea di questa cifra basterà ricordare che la famosa canzone "se potessi avere mille lire al mese" sarà lanciata cinque anni più tardi.) Ferrara. La camorra degli appalti diretta da S.E. Balbo raggiunge limiti mai raggiunti altrove. S.E. Balbo ha fatto ottenere recentemente alla città di Ferrara un mutuo di 150 milioni ed ha preteso un compenso di cinque milioni. Molte segnalazioni riguardano anche il "ras" di Cremona e i dossier di Mussolini si riempirono dei resoconti delle sue malefatte. La prima segnalazione giunge da Genova. Si tratta di una registrazione telefonica: Signora: "Per farmi difendere in Cassazione mi hanno consigliato il senatore Cogliolo...". Avv. Novara: "No, no. Farinacci supera tutti. Fa annullare in Cassazione certe sentenze...". Un'altra segnalazione riguarda un colloquio telefonico fra la segretaria di Farinacci, Jole Foà, e l'avvocato Levi. Levi: "L'onorevole lavora molto?". Foà: "Moltissimo, ne è perfino stufo". Levi: "Allora incasserà parecchio...". Foà: "Sì. Il mese scorso ha guadagnato ventimila lire in più di quanto si guadagnava da voi. Insomma, 50-60 mila al mese". Su questa registrazione si nota un appunto con matita rossa di Mussolini: "Quanto paga di ricchezza mobile?". Nel foglio successivo c'è la risposta: "L'on. Farinacci ha un reddito annuo accertato di 50 mila lire per la professione di avvocato e di 12 mila come direttore del suo giornale. Agli effetti dell'imposta è tassato per un imponibile di 37.000 lire e paga la somma di L. 10.000 l'anno". In seguito, le denunce contro Farinacci si fanno più brucianti. Un dossier contiene una vicenda che pare un romanzo d'avventura. È la storia di un tesoro, un vero tesoro, consistente in 30 chili di monete d'oro, 800 grammi di Pagina 8 ARRIGO PETACCO. RISERVATO PER IL DUCE.txt brillanti, 4 chili di portasigarette d'oro e 15 chili di monete d'argento. Questo tesoro, che apparteneva a un certo cavalier Teni di Mantova, sarebbe stato fatto scomparire dai suoi congiunti grazie all'appoggio di Farinacci che affrontò il Teni accompagnato da una persona da lui presentata come il questore di Ferrara. "Ricuperato il tesoro," riferisce il rapporto "i congiunti del Teni lo hanno consegnato a Farinacci per la somma di due milioni di lire della quale avevano bisogno per salvarsi dal fallimento." Moltissime segnalazioni rivelano le altre soperchierie. Ecco un breve campionario: L'industriale Giannelli di Bologna ha pagato a Farinacci la somma di 1.400.000 lire per ricuperare certi documenti compromettenti. Farinacci ha bruciato le carte davanti a lui. Ora però sono apparse in circolazione delle copie fotografiche... S.E. Farinacci ha preteso dall'industriale Borletti la somma di 100 mila lire per una parcella. Borletti non voleva pagare l'enorme cifra, ma quando gli hanno raccontato di Giannelli si è affrettato a sborsare la somma. Malgrado il suo feroce antisemitismo, S.E. Farinacci continua ad avere contatti con ricchi ebrei ai quali, dietro lauti compensi, fa ottenere l'arianizzazione. S.E. Farinacci in questi ultimi anni ha notevolmente ampliato il proprio patrimonio. Recentemente ha acquistato molti terreni a Zagarolo e si è fatto costruire una lussuosa villa a Gaeta. Risulta che per un solo parere legale pretende 100 mila lire. Guadagna molto anche amministrando i patrimoni degli ebrei che ora vivono in Svizzera. Il comportamento di Farinacci urta evidentemente Mussolini che, alla fine, gli scrive una lettera per rimproverargli il lusso eccessivo. Farinacci se ne offende: "Duce," gli telegrafa in cifra "è vero che nel '22 ero un pezzente e che ora viaggio in automobile, ma l'auto mi è stata regalata dai ferrovieri di Cremona. Inoltre potrei guadagnare moltissimo facendo l'avvocato, mentre invece mi limito a poche cause tutte scelte molto lontano da Cremona per non usufruire involontariamente di un trattamento privilegiato." La risposta di Mussolini questa volta è sferzante: "Non contesto che tu fossi un pezzente nel '22, ma nego che tu sia rimasto un pezzente. I veri pezzenti non vivono come te. L'apologia del falso pezzentismo mi è odiosa quanto l'esibizionismo pescecanesco". Il "falso pezzente" svolge anche un'intensa attività sentimentale. I suoi amori con la cantante Pederzini sono ormai noti a tutti, ma lui non è un amante fedele. Ecco comunque altri scampoli delle notizie e dei pettegolezzi sul suo conto che giungono sul tavolo del Duce: Venezia. S.E. Farinacci è giunto all'Excelsior con la cantante Gianna Pederzini. Straordinario l'attaccamento di S.E. alla cantante che è sempre in cerca di motivi per ingelosirlo. Gibilterra. È qui giunto da Roma S.E. Farinacci per incontrare la cantante Pederzini. S.E. ha obbligato il transatlantico Oceania a restare fermo sei ore per attenderlo. Montecatini. S.E. Farinacci è qui in vacanza con la cantante Pederzini. S.E. mantiene un comportamento ridicolo e puerile sollevando mormorazioni. Il "pezzo" più importante del dossier resta comunque un lungo rapporto dell'OVRA sull'attività politico-economico-amorosa di Roberto Farinacci. È del 1940 e contiene l'elenco completo delle malefatte del gerarca cremonese, dalle speculazioni della ""banda Farinacci, Varenna, Candiani" sempre sotto accusa quando c'è uno scandalo", ai suoi intrallazzi per favorire gli ebrei ricchi mentre nel contempo manifesta il proprio antisemitismo facendo "rinchiudere nel campo di concentramento di Frosinone due giovani israeliti, Vito e Salvatore Fano, di Roma, colpevoli di avere rivolto la parola a due ragazze ariane". "Comportandosi in questo modo" continua il rapporto "S.E. Farinacci si è creato una ricchezza tale che gli permette di sgavazzare alla ricerca delle più raffinate piacevolezze nei più lussuosi alberghi. Al Grande Albergo di Roma" (si tratta del Grand Hotel, ribattezzato in seguito alla nota legge contro gli esotismi. N.d.A.) "S.E. Farinacci ha in permanenza un appartamento per svolgervi i suoi divertimenti. Fra le frequentatrici figurano molte attrici cinematografiche, ma purtroppo S.E. non si accontenta soltanto di queste. Ora ci conduce anche la maestrina Maria Rosa L., vedova di un valoroso ufficiale caduto in Africa, alla quale ha promesso di farle fare carriera nel cinema. Ha condotto nel suo appartamento anche la studentessa di filosofia A.R., vergine. Risulta che egli vuole queste ragazze, anche minorenni, in divisa da giovane italiana. A queste donne, forse per eccentricità, egli suole fare discorsi megalomani. Si Pagina 9 ARRIGO PETACCO. RISERVATO PER IL DUCE.txt definisce uno degli uomini più importanti della terra, dice di essere il migliore degli italiani e afferma che non gli fa ombra neppure il Duce... Dalle indagini svolte dal sottoscritto, risulta che a Roma e a Milano egli stipendia delle mezzane che hanno il compito di procurargli le ragazze. Alla sua mezzana di Roma, tale Giordano, paga uno stipendio di L. 3.000 al mese." Verso la fine degli anni Trenta l'azione antisemita di Roberto Farinacci è particolarmente intensa. Con la consueta spregiudicatezza, mentre da un lato dà la caccia agli ebrei che si annidano anche negli ambienti fascisti (e in questo è aiutato dal futuro "ispettore della razza", l'ex prete Giovanni Preziosi), dall'altro traffica con gli ebrei ricchi fuggiti in Svizzera, che gli hanno affidato l'amministrazione dei propri patrimoni immobiliari. Tutto preso dal nuovo impegno razzista, il ras di Cremona ha però dimenticato che la sua segretaria particolare Jole Foà è anch'essa israelita. O meglio, non l'ha affatto dimenticato: è soltanto convinto che nessuno oserà molestare una sua diretta collaboratrice. Ma Mussolini non la sente così. "Sarà bene che ti liberi della segretaria ebrea", gli manda a dire. E Farinacci gli risponde: "Duce, sono pronto a sterminare tutti gli ebrei, ma si deve cominciare dai grossi prima di arrivare agli umili. La mia segretaria è sola al mondo, ha cinquant'anni e lavora con me da vent'anni. Non mi va di fare il maramaldo con lei. Eppoi devo ricordarti che lei abitava nel cortile di via Paolo da Cannobio ai tempi del nostro Covo. E già allora era dei nostri...". Mussolini non si commuove e annota: "Dire a Farinacci che è interesse suo disfarsene. Se la cosa si risapesse in Germania farebbe pessima impressione. Farinacci non può atteggiarsi a padrino dell'antisemitismo e tenersi la segretaria ebrea. Le dia cinquantamila lire e l'allontani". V LE LETTERE FOLLI DEL SEGRETARIO DEL PARTITO All'inizio degli anni Trenta, Augusto Turati (da non confondere col leader socialista Filippo) è ancora segretario del Partito nazionale fascista. Nelle alte sfere del regime egli ha molti nemici che gli invidiano la rapida carriera, ma il principale fra essi è Roberto Farinacei al quale ha preso il posto. Le prime segnalazioni che lo riguardano, e che sono conservate nell'archivio personale di Mussolini, risultano banali. Si riferiscono essenzialmente all'attività libertina del segretario del partito o sottolineano il suo narcisismo e i suoi gusti da esteta. Il fascicolo diventa invece più interessante quando Roberto Farinacci scende in campo deciso a sbarazzarsi di colui che considera un usurpatore. Il ras di Cremona vuole la fine politica di Turati ma sa che dovrà fare i conti col fratello del Duce, Arnaldo, amico e protettore del segretario del partito. L'offensiva di Farinacci prende quindi di mira un falso bersaglio, ossia il podestà di Milano, Ernesto Belloni, notoriamente legato ad Arnaldo Mussolini. Belloni bada agli affari, controlla, per esempio, dodici società che lavorano per conto del comune del quale è podestà. Ha anche trafficato con alcune banche americane che hanno offerto un prestito al comune di Milano. Così, quando Farinacci lo denuncia, lo scandalo risulta grosso. I giornali, naturalmente, non ne parlano, ma le voci corrono e a Roma si cerca in ogni modo di insabbiare l'affare. È chiaro infatti che la rovina di Belloni comprometterebbe il segretario del partito e, soprattutto, il fratello del Duce. Farinacci tuttavia è deciso a non cedere. Belloni lo ha denunciato per diffamazione e lui insiste per essere processato. "Gli farò vedere io!" minaccia. Alla fine, per ordine del Duce, ha luogo a Roma una riunione riservata fra Farinacci, Arnaldo Mussolini, Augusto Turati, il suo vice Achille Starace e il sottosegretario agli Interni, Leandro Arpinati. L'ordine è di trovare una base d'accordo. Viene anche deciso di non redigere verbali, tuttavia Mussolini riesce ugualmente ad avere il testo trascritto della discussione. Eccone un brano: Arpinati: Farinacci accusa Belloni di essere un profittatore, ma chi di noi non ha approfittato della propria posizione politica? Starace: È automatico. Turati: Siamo tutti dei profittatori. Arpinati: Io ora ho la serva e la macchina... Arnaldo Mussolini: Hai fatto una bella carriera. Arpinati: Sì, ma se lui mi manda via non saprei dove andare. Farinacci : Torniamo all'argomento. Pagina 10

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