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Diecimila Anni Fa PDF

127 Pages·2013·1.37 MB·Italian
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Diecimila anni fa. Un’Italia ancora stupendamente intatta di alberi e di animali, di acque luccicanti fra l’intrico dei rami e di belve pronte all’agguato, di acquitrini nelle impenetrabili piane e di aridi, intatti costoni. In margine, soltanto in margine, l’Uomo. L’Uomo con le sue tribù che iniziano il faticoso cammino della civiltà, che si muovono fra superstizioni, timori e incredibili audacie, insieme o contro gli animali, insieme o contro i loro simili. È il momento in cui gli esseri umani avvertono istintivamente la necessità di un capo saggio, oltre che forte, e cominciano a fare dell’esperienza la base della loro vita. Scan e Rielaborazione di Purroso Aldo Zelli DIECIMILA ANNI FA Presentazione di Italo Salvan distribuzione Le Monnier Prima edizione scolastica: febbraio 1982. Prima ristampa: luglio 1982. Seconda ristampa: marzo 1983. Terza ristampa: settembre 1983. Quarta ristampa: maggio 1984. Quinta ristampa: aprile 1985. Sesta ristampa: agosto 1986. Settima ristampa: marzo 1989. Ottava ristampa: febbraio 1991. Si ritengono contraffatte le copie non firmate o non munite del contrassegno della S.I.A.E. ISBN 88-00-33053-3 C.M. 330.538 Edizione originale: Copyright © 1980 by Casa Editrice Salani, Firenze Edizione scolastica: Copyright © 1982 by Casa Editrice Le Monnier, Firenze 17220-6 - Stabilimenti Tipolitografici «E. Ariani» e «L’Arte della Stampa» della S.p.A. Armando Paoletti - Firenze Presentazione Aldo Zelli nacque ad Arezzo sul finire della Grande Guerra, ma trascorse gran parte della sua vita in Libia ove il padre, ex ufficiale di cavalleria, si era trasferito con la famiglia. Chiamato alle armi nel ’40 combatté sul fronte italo-egiziano e cadde prigioniero a Bardia. Seguirono cinque lunghi anni di campo di concentramento in Egitto, nel Sud Africa e in Gran Bretagna. Rimpatriato verso la metà del 1946 dovette attendere quasi due anni prima di rientrare in Libia. Laureatosi in inglese all’istituto Orientale di Napoli, insegnò dapprima nelle scuole medie italiane di Tripoli, poi in Italia. Docente preparato, esordì giovanissimo come autore scrivendo per un giornale per ragazzi. Collaborò con romanzi, racconti e articoli a riviste italiane e a quotidiani libici di lingua italiana. Ma il filone più rilevante e più significativo della sua produzione rimane quello per l’infanzia e la gioventù: una decina di libri circa. Fra questi: Diecimila anni fa, un romanzo che ha una storia davvero singolare. Zelli non aveva più di otto, nove anni quando il padre lo portò con sé a Garian, una ridente cittadina del Gebel Akhdhar, la montagna verde a una settantina di chilometri da Zavia, dove la famiglia risiedeva. A Garian vi era, allora, una zona di dimore trogloditiche, vaste caverne riattate ove da tempo immemorabile abitavano numerose famiglie. In una di queste caverne abitava, con una nidiata di figlioli, un libico conosciuto dagli Zelli. Quella famiglia, la casa nella grotta e, soprattutto, il gioco con i bambini «cavernicoli», eccitarono la fantasia del piccolo italiano. A sera nessuno fu più attento ascoltatore di lui alle parole del loro ospite, un ufficiale dei carabinieri, che li intrattenne a lungo sulle sue scoperte in Tripolitania e nel Fezzan, sulle pitture rupestri e sui graffiti rivelati della roccia delle caverne che egli aveva esplorato. A Zavia, poco fuori del paese, c’erano grotte e caverne scavate nell’argilla. Forse erano antiche cave dalle quali si estraeva un tempo l’argilla rossa con cui gli arabi costruivano le loro abitazioni. C’era andato molte volte a giocare con i bambini arabi, ma dopo la visita a Garian i giochi ebbero una precisa caratterizzazione: si fingeva di essere uomini primitivi e di andare a caccia di orsi feroci. «Mi ero già trovato un nome: Haris. — Ha scritto Zelli — Un nome che non avrei dimenticato. Mi accadeva persino di sognare gli uomini primitivi e di vivere nelle loro grotte. Raccontavo lunghe, fantastiche storie di cavernicoli e dicevo a me stesso che da grande avrei scritto un libro. Un libro su un eroe preistorico». Molti anni dopo, prigioniero di guerra, ebbe modo di vedere le misteriose grandi pietre di Stonehenge, resti di una pressoché sconosciuta civiltà preceltica e nuovamente risentì la suggestione dei mondi sepolti e il fascino degli ambienti e delle cose. Cosicché quando, al suo ritorno in Libia, gli addetti all’esplorazione del sottosuolo per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi cominciarono a raccogliere punte di freccia in selce, amigdale, raschiatoi e altre tracce di vita ormai scomparsa in quel deserto un tempo fertile pianura, popolata di uomini e di animali, Zelli decise di scrivere un libro, anzi un romanzo di argomento preistorico e di dedicarlo ai suoi antichi compagni di giochi di Garian e di Bardia. Queste le ragioni sentimentali di un libro. Ma l’ambientazione, i personaggi, la documentazione affondano le loro radici qui in Italia, in una delle zone più suggestive del Veneto, fra il Garda e l’Adige, in quella striscia di terra che va dai monti di Verona alle Torri di Benaco sulle rive del lago. Fra fiume e lago — ma diverso era il corso del fiume e diverso era il profilo delle rive del lago — erano fitti boschi di selvaggina e stagni luccicanti. Intorno, sui rilievi, grotte, anfratti e caverne offrivano possibilità di riparo ai primitivi abitanti. La scelta dell’ambiente fu il frutto delle lunghe consultazioni di Zelli con il geologo Ugo Intimi, suo cognato, che fra Garda e Adige aveva fatto minuziose ricerche, e di personali diligenti studi dell’autore sui cavernicoli e sui palafitticoli della zona. L’epoca, circa diecimila anni fa, era quella del paleolitico. E il mondo era profondamente diverso: uomini e animali vivevano numerosi nelle terre fertili e ricche di vegetazione, divenute col tempo deserti di roccia e di pietra come il Sahara e il Gobi; temperate erano le zone mediterranee; freddo e in gran parte inospitale il Centro dell’Europa; coperto di ghiacci l’Estremo Nord. Popolavano l’Europa animali di specie oggi estinte o emigrate verso altri climi, altri continenti: il mammut, la tigre, il rinoceronte, la iena, l’alce e la renna. Cominciavano a correre le pianure e le colline grandi mandrie di equini. Ma erano i grandi animali le prede preferite dai cacciatori, i grandi animali dalle carni coperte di grasso i cui pezzi potevano essere a lungo conservati. Le primitive società del paleolitico, le associazioni tribali come quelle descritte nel libro di Zelli vivevano con la caccia e per la caccia. I primi tentativi di pastorizia, o peggio, di agricoltura sanno di accidentale e di sperimentale, di sola speranza, insomma. Gli uomini di diecimila anni fa, dunque come quelli di Zagus, protagonista del libro, erano soprattutto cacciatori di grandi animali. Con armi inadatte, dovevano battersi contro le fiere con l’astuzia, l’esperienza e l’audacia. «Fu in queste condizioni — scrive Morus, uno storico — che avvennero gli episodi più drammatici e terrificanti della preistoria. La fame spingeva uomini ed animali ad assalirsi a vicenda… È questo il quadro che risulta ovunque nelle caverne di quest’epoca. Ossa di uomini, ossa di animali giacciono le une accanto alle altre. È una lotta con armi disuguali. Contro le armi della natura stanno le armi scaturite dal pensiero: contro le armi del corpo, strumenti estranei al corpo: asce e lance. Chi le possiede domina la natura». Uomini contro animali, dice Zelli, ma anche uomini contro uomini, tribù contro tribù. La lotta per la sopravvivenza è feroce e senza alternative: si combatte per la caverna, per il territorio, per il cibo. Antichi rituali magici confortano nell’ora del rischio o della speranza e credenze tramandate dagli avi proteggono l’ospite inerme, mentre nuove tribù affamate discese dai monti razziano e divorano a un tempo animali e nemici. Il migrare dei cacciatori dietro le prede, dietro le mandrie, lo spostarsi e l’intersecarsi di gruppi tribali diversi, porta al contrapporsi e all’eliminarsi di interessi e di tradizioni ataviche. Le tribù di Zagus e di Haris sono già uscite dall’età della ferocia e già vivono secondo fondamentali regole di saggezza, quando dalle montagne del Nord-Est irrompono nella pianura i cacciatori della montagna le cui regole sono la violenza, l’imitazione e l’immedesimazione nella forza animale. L’ieri e l’oggi di diecimila anni fa cominciano faticosamente e drammaticamente a vivere insieme secondo le eterne leggi del mondo. Così come oggi, in ben altre dimensioni, accanto ai protagonisti delle tecnologie sofisticate di Cape Canaveral e di Baikonur, sopravvivono i cacciatori boscimani e i nuclei tribali dell’Amazzonia, Aldo Zelli, nella Libia della fine degli anni Trenta, ritrovava i cavernicoli con la loro eredità di preistoria. Il che, in altri termini, vale a dire che l’evolvere dell’umanità non può essere sempre visto dall’ieri, all’oggi al domani secondo il fluire del tempo ma, al contrario, secondo le latitudini e i meridiani, secondo criteri difformi che portano al coesistere se non al fondersi di mondi opposti o diversi. Non soltanto: questo evolvere dell’uomo procede secondo vie che molto spesso hanno poco in comune e che variano col variare di costumi, razze, tradizioni, climi e risorse economiche. Né è da dire che il concetto di civiltà e di evoluzione debba necessariamente coincidere con quello di industrializzazione o di sviluppo tecnologico. Anzi, con tutta cautela, si potrebbe ricordare che il libro dei libri, la Bibbia, nell’Ecclesiaste recita: «Qui auget scientiam auget dolorem» («Chi accresce la scienza accresce il dolore»). “Scienza”, e non “sapienza”, che è cosa diversa. Italo Salvan

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