Alma Mater Studorium - Università di Bologna DOTTORATO DI RICERCA IN SEMIOTICA M-FIL-05 XX Ciclo I C S : L ORPO IN CENA I NDAGINE SULLO STATUTO SEMIOTICO DEL CORPO NELLA PRASSI PERFORMATIVA Tesi di Dottorato di: MARÍA JOSÉ CONTRERAS LORENZINI Relatori Prof.ssa Patrizia Violi Prof.ssa Cristina Demaria Esame finale anno 2008 IL CORPO IN SCENA: INDAGINE SULLO STATUTO SEMIOTICO DEL CORPO NELLA PRASSI PERFORMATIVA Introduzione 4 0.1 Un approccio esplorativo su un campo inesplorato 4 0.2 Premessa sullo sguardo 7 0.3 Il problema metodologico 9 0.4 La struttura della tesi 12 PARTE PRIMA SUL CORPO E LA PRATICA Capitolo Primo: La condizione liminale del corpo 14 1.1. Parole preliminari sullo statuto semiotico del corpo 14 1.2. Il corpo come unheimlich 16 1.3. Naturalità artificializzata o artificio naturalizzato? 18 1.3.1. L’ontologizzazione del corpo 19 1.3.2. Il corpo come costrutto 21 1.3.3. Il corpo delle funzioni 25 1.4. Il limen che separa e collega 27 1.4.1. Il corpo come luogo delle trasformazioni 29 1.4.2. Il corpo e l’analogia della casella vuota 32 1.4.3. La reversibilità. 35 Capitolo Secondo: Verso una definizione di pratica 41 2.1.Premesse 42 2.1.1 La (ri)costruzione della pratica 44 2.1.2. La pratica come ratio difficils 45 2.1.3. L’inerente eterogeneità 47 2.2. Le dimensioni della pratica 49 2.2.1. Dimensione deittica 49 2.2.2.Dimensione dell’agire 51 2.2.3.Dimensione processuale 52 2.2.4.Dimensione corporea 53 2.3.Come studiare le pratiche? 55 1 PARTE SECONDA VERSO UNA SEMIOTICA DELLA PRASSI PERFORMATIVA Capitolo Terzo: La pratica performativa 60 3.1. Performatività e performance 60 3.1.1. Le parole e la performatività 62 3.1.2. L’antropologia della performance di Victor Turner 64 3.1.3. La teoria dell’azione sociale 67 3.2. I performance studies 71 3.2.1. Un oggetto in via di definizione 72 3.2.2. Il pensiero performativo di Schechner 75 3.3. Il campo delle arti viventi: la pratica performativa 85 3.3.1. I partecipanti alla pratica performativa 87 3.3.2. L’effetto estetico 91 3.3.3. Il regime di apprezzamento asimmetrico 95 3.3.4. L’artificializzazione del corpo del performer 99 Capitolo Quarto: L’Enunciazione incarnata 104 4.1. Verso l’enunciazione incarnata 105 4.2. L’enunciazione nella pratica performativa 109 4.2.1. Corpo ed enunciazione 110 4.2.2. L’invenzione del corpo in scena 113 4.2.3. Materialità e motivazione 117 4.2.4. La co-produzione del senso e la pratica 121 4.2.5. L’evanescenza del corpo enunciato 126 4.3. Le tracce dell’enunciazione incarnata 128 4.3.1 La testualizzazione della pratica performativa 129 4.3.2. Il corpo-memoria 132 4.3.3. Postilla sul corpo-memoria e la storia: il repertorio 138 Capitolo Quinto: La presenza del corpo sulla scena 141 5.1. La ricomparsa del corpo presente sulla scena 142 5.2. Il continuum presentazione – rappresentazione 146 5.2.1. La svolta performativa 150 5.2.2. Il rapporto di continuità 154 5.2.3. Verso una topografia della presenza 157 5.3.La presenza scenica 162 5.3.1. Il corpo-mente del performer 166 5.3.2. Corpo quotidiano e corpo extra-quotidiano 169 5.3.3. Il pre-espressivo 171 5.3.4. Il corpo artificiale 176 5.4. Dal pre-espressivo al espressivo: il caso dell’Odin Teatret 180 5.4.1. La partitura 182 5.4.2. I segreto del performer, ovvero la sottopartitura 184 5.4.2.1. L’interezza psicofisica, espressione e contenuto 186 2 5.4.2.2. L’ubiquità e l’ambivalenza 188 5.4.3. Lo sguardo binoculare sulla presenza 193 PARTE TERZA COMPRESENZA E CONTAGIO Capitolo Sesto: L’intercorporeità: la compresenza come costruzione della presenza 196 6.1. Appunti sull’intercorporeità 201 6.1.1. L’intercorporeità in fenomenologia 204 6.1.2. L’intercorporeità nei rapporti precoci 208 6.2. Il sistema intercorporale nelle arti viventi: oltre i limiti epidermici 211 6.2.1.Il ciclo di costruzione dell’intercorporeità nelle arti viventi 214 6.2.2.L’effetto di immediatezza 218 6.3. Il teatro dell’induzione: sull’intensità dell’intercorporeità 222 Capitolo Settimo: Pragmatica dei modi di comunicazione intercorporale nelle arti viventi 232 7.1. Comunicazione intercorporale 233 7.1.1. Premessa teorica: semiotiche dell’unione 237 7.1.2. La conseguenza pragmatica: l’efficacia 239 7.2. Tre ipotesi sulla comunicazione intercorporale nelle arti viventi 241 7.2.1. Il contagio timico 242 7.2.2. L’adattamento corporeo 247 7.2.3. L’interpretazione somatica delle in-tensioni 250 7.3. Qualche domanda e alcuna indicazione 257 Conclusioni 260 Bibliografia 269 3 INTRODUZIONE Bisogna dunque ricominciare tutto dal principio, cioè dai fattori in un certo senso primari: la presenza del corpo che crea lo spazio e il tempo viventi, e l’instaurazione della musica in questo corpo, al fine di operare quella modificazione estetica che è la peculiarità dell’opera d’arte. A questo punto, il lettore comprenderà forse perché quest’opera non è intitolata “L’arte drammatica”, ma invece l’Arte vivente. Adolphe Appia, L’Oeuvre d’Art Vivant. 0.1. Un approccio esplorativo per un campo inesplorato La mia ricerca ha come oggetto i modi di produzione segnica del corpo in scena. Mi propongo di indagare come il soggetto costruisce il proprio corpo in contesti teatrali e performativi, tramite quali tecniche riesce a produrre una presenza scenica, quali modalità enunciative mette in opera e quali strategie utilizza per comunicare. Cercherò dunque di riflettere sullo statuto semiotico del corpo nella prassi performativa: da una parte quindi, lo studio semiotico del corpo, con la sua complessità, il suo divenire, l’eterogeneità di dimensioni e linguaggi che lo percorrono e lo costruiscono; dall’altra la pratica performativa, quel tipo di pratica semiotica con fini estetici caratterizzata dalla compresenza di un performer (attore, danzatore, artista) e di almeno uno spettatore. Mi pongo perciò come obiettivo principale quello di indagare il rapporto reciproco che si instaura tra il corpo e la pratica performativa. Il corpo articola la pratica performativa mettendosi al centro di essa: funge così da luogo di trasformazione dei diversi regimi di senso e, a partire dalla sua presenza, 4 costruisce i dispositivi di significazione e comunicazione della pratica stessa. Al contempo la pratica performativa costruisce il corpo in scena che, a partire da una certa tecnica e da una determinata posizione, lo artificializza, trasformando un corpo “qualsiasi” in un corpo “particolare”. Più che lo studio semiotico del prodotto scenico, dello spettacolo o del singolo evento performativo, mi interessa il processo attraverso il quale si produce il senso e le modalità che lo mettono in circolazione in contesti performativi. La pratica performativa, dunque, supera il testo-spettacolo e include i processi di creazione, le prove, i workshop e le ricerche mediante le quali si costruisce il corpo scenico. Proverò a confrontarmi con due ambiti teorici. Da una parte la teoria semiotica che non ha ancora affrontato il tema del corpo in scena così come farò in questa sede. I riferimenti principali sono le teorie semiotiche del teatro degli anni ottanta che presentano però un approccio abbastanza diverso da quello che intraprendo in questa sede. La semiotica del teatro infatti indaga soprattutto il testo spettacolare da una prospettiva ancora molto segnata da una teoria dei codici, per certi versi ormai superata. Questa ricerca, invece, cerca di comprendere non più il fatto teatrale ma la pratica attraverso la quale si costruisce il corpo in scena. Per questo motivo, anche se la semiotica teatrale fornisce qualche spunto di riflessione, molte delle sue categorie si rivelano obsolete rispetto all’approccio che vorrei proporre. Inoltre il campo di creazione e ricerca teatrale è molto cambiato negli ultimi vent’anni e la semiotica teatrale non sembra avere riaggiustato le proprie categorie concettuali e strumenti analitici di fronte a fenomeni culturali inediti come il nuovo teatro, il teatro di ricerca e altri generi performativi come la body art o la performance art. Della teoria semiotica attuale la parte più rilevante ai fini della mia ricerca è quella rappresentata dagli studi sul corpo e sulle pratiche. Ma anche questi campi non sono ancora del tutto sistematizzati. Mi trovo quindi a dover confrontare due oggetti che in sede semiotica sono ancora abbastanza problematici. Ciò rende ancora più difficile il tentativo di mettere insieme e a confronto gli spunti che emergono dalla semiotica del corpo con le recenti riflessioni sulle pratiche. 5 La mia ricerca si colloca quindi su un terreno teorico ancora non molto definito e stabile. Curiosamente oggi sono davvero scarse, e comunque abbastanza disgregate e discontinue, le ricerche semiotiche sul teatro; poi se si vuole studiare il teatro di avanguardia, la performance o la ricerca teatrale il panorama è ancora più sfornito. Se l’oggetto non è più il prodotto scenico ma le pratiche performative e la costruzione del corpo in scena allora diventa ancora più difficile trovare studi su questo oggetto. In effetti questo è il primo tentativo, almeno in ambito italiano, di progettare una semiotica delle performance e della pratica performativa. Mi sono allora rivolta ad altre discipline che in qualche modo potevano compensare questa mancanza. In particolare, farò spesso riferimento alla teoria della performance che da qualche decennio si occupa dello studio della performatività sia in ambito artistico sia in ambito sociale. Da questa, riprendo alcuni dei modelli e concettualizzazioni che serviranno come spunto per la riflessione semiotica che ho provato a realizzare. Un altro riferimento importante è l’antropologia teatrale di Eugenio Barba, forse la teoria più vicina ai miei interessi. Ho spesso ripreso le categorie e i concetti di Barba per poi pensarli da un punto di vista semiotico. La riflessione che presento si scontra dunque con la difficoltà di definire un oggetto e un campo di indagine non ancora sistematizzato. Per questo nella mia riflessione ho spesso incontrato problemi terminologici, metodologici e addirittura epistemologici. Più che risolverli ho cercato di renderli espliciti e di problematizzarli. Non cerco quindi di risultare conclusiva o risolutiva, ma di esplorare i diversi problemi, le possibilità e le direzioni di ricerca che questo oggetto può offrire alla teoria semiotica. Questa discussione, dunque, è un tentativo preliminare di applicazione degli strumenti propri dell’indagine semiotica a un campo di studi fino ad ora mai esplorato. Senza la pretesa di riformulare l’approccio semiotico per renderlo “funzionale” al mio oggetto di indagine, spero di mostrare quanto lo studio del corpo nelle pratiche performative possa trovare nelle teorie semiotiche spunti utili per l’analisi e la descrizione. 6 0.2. Sullo sguardo La pratica performativa è una categoria molto ampia che definisco come pratica semiotica con fini estetici caratterizzata dalla compresenza del performer e dello spettatore. Potrebbe dunque essere uno spettacolo di danza, un siparietto con dei clown, uno spettacolo di teatro di prosa, ma anche un happening, una performance o un’azione di arte pubblica. In questo ampio campo di potenziali oggetti di analisi che rientrano nella mia definizione di pratica performativa mi concentrerò particolarmente su ciò che chiamerò, seguendo il suggerimento di Adolphe Appia (1921), arte vivente. L’arte vivente è quel tipo di arte che mette al centro della scena il corpo: più che lo studio del “teatro” come arte drammatica, mi interessano le manifestazioni artistiche che hanno come principale protagonista il corpo. L’arte vivente funziona “a condizione di corpo”, “per il corpo” e “mediata dal corpo”. Nei prossimi capitoli descriverò in dettaglio cosa intendo per arte vivente, ma vorrei anticipare che si tratta di un’arte che non si accontenta di utilizzare il corpo come mezzo ma che si interroga sulle sue potenzialità espressive, sull’efficacia, sul potere di trasformazione e sullo statuto semiotico del corpo. Quali sono, dunque, le arti viventi? Penso siano quelle arti che si concentrano sul fattore corporeo come principale strumento espressivo. È difficile delimitare a priori quali generi corrispondano maggiormente a questa definizione preliminare. Nel terzo e quinto capitolo descriverò in profondità i criteri che precisano l’arte vivente. Potrei anticipare che l’arte vivente include il nuovo teatro che si basa sulla scrittura scenica ma non il teatro di prosa che si limita a mettere in scena un testo drammatico. Include il teatro di ricerca che indaga la costruzione della presenza scenica ed esclude gli spettacoli dove gli attori sono solo macchine di scena. L’arte vivente include infine i generi performativi come l’happening, la body art e la più recente performance art che pongono il corpo e la sua ostentazione al centro della loro ricerca. L’arte vivente, dunque, abbraccia le manifestazioni performative che si articolano intorno alla presenza del corpo dell’artista e quindi al rapporto di compresenza con lo spettatore. 7 Non intendo fare uno studio compiuto di tutti i fattori semiotici che entrano in relazione nelle arti viventi, impresa che supera in larga misura lo scopo di questa tesi. Non studio la pratica performativa in generale ma mi concentro sulla corporeità nelle arti viventi. Trascurerò, quindi, alcuni aspetti molto interessanti e che meriterebbero attenzione ma che non avrò occasione di affrontare. Non studierò per esempio tutti i linguaggi coinvolti in una manifestazione di arte vivente, per esempio non farò particolari riferimenti alla drammaturgia dello spazio, all’illuminazione, alla scenografia, al trucco, ecc. Così come non mi concentrerò sul rapporto tra regista e attore o tra spettatore e cultura teatrale. Non studierò inoltre, il linguaggio gestuale dell’attore, né la modalizzazione passionale che mette in moto mentre interpreta un personaggio. Sono consapevole del fatto che questi elementi partecipano in modo cruciale alla produzione del senso sulla scena, ma ho scelto di non occuparmene al fine di circoscrivere efficacemente il mio oggetto e realizzare uno studio in profondità, più che uno studio generale e complessivo. Il lettore dovrà ricordare quindi che la mia non è una dimenticanza ma una scelta che mi permetterà di spingere la riflessione sul corpo nella pratica performativa più in profondità. La definizione del corpo in scena potrebbe far parte delle conclusioni della tesi più che delle sue premesse. In qualche modo tutta la mia riflessione è protesa verso la caratterizzazione semiotica del corpo in scena, anticipo soltanto alcuni aspetti che il lettore deve tenere in mente quando mi riferirò al corpo. Il primo punto riguarda il corpo come oggetto complesso. Quando parlo di corpo non mi riferisco al nostro corpo anatomico ma neanche al corpo così come è stato pensato dalla tradizione cartesiana. Il corpo è un dispositivo eterogeneo e complesso che articola diversi regimi di senso, quando farò riferimento al corpo in scena non mi riferirò quindi al corpo come “cosa tra le cose”, ma al corpo vivo, organico e attivo e cioè al corpo che vive sulla scena entrando in relazione e interagendo con altri corpi, il corpo che rende viva la sua corporeità a partire dall’azione e dal movimento. Un corpo che agisce, pensa e sente sulla scena. Il corpo insieme alla voce, il corpo che risuona, il corpo che vibra, il corpo-in-movimento, il corpo che occupa e costruisce uno spazio, il corpo in divenire, il corpo, insomma, in perenne trasformazione. 8 0.3. Il problema metodologico Lo studio della pratica performativa non affronta un testo chiuso, coerente e stabile, ma al contrario deve fare i conti con un’articolazione del senso abbastanza particolare. In primo luogo, si tratta di una pratica fondata sulla compresenza di almeno un performer e uno spettatore. La presenza diventa quindi un fattore determinante per la costruzione e la circolazione del senso. La pratica performativa dipende in modo radicale dai corpi dei soggetti costituendo così un tipo emblematico di enunciazione incarnata, dove il corpo funge sia da istanza dell’enunciazione sia da enunciato. Il senso è quindi un senso in divenire dove la produzione e la fruizione si svolgono in modo simultaneo. Performer e spettatore co-costruiscono interattivamente la pratica negoziandola pragmaticamente nel suo svolgimento, il senso della pratica non è mai del tutto definito proprio perché si trasforma continuamente. Il senso della pratica performativa è un senso in atto che emerge nel qui e ora dell’interazione in compresenza, quando finisce la pratica non resta un “prodotto testuale” che permanga nel tempo. A differenza della produzione di altri enunciati testuali, la pratica performativa è segnata dall’evanescenza, dall’impossibilità di fissare una volta e per tutte un testo. Proprio perché non si può fissare in un testo, lo studio del corpo in quanto dispositivo semiotico necessita il riferimento all’esperienza della corporeità, cioè alle modalità di soggettivizzazione del corpo. Nell’ambito della pratica performativa l’aspetto esperienziale è fondamentale sia da parte del performer che rimodella il proprio corpo per creare il corpo in scena, sia da parte dello spettatore che osserva e fruisce dell’evento performativo. Queste caratteristiche fanno della pratica performativa un oggetto semiotico molto interessante ma allo stesso tempo molto problematico. Risulta problematico soprattutto a livello metodologico: come si fa ad analizzare una pratica 9
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