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I nomi della Dea. Il femminile nella divinità PDF

163 Pages·1992·20.802 MB·Italian
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JoseCpaphmb ell RiaEnsieel r-M arGiijmab utas ChasrM luseès IN OMI della DEA Ifelm minniellldeai vinità LaD ePar imorldGair aalnMeda,ed ircleu ciu lto fioriavgaalbl io rdie lnloas ctirvai èsl etmàp,r e vivlaes, u ien numerevoli ism uaonii festazioni, simbcopila ir,ld aiun nmo o ndroe moitnco ul ia doneni afl e mmineirlaeon noo rsaotpoirg an i altcrocas oam feo neto er igditinu etl tvaai ta. UbalndiEid itroe- Roma I NODMIEL LA DEA IL FEMMINILE NELLA DIVINITA di }OSEPH CAMPBELL RlANE ElsLER - MAluJA GIMBUTAS CHARLES MUSÈS a cura di J. CAMPBELL e C. MUSÈS Titolo originale dell'opera IN ALL HER NAMES EXPLORATIONS OF Tiffi FEMININE IN DIVINTIY (H r San Francisco) arpe Traduzione di CRISTIANA MARIA CA:RBONE © 1991, by Riane Eisler, Marija Gimbutas, Charles Musès, and the Joseph Camp­ bell Foundation. Published by arrangement with Harper San Francisco - Harper Collins Publishers, lnc. © 1992, Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma JosCeapmphb ell RianEeis le-rM arGijimab utas CharleMsu sès IN OMI della DEA Ifle mminnilee ldivlian ità a cura di ].CAMP BELL e C. MUSÈS • UbalEdindii toRroem a - Prologo Joseph Campbell è stato per me non soltanto un collega stimato, ma anche un caro amico. Ho un vivo ricordo di lui, specialmente di alcune bellissime conversazioni durante qualche cena di lavoro, a New York e a San Francisco. Quando, nel 1984, ebbi l'idea di scrivere questo libro, dopo averne discusso a lungo insieme, fu così preso dal 'progetto della Dea', come lo chiamavamo, che smise di lavorare al suo Atlaos/ W orlMdy tholpeor gy curare il libro insieme a me e dare il proprio fondamentale contributo (capitolo 3), l'ultimo lavoro creativo che avrebbe avuto tempo di portare a termine, prima della sua morte, alla fine dell'ottobre 1987. Questo è il canto del cigno di Campbell e lui stesso, come mi disse testualmente, sentiva trattarsi del proprio 'testamento al mondo'. Benché implicito in molti-passi-El.ei suoi scrittr,-come ad esempio nella splendida descrizione della Signora della Casa del Sonno nel suo celebre L'erdaoiem ilvloel ctitaito, a l capitolo 4, in genere non si comprende come la devozione alla Dea Eterna fosse un aspetto profondo del credo di Campbell, che il suo contributo a questo libro fa emergere. Dopo la sua morte, una nuova amica e collega, Riane Eisler, è entrata in scena e gli ha dato stesura definitiva, collaborando ad apportare al libro la sua attuale configurazione in quattro parti e fornendo un proprio significati­ vo contributo (capitolo 1), che integra in modo pregevole quello di Marija Gimbutas, mia collega di lunga data (capitolo 2), come pure le mie personali ricerche (capitolo 4) nel. campo degli insegnamenti egiziano e cinese, applicati a odierni, cruciali problemi di ordine spirituale e psico­ logico. Un unico epilogo di speranza, da me curato, chiude il libro. Le iniziali C.M. siglano i miei interventi come curatore. Cercheremo di dipanare matasse antiche e tuttora persistenti e di esplo­ rare radici profonde e tematiche potenti di alcuni dei più profondi im­ pulsi e delle più profonde aspirazioni dell'umanità, e in particolare la radice principale e i suoi germogli, che confermano la visione ultima di Goethe: "L'eterno femminino ci attira in alto accanto a sé". "Tutti i suoi nomi" è la mia traduzione letterale di un saluto rituale 8 Prologo ::=:: dell'Antico Egitto alla Grande Dea (in ranis niib:� W), pre­ � t=:=2 I I I valentemente conosciuta come Iside, ma nota anche come "la Dea dai Mille Nomi" e la "Dea a cui mai fu tolto il Velo". Come scrive John Cowper Powys, che tanto profondamente ha in­ fluenzato D. H. Lawrence, "la Grande Dea, la cui fronte è incoronata dalle Torri dell'Impossibile, si avanza di generazione in generazione, da un crepuscolo all'altro: e il suo lungo viaggio, di rivelazione in rivelazio­ ne, non ha fine". CHARLES MUSÈS 1 LaD ead ellnaa tuerd ae llsap iritualità Un ecomanifesto di RIANE EISLER Nel suo libro La struttura delle rivoluzioni scientifiche Io scienziato e storico Thomas Kuhn mostra come la moderna storia intellettuale e so­ ciale sia stata punteggiata da spostamenti del paradigma scientifico: cam­ biamenti radicali in quella che si ritiene essere la conoscenza o la verità. Oggi gli studi archeologici e religiosi si trovano alle prese con questo fenomeno. fa Mentre una generazione gli archeologi parlavano ancora della cul­ tura sumerica come della "culla della civiltà", oggi sappiamo che le culle della civiltà furono molte, e tutte di migliaia di anni più antiche del J mondo sumerico. Come scrive l'archeologo inglese ames Mellaart nel suo The Neolithù: o/ the Near East, "la civiltà urbana, a lungo ritenuta un'in­ venzione della Mesopotamia, ha dei precedenti in siti quali Gerico e çatal Hiiyiik, in Palestina e in Anatolia, a lungo considerate zone arretrate". Oggi sappiamo anche che l'organizzazione sociale e i sistemi di cre­ denze di questi primi centri di civiltà furono molto diversi da come ci è stato insegnato che la società è sempre stata e sempre sarà strutturata. Tanta per cominciare, sembra che queste prime culle della civiltà fossero estremamente pacifiche. Dalla documentazione archeologica risul­ ta una diffusa assenza di fortificazioni e di segni di distruzione dovuta a conquiste armate. In contrasto con i motivi a noi tutti così familiari, l'arte di queste società è caratterizzata ovunque anche dall'assenza di immagini di uomini che si uccidono in battaglia o che violentano donne. Secondo, sembra che queste società siano state estremamente eque e che le donne il e femminile vi occupassero posizioni sociali importanti. Esiste anzi una grande quantità di prove secondo cui, mentre in queste società venivano 10 La Dea della natura e della spiritualità adorate divinità sia maschili sia femminili, s1 nteneva che il più alto potere nell'universo fosse quello femminile di dare e di conservare la vita, il potere incarnato nel corpo della donna. Naturalmente, questa nuova visione di un tempo precedente a quello in cui il potere temporale e quello divino venivano associati ai padri, ai re e ai signori onnipotenti ha implicazioni importanti per gli archeologi e per gli studiosi di mitologia e di religione. Ma, come è accaduto altre volte al mutare di un paradigma scientifico, le implicazioni rivoluzionarie di una tale nuova visione sono anche più vaste per la società in senso lato. Vengono messe in discussione le stesse fondamenta di un sistema vecchio di cinquemila anni, dove il mondo era visto come una piramide, retta al vertice da una divinità maschile, e le creature, cioè gli uomini, erano fatti a sua immagine, e di volta in volta destinati, o per chiamata divina o per doti naturali, a governare sulle donne, sui bambini e sul resto della natura: un sistema segnato da una belligeranza cronica e dal­ l'identificazione del 'maschile' con il dominio e la conquista, fosse essa sulle donne, sugli altri uomini o sulla natura. La cosa più importante è che questo fondamentale spostamento di paradigma nella storia archeologica e religiosa corrisponde direttamente al crescendo delle attuali crisi sociali ed economiche. La nostra è infatti un'epoca in cui un'altra guerra potrebbe essere l'ultima, un'epoca in cui le donne e gli uomini stanno riesaminando gli assunti convenzionali su problemi di fondo quali il 'maschile' e il 'femminile' e sul rapporto tra queste due dimensioni. È un'epoca di rapido cambiamento sociale, in cui siamo alla ricerca di alternative possibili per il nostro futuro, alternative che le moderne scoperte dovute agli studi archeologici e religiosi ci se­ gnalano di fatto, profondamente radicate in tradizioni millenarie che oggi stiamo recuperando dal nostro passato. Un singolare esempio è l'ipotesi di Gaia, una nuova teoria scientifica proposta dai biologi James Lovelock e Lynne Margulis, secondo cui la Terra sarebbe un sistema vivente unitario, inteso a dare e a mantenere la vita. Gaia è un antico nome greco della Madre Creatrice, uno dei molti nomi attribuiti alla divinità femminile adorata per migliaia di anni come colei che dà e sostiene la vita. Nella Fertile Mezzaluna era Nammu, Madre dell'Universo; in Egitto era Nut; in Africa era chiamata Nana Buluka; nelle Americhe era la dea dall'Abito di Serpente. Ma se veniva invocata con nomi diversi in luoghi diversi, ovunque era il simbolo della nostra fondamentale unità, dell'identità di ogni fonna di vita su questa terra: la Madre dal cui grembo scaturisce ogni fonna di vita e a cui ogni fonna di vita ritorna con la morte, come nei cicli della vegetazione, per tornare di nuovo a nascere. La Dea della natura e della spiritualità 11 Il fisico Fritjof Capra evidenzia che l'ipotesi di Gaia segna in modo radicale una rottura con le concezioni scientifiche meccanicistiche del XVIII e del XIX secolo. Ma in modo ancor più fondamentale questa pre­ sunta ipotesi radicale può essere vista anche come un ricongiungersi a tradizioni ben più antiche. Noi stiamo imparando che queste tradizioni �rono sviluppate e vive nel corso di migliaia di anni, in società dove quella che oggi noi chiamiamo una coscienza ecologica -la consapevolezza che si va oggi formando che la terra debba essere trattata con rispetto e reverenza - era un dato di fatto, semplicemente 'il modo di essere'. Un nuovo sguardo al passato e al possibile futuro La Bibbia giudaico-cristiana ci mostra un Padre Creatore maschile, sorgente di ogni vita. Ma molte delle più antiche storie di creazione conosciute parlano di una Grande Madre: una divinità femminile che dà e mantiene la vita, la Dea degli animali, delle piante e degli umani, delle acque, della terra e del cielo. Un'antica preghiera sumera esalta la gloriosa Nana come la "Signora Potente, la Creatrice". Un'altra antica tavoletta si riferisce alla dea Nammu come alla "Madre che diede vita al Cielo e alla Terra". In Egitto, la creazione della vita veniva attribuita a Nut, Hathor, o Iside, di cui è scritto: "All'inizio c'era Iside, la più Antica di tutto ciò che è Antico. Era la Dea da cui scaturì tutto ciò che diviene". In Africa troviamo leggende su Mawu, un altro nome per la Madre Creatrice. E nella terra di Canaan, come scrive lo studioso biblico Raphael Patai, Ashera o Ishtar era la "Progenitrice degli Dei". Tutto questo sta a indicare che il culto delle divinità femminili era parte integrante delle nostre più antiche tradizioni sacre. E in verità non è improbabile che all'alba della civiltà, quando per la prima volta l'uomo iniziò a porsi gli interrogativi universali (Da dove veniamo prima di nascere? Dove andiamo dopo morti?), dovette rilevare quello che è il più miracoloso di tutti gli eventi: il fatto cioè che la vita umana scaturisce dal corpo della donna. Dovette quindi essere del tutto logico, per i nostri antenati, immaginare all'inizio la terra come una Grande Madre, una Dea della Natura e della Spiritualità, fonte divina di ogni nascita, di ogni morte e di ogni rinascita. Questa conclusione logica, di fatto, è comprovata dalle testimonianze archeologiche, dalle innumerevoli statuette femminili primitive, oggi ri­ portate alla luce in luoghi sparsi su tutta l'Asia Minore e l'Europa. Dalle statuette della cosiddetta Venere Paleolitica che datano a più di ventimila 12 La Dea della natura e, della spiritualità anni fa fino alle innumerevoli raffigurazioni di divinità femminili del Neolitico e oltre, dell'età del Bronzo, queste immagini femminili parlano di tradizioni di culto millenarie. Infatti, come sottolinea Mellaart, le cul­ ture centrate sulla divinità femminile di çatal Hiiyiik e Hacilar, di recen­ te scoperta, sanciscono in maniera chiara una continuità fra quello che l'archeologo francese André Leroi-Gourhan descrive come un sistema di credenze paleolitico incentrato sulla donna e la grande 'Dea Madre' dei tempi arcaici e classici. Ma fino a poco tempo fa l'idea che gli antichi venerassero sopra ogni cosa gli dèi (vale a dire divinità maschili) ha pervaso tanto la letteratura erudita quanto quella popolare. Non soltanto la società occidentale ha fatto propria la credenza divulgata dalle religioni giudaico-cristiane se­ condo cui Dio è stato sempre (e di conseguenza sempre sarà) un ma­ schio, ma questo paradigma incentrato sul maschile ha pervaso anche la scienza occidentale. Ad esempio, la spiegazione convenzionale della nostra evoluzione cul­ turale, diffusa dalla letteratura popolare e ancora insegnata nella maggior parte delle università, è che si tratta della storia dell' 'uomo', del caccia­ tore-guerriero. In conformità con questa visione, le centinaia di sculture di donne estremamente stilizzate, spesso gravide, dai fianchi larghi, rin­ venute in grotte del Paleolitico, furono chiamate 'statuette di Venere', oggetti di qualche antico e presumibilmente osceno 'culto della fertilità'. Come osserva l'archeologa Marija Gimbutas, alcuni studiosi le considera­ rono addirittura come simboli erotici obesi e distorti: in altre parole, il corrispondente preistorico dell'inserto centrale di Playboy. Ma se osserviamo veramente queste statuette ovali stranamente stiliz­ zate, diventa chiaro che si tratta di rappresentazioni delle potenze del mondo dispensatrici della vita. Come la Gimbutas, Mellaart e altri archeologi sottolineano oggi, si tratta di antichissime forme precorritrici della Grande Dea, ancora vene­ rata nei tempi storici, come Iside in Egitto, Ishtar a Canaan, Demetra in Grecia e in epoca ancor più tarda, come la Magna Mater a Roma e la Vergine Maria, Madre di Dio, presso i cattolici. Analogamente, studiosi precedenti continuarono a trovare nei disegni e nelle incisioni su pietra e su ossa del Paleolitico forme che interpreta­ rono come armi appuntite. Ma poi non riuscirono a capire perché in queste raffigurazioni la punta delle frecce fosse sempre rivolta dalla parte sbagliata, oppure perché queste "armi puntate in direzione sbagliata" dessero l'impressione di mancare regolarmente il bersaglio. Soltanto quan­ do queste raffigurazioni furono riesaminate da una persona estranea al- 1'a mbiente archeologico (non condizionata a vederle come una 'magia La Dea della natura e della spiritualità 13 Figura 1. Stat4etta di dea rinvenuta a çatal Hi.iyiik, Turchia, che data al 5750 a.C. È seduta in trono, partorisce e ai lati fi rano quelli che i più autorevoli studiosi hanno gu identificato come due leopardi. Sulla sua spalla destra si può vedere quella che si ritiene essere la coda di uno dei due leopardi. Disegno dall'originale di Jonh Mason. venatoria') fu chiaro che non si trattava della raffigurazione di armi. Erano immagini di vegetazione: alberi e piante i cui rami andavano esat­ tamente nella direzione giusta.

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